19-11-2019, 17:39
Porre la parola fine a questa minaccia era l’imperativo categorico che ci eravamo posti alla vigilia della partenza per Peldan's Helm. Il nostro gruppo di partenza, che vedeva Eitinel, Xenia, Graster e Lilnuviel, aveva perso quest’ultima ma si era arricchito di qualche elemento: Ariah, Haidar e l’elfo Thaemir su tutti. Come detto il nostro obiettivo viveva a Peldan's Helm e li ci recammo con la carovana, per risparmiare tempo prezioso. Dopo una breve ricerca in città riuscimmo a trovare la casa della famiglia Acherflow e li ci recammo immediatamente.
La piccola abitazione, che si trovava subito fuori le mura, fu facile da trovare ma, quello che trovammo ben più complicato, fu guadagnare la fiducia della signora Romilda; anzi, diciamo che non ci riuscimmo affatto. La donna era sotto l’influenza di una di quelle lische deformi che, i nostri “esploratori”, riuscirono a vedere posata sul tavolo della piccola e povera abitazione e, forse per questo, non riuscimmo a convincerla della bontà delle nostre intenzioni. Continuava a ripetere che la figlia era partita con il padre per portare le pelli dei maiali che allevavano alla breccia di Tilver e che, solo lo spedizioniere, poteva sapere dove si trovavano in questo momento. Dovevamo si raggiungere la figlia, ma era nostro dovere liberare la madre dalla malefica influenza di quell'entità.
L’aiuto in questo senso ci venne dall'abilità di Eitinel che, sfruttando un incantesimo di invisibilità e uno di evocazione, fece apparire un enorme topo dentro la casa che fece scappare a gambe levate la donna permettendoci di recuperare quel feticcio. L’unico problema era che questo topo, decisamente fuori controllo, devastò letteralmente le povere cose della famiglia: un inconveniente non da poco che però sarebbe potuto essere risolto solo in un secondo momento.
Recuperata quell'aberrazione, fummo lesti a recarci dal carovaniere per chiedere informazioni. Quello che ci disse non fu molto rassicurante. Pareva infatti che la ragazzina avesse convinto il padre a passare per la via nord, per accorciare diceva. Peccato che la via che va a nord è decisamente più lunga e impervia; sicuramente questo era avvenuto a causa dell’influenza della lisca o peggio. Ogni minuto era prezioso e non potevamo sprecarne altri. Ariah, guidando un gruppo di noi, si spinse per la normale via che conduce alla breccia, nella speranza di anticipare la carovana.
Il grosso di noi decise di seguire le tracce del carro che, grazie alle piogge abbondanti, risultavano ben visibili. Poco dopo trovammo il carro distrutto, attorno vi era sangue e, sparso lì attorno, il carico. Questo significava che non erano stati attaccati da dei volgari banditi ma da qualcosa di ben diverso. Iniziammo a cercare e rovistare in cerca di indizi fino a che, sotto alcune tavole trovammo uno strano pozzo, proprio accanto al gretto del fiume. Alla sola vista le mie gambe si paralizzarono, non potevo pensare di calarmi là sotto, in quell'oscurità ma, per fortuna, Haidar si offrì di fare da apripista con una torcia.
Una volta sotto lo spettacolo fu a dir poco macabro. Cadaveri e pezzi di cadaveri ovunque, il tanfo era quasi insopportabile e, in ogni angolo, tra le parti dei corpi mutilati, quel liquido colorato si mischiava con l’acqua che filtrava dalle pareti della grotta e che gocciolava dal soffitto. Era palese che eravamo sulla pista giusta.
Nella mia testa rimbombava quella voce che continuava a ripetere le parole sconosciute che mi avevano privato del sonno. Più ci addentravamo nella grotta, più l’atmosfera si faceva pesante e cupa. Infine udimmo le urla di quella che sembrava una bambina: forse era la piccola Charlotte per cui non potevamo perdere nemmeno un istante.
I cunicoli si snodavano davanti a noi, una scia di sangue ci aiutò a seguire la giusta via fino a che non arrivammo in una stanza più ampia, completamente tappezzata di uova e liquido caleidoscopico al cui centro c’era una figura umanoide ma molto diversa da qualunque cosa abbia mai visto prima.
Un essere con la carnagione grigia, come quella delle grandi balene, e con dei tentacoli posizionati a incorniciare quella che doveva essere la bocca: in tutto e per tutto, se non fosse stato per il corpo umanoide attaccato sotto quella orrenda testa, sarebbe potuto essere scambiato per un polpo. La sua voce veniva direttamente dalla piccola Charlotte che, a capo chino e con aria assente, dava corpo ai pensieri di quell'alieno. Ripeteva con voce cantilenante le sue farneticazioni, dando forma umana a quelle parole che fino a quel momento avevano risuonato solo nella mia testa, nell'empia lingua che gli era propria.
