14-09-2017, 15:48
TAMARA
(3 di 3)
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"Allora, è stata o no una buona scelta?" pronti ad andare, il ragazzo tiene aperta la porta della locanda portuale, è un'affollatissima serata d'inverno.
"Non ho trovato niente di cui lamentarmi" sorride la giovane dai capelli castani legati prendendo il soprabito appeso all'ingresso, ma poi si blocca e il sorriso le si spegne sul volto.
"Mi fa piacere. Dopo quello che è successo ho pensato che..." la nota e rimane perplesso. "Tamara?"
Lei serra la mascella guardando verso un punto preciso.
"Stai bene?" segue il suo sguardo fino a un uomo di mezz'età seduto al banco che sta ridendo con l'oste. "Chi è quello? Lo conosci?"
Prende fiato senza nemmeno battere le palpebre. "Torno subito" sibila avviandosi a grandi falcate.
"E quindi le ho detto..." la risata dell'uomo svanisce rapidamente così come lei gli appare a fianco, quasi trasale incespicando il boccale in mano. "... oh."
"Già. Oh. Dobbiamo parlare."
Sospira pesantemente facendo cenno all'oste di riprendere più tardi. "Bene, parliamo."
"Ricordi quello che ci siamo detti l'ultima volta che ci siamo visti?"
"Conosco molte persone, Tamara" prende un sorso con aria vaga "non posso tenere a mente tutto."
"Penso che questo te lo ricordi" assottiglia lo sguardo. "Venni da te a chiedere aiuto. Non sapevo dove andare ed ero ancora vestita con l'abito da festa della sera prima."
Lui guarda un attimo nel proprio boccale. "Sì" annuisce "mi è dispiaciuto non aver potuto fare di più."
"Ti... è dispiaciuto non aver potuto fare di più?" lei ripete le parole quasi incredula.
"Che vuoi che ti dica? Avevo le mani legate. Lo sai come funziona."
"No, non lo so" scuote il capo ancora più incredula. "So che sono cresciuta giocando con i tuoi figli, e per questo venni da te a raccontarti quella vicenda orribile. Non potevo parlarne con i miei genitori o con nessun altro, ma pensai di poter contare su di te, un amico di famiglia. Te lo dissi e ricordi quello che hai risposto?"
Lui fa per alzarsi: "Adesso non mi va di parlarne."
"E invece ne parliamo!" gli sfila il boccale dalla mano e lo sbatte sul banco, facendo ondeggiare più di una volta la birra dentro di esso. Lui si ferma a mezz'aria, e poi si risiede lentamente con aria grave mentre lei deglutisce con chiara rabbia. "Mi hai detto che avrei dovuto vergognarmi di essere sempre stata una ragazzina viziata, ed è stato così perché da allora non provo altro."
"Sei qui per questo?" la occhia. "Per prendertela con me?"
"No" tira su con il naso "sono qui perché una delle poche persone decenti che conosco ha pensato che potesse farmi bene rivedere questi luoghi, che mi avrebbe fatto venire in mente qualcosa di ideale da dire, un giorno, alla persona responsabile di tutto questo. Ma mentre stavo per andare via ti ho visto ridere e scherzare come nulla fosse e ho capito una cosa tutta assieme: credo di dover dire a te quello che penso."
Senza più nulla da tenere in mano, l'uomo incrocia le braccia, chiaramente a disagio e sulla difensiva.
"Io sarò stata una ragazzina viziata, ma non me lo meritavo quello che è successo" lo fissa. "Tu invece" arriccia le labbra con disgusto "eri l'adulto che si professava nostro amico, e non hai fatto niente. Sei tu quello che dovrebbe vergognarsi" sibila le ultime parole lentamente e, appena vede che lui non sa cosa risponderle, lo abbandona sul posto tornando all'uscita.
"Tutto a posto?" chiede perplesso il suo compare rivedendola tornare quasi paonazza in volto.
"Sì" sbrigativamente rigira la sciarpa attorno al collo "qui abbiamo finito."