31-10-2018, 12:28
Non si erano accorti di lui.
Quando il gruppo era giunto, la maggior parte delle ossidiane era in meditazione. Non si aspettavano un attacco.
Gli assalitori erano pochi ma ottimamente addestrati ed equipaggiati. Al termine della battaglia non una ossidiana era viva. Gli assalitori frugarono i corpi e controllarono palmo a palmo ogni angolo di quei sotterranei in cerca di ricchezze. Presero tutto ciò che trovarono e se ne andarono sghignazzando. Gli unici luoghi che non si presero la briga di controllare furono le celle degli schiavi.
Fortunatamente.
Realgar non somigliava affatto ad un’ossidiana, ma nemmeno a quegli esseri, per cui non era affatto certo che lo avessero lasciato vivere. Non si soffermò a pensare come mai avesse riconosciuto tra loro un nano, dal momento che non ricordava nulla del suo passato prima della schiavitù, avvenuta tre anni prima e non ne aveva visti in quel periodo.
Sapeva che gli altri esseri definivano se stessi umani.
Un umano era stato schiavo delle ossidiane con lui, per questo lo sapeva, e gli aveva insegnato quel poco della lingua comune che Realgar conosceva, ma era stato ucciso a frustate dal padrone poco tempo prima. L’ umano inizialmente chiamava i padroni Drow, ma anche lui alla lunga preferì ossidiane, il termine usato da Realgar.
Quando gli assalitori se ne andarono, nel sotterraneo piombò il silenzio.
E Realgar, con pazienza, si mise al lavoro.
Ci vollero quattro ore perché riuscisse a liberarsi del collare di ferro che, con una catena, gli permetteva di muoversi per un raggio di meno di mezzo metro dal muro dove essa era fissata. Una volta libero dal collare, con un paio di calci sfondò la porta della cella. Raccolse una vecchia corazza semi arrugginita indossata da uno scheletro caduto il quel corridoio chissà quanto tempo prima, prese uno scudo dal cadavere di una ossidiana e felice dell’insperata ed improvvisa libertà, uscì, decisamente con troppa leggerezza.
Quell’errore gli costò quattro giorni di cecità.
Nonostante fosse ormai notte, infatti, persino la luce di Elune e delle stelle furono devastanti per la vista del genasi, abituato da troppo tempo, forse da sempre, al buio completo o quasi. Ma nonostante questo doveva assolutamente allontanarsi. Sapeva che sarebbero giunte ossidiane di rinforzo di lì a poco, lo aveva sentito dire il giorno prima dal suo ex padrone. Si strinse uno straccio sugli occhi e si allontanò.
Quando venne giorno, il dolore agli occhi quasi lo fece impazzire.
Si scavò freneticamente una buca e vi rimase per quattro giorni, fino a quando, a poco a poco, i suoi occhi iniziarono ad abituarsi alla luce.
E in quel momento iniziò la sua meraviglia.
Non avrebbe mai immaginato che esistessero così tante tonalità di verde. Si ritrovava nel mezzo della foresta del Cormanthor, talmente circondato dal verde che aveva la sensazione di trovarsi all’interno di uno smeraldo.
Le piante, gli animali… non aveva mai visto nulla di così stupefacente.
In quel luogo gli elementi avevano raggiunto un equilibrio tra loro, e insieme avevano creato la perfezione, l’armonia.
Ma era consapevole che, seppur meraviglioso, quel mondo poteva essere letale per chi non lo conoscesse, e Realgar non lo conosceva.
Aveva bisogno di aiuto.
Giunto a questa conclusione, prese le sue cose e s’incamminò, doveva trovare gli umani.
Quando il gruppo era giunto, la maggior parte delle ossidiane era in meditazione. Non si aspettavano un attacco.
Gli assalitori erano pochi ma ottimamente addestrati ed equipaggiati. Al termine della battaglia non una ossidiana era viva. Gli assalitori frugarono i corpi e controllarono palmo a palmo ogni angolo di quei sotterranei in cerca di ricchezze. Presero tutto ciò che trovarono e se ne andarono sghignazzando. Gli unici luoghi che non si presero la briga di controllare furono le celle degli schiavi.
Fortunatamente.
Realgar non somigliava affatto ad un’ossidiana, ma nemmeno a quegli esseri, per cui non era affatto certo che lo avessero lasciato vivere. Non si soffermò a pensare come mai avesse riconosciuto tra loro un nano, dal momento che non ricordava nulla del suo passato prima della schiavitù, avvenuta tre anni prima e non ne aveva visti in quel periodo.
Sapeva che gli altri esseri definivano se stessi umani.
Un umano era stato schiavo delle ossidiane con lui, per questo lo sapeva, e gli aveva insegnato quel poco della lingua comune che Realgar conosceva, ma era stato ucciso a frustate dal padrone poco tempo prima. L’ umano inizialmente chiamava i padroni Drow, ma anche lui alla lunga preferì ossidiane, il termine usato da Realgar.
Quando gli assalitori se ne andarono, nel sotterraneo piombò il silenzio.
E Realgar, con pazienza, si mise al lavoro.
Ci vollero quattro ore perché riuscisse a liberarsi del collare di ferro che, con una catena, gli permetteva di muoversi per un raggio di meno di mezzo metro dal muro dove essa era fissata. Una volta libero dal collare, con un paio di calci sfondò la porta della cella. Raccolse una vecchia corazza semi arrugginita indossata da uno scheletro caduto il quel corridoio chissà quanto tempo prima, prese uno scudo dal cadavere di una ossidiana e felice dell’insperata ed improvvisa libertà, uscì, decisamente con troppa leggerezza.
Quell’errore gli costò quattro giorni di cecità.
Nonostante fosse ormai notte, infatti, persino la luce di Elune e delle stelle furono devastanti per la vista del genasi, abituato da troppo tempo, forse da sempre, al buio completo o quasi. Ma nonostante questo doveva assolutamente allontanarsi. Sapeva che sarebbero giunte ossidiane di rinforzo di lì a poco, lo aveva sentito dire il giorno prima dal suo ex padrone. Si strinse uno straccio sugli occhi e si allontanò.
Quando venne giorno, il dolore agli occhi quasi lo fece impazzire.
Si scavò freneticamente una buca e vi rimase per quattro giorni, fino a quando, a poco a poco, i suoi occhi iniziarono ad abituarsi alla luce.
E in quel momento iniziò la sua meraviglia.
Non avrebbe mai immaginato che esistessero così tante tonalità di verde. Si ritrovava nel mezzo della foresta del Cormanthor, talmente circondato dal verde che aveva la sensazione di trovarsi all’interno di uno smeraldo.
Le piante, gli animali… non aveva mai visto nulla di così stupefacente.
In quel luogo gli elementi avevano raggiunto un equilibrio tra loro, e insieme avevano creato la perfezione, l’armonia.
Ma era consapevole che, seppur meraviglioso, quel mondo poteva essere letale per chi non lo conoscesse, e Realgar non lo conosceva.
Aveva bisogno di aiuto.
Giunto a questa conclusione, prese le sue cose e s’incamminò, doveva trovare gli umani.
Realgar
Thrain Stoneshield
Thrain Stoneshield