Era come se ci fosse un legame tra loro due, qualcosa di ben più forte del semplice controllo mentale e che dovevamo spezzare a tutti i costi, ogni istante poteva essere l’ultimo. Non vi era tempo di ragionare e concordare un’azione combinata. Bisognava agire senza perdere un solo istante e la possibilità ce la diede l’elfo. Silenzioso e non visto si avvicinò alle uova con la torcia in mano, quanto bastò per distrarre il nostro obiettivo: come questi si girò verso di lui, in rapida successione venne raggiunto da un potentissimo incantesimo di Eitinel, dalle freccie mie e di Haidar e da una vigorosa spadata di Graster. Non ebbe nemmeno il tempo per reagire e Charlotte cadde a terra priva di sensi. Respirava, era viva, ma era in condizioni critiche. Quando stavamo decidendo chi dovesse trasportarla fino in superfice la ragazzina si rianimò. Aveva sempre quello sguardo spento e dalla sua bocca usciva solo una parola
"Padre"
Ma il padre di quella sventurata era morto, e non poteva riferirsi a lui dato che, sempre come se fosse in uno stato di incoscienza, si alzò e iniziò a camminare, diretta nei profondi cunicoli di quell'antro. La seguimmo fino a una grossa porta chiusa che, con la sua sola imposizione delle sue piccole mani si spalancò. Al suo interno non sembrava esserci nessuno, solo una grande sensazione di opprimente disagio che proveniva dall'oscurità. Passati alcuni istanti a osservare il buio, ci era chiaro che la si celava qualcosa di ben più pericoloso di quello strano polipo umanoide.
Una coppia di terribili occhi luminescenti fece capolino, gli stessi che avevano reso insonni tante mie notti fino a quel momento. Erano fissi su di noi, scrutandoci fin dentro il profondo dell’animo lasciandoci consapevoli di non poterlo affrontare ma anche che avremo dovuto fare tutto ciò che era in nostro potere per fermarlo.
Charlotte era attirata da quella creatura. Era chiaro che fosse in suo completo potere e che quell'essere alieno che avevamo affrontato facilmente pochi minuti prima, altro non era che il suo tirapiedi o, come si era definito, il suo araldo. Questo che stava prendendo corpo davanti ai nostri occhi era il grande male annunciato, colui il quale avrebbe dominato il nostro tempo.
In capo ad alcuni momenti la sua figura si rese completamente visibile. Un enorme essere dalla forma allungata, simile a un verme, un male antico quanto le fondamenta del mondo. Non so dire se parlasse o se la sua voce veniva proiettata nelle nostre teste; ricordo solo che, una volta che questi ci caricò, io e Graster provammo a rallentarlo. Eravamo l’avanguardia e dovevamo proteggere i nostri compagni, dando loro la possibilità di fuggire e avvisare la regione del pericolo imminente. In più c’era Charlotte, dovevamo occuparci di lei e doveva essere una nostra priorità. Nessuno dei nostri compagni però la pensava così e, una volta chiuse le pesanti porte in faccia a quella minaccia, si prepararono per affrontarla. Non appena la porta, che non consisteva in una vera e propria difesa, saltò via sotto un singolo colpo del nostro nemico, ci scagliammo su di lui. Graster guidava la carica affrontandolo a viso aperto, le mie frecce rimbalzavano sul suo carapace ma nonostante questo continuavo a tirare cercando di spedirne qualcuna in direzione degli occhi, unico punto definibile debole a me visibile. Lo scontro fu molto meno duro di quello che ci aspettavamo. Ci accorgemmo che i suoi attacchi perdevano via via di intensità e, quando pensavamo che la battaglia si sarebbe presto conclusa a nostro vantaggio questi, in un ultimo disperato attacco si getto contro di noi, mancandoci e sparendo nella parete alle nostre spalle. Lo avevamo momentaneamente sconfitto ma ora, forse a causa della battaglia, la grotta stava franando su di noi.
Eitinel afferrò la ragazzina e si teletrasportò all'esterno mentre noi cercavamo di guadagnarci l’uscita evitando i blocchi di pietra che ci cadevano sulla testa.
Una volta fuori in noi regnava solo il sollievo per averla scampata, ma la preoccupazione per le condizioni di Charlotte tornò presto a bussare ai nostri cuori. Il tempio di Sune fu l’unico posto che ci venne in mente, forse la sacerdotessa poteva fare qualcosa per lei. Eitinel percepiva che l’ombra di quella creatura era ancora densa sulla piccola e l’unica speranza che avevamo era il potere della Dama dalla Chioma di Fuoco.
Lasciammo la bambina alle cure dell’amorevole sacerdotessa, chiedendole di farci sapere se ci fossero state novità. Ora non mi restava che mettere assieme qualche moneta da far avere alla madre, per riparare i danni causati dal topo e per aiutarla ad andare avanti ora che il marito non c’era più.
*Non avendo il cuore di disegnare quel mostro, si limitò a uno schizzo del suo tirapiedi, in bianco e nero, senza troppi abbellimenti, mosso più da una sincera rabbia che da altro.*
- Dm Nyx -