27-09-2017, 15:09
XV
Man mano che il corpo si slanciava e si ingrandiva il passo si faceva sempre più pesante, vigoroso, ricolmo di forza. E claudicante.
Sorrideva vago e divertito ogni volta che gli ponevano la stessa identica domanda: «Sturm zoppichi, che hai fatto?» e la risposta era sempre la medesima, indipendentemente da chi formulava la domanda: «Abitudine, solo abitudine».
Ed ogni volta, i ricordi riaffioravano come un fulmine a ciel sereno.
Ricordi di un'infanzia dura. Di un'adolescenza complicata.
Berrion, braccia incrociate al petto, osservava con cipiglio critico la moglie distesa sul letto.
Jaeth cullava il figlio da poco nato, così piccolo e così debole. Il neonato, avvolto in un folto panno, aveva la carnagione emaciata e si presentava davvero esile. La donna lo guardava con apprensione, alternando lo sguardo tra il piccolo e suo marito, che stazionava lì in piedi.
«Sopravviverà»
Berrion Greif, così chiamato per aver avuto il merito di abbattere un grifone tutto da solo, si chinò ad afferrare il figlio. Nelle sue manone callose appariva minuscolo, e molto fragile. Lo fissò con intensità. Il figlio per un veloce istante parve ricambiare lo sguardo, quietandosi dal vagire a squarciagola.
Vecchi grandi occhi chiari incontrarono altri nuovi piccoli occhi chiari.
Ma fu solo un istante. Il piccolo riprese a piangere, paonazzo in volto.
«Staremo a vedere Jaeth. Vedremo la stoffa che ha per combattere, e vivere».
Jaeth venne di prima mattina a buttarlo giù dalla brandina. Lo aveva preso dalla collottola della pelliccia, sollevato e gettato a terra facendogli dare una facciata contro il duro pavimento. Il tutto utilizzando un sol braccio.
«Ah! Che male!»
«Niente storie, alzati Sturm hai dormito pure troppo. Tuo padre ti aspetta, è uscito già da un po'»
Il ragazzino guardò fuori dalla finestrella della casupola strofinandosi il naso. Nevicava. Fiocchi bianchi calavano placidamente, ondeggiando. Il cielo era un banco di nubi bianco grigiastre. Non avrebbe piovuto ma la neve sarebbe continuata a scendere, accumulandosi ancora di più.
Per Sturm la mattina era la parte della giornata più difficile da affrontare: svegliato sempre di soprassalto dalla madre nel bel mezzo del sonno, tra il calore confortante della coperta di pelliccia d'orso e sogni eroici in cui abbatteva giganti e grifoni. Dopo una frugale colazione composta da carne secca e un'abbondante ciotola di zuppa calda gli spettava un'inerpicata lungo il fianco ripido di una collina oscurata da una folta macchia di abeti dove suo padre si recava per far la legna.
Non una semplice scalata. Tra la neve alta doveva stare attento a non finire in una buca e rischiare di rimanere sommerso.
Marraccio alla cintola e bastone in pugno Sturm si avviava, come in ogni singola e gelida mattina.
Era l'unico ragazzino della sua età che si univa ai taglialegna.
Da ancor più piccolo si era già trovato a che fare con la legna. Berrion aveva deciso di sottoporlo ad un addestramento arduo così da farlo maturare come un vero ruathen, di irrobustirlo e dargli l'opportunità di affrontare le intemperie delle montagne di Ruathym.
Così Sturm imparò sin da subito la fatica di un giorno intero di lavoro.
Nel recinto adiacente alla casupola Berrion tagliava la legna con l'accetta così da farne dei ceppi. Sturm lo affiancava raccogliendo quanti più ceppi possibili da trasportare nel piccolo ripostiglio costruito appositamente per non far bagnare la legna che sarebbe poi servita per accendere nel braciere un fuoco che potesse scaldare tutta la casupola durante la notte, oscura e gelida.
Sturm conobbe fin troppo presto i crampi che gli attanagliavano le braccia, le gambe e il petto.
Crescendo le mansioni aumentavano senza diminuire in fatica. Tutt'altro.
A quell'età gli spettava spogliare i tronchi abbattuti da tutti i loro rami e successivamente, a colpi di marraccio, spezzare quegli stessi rami e trasportarli trascinando una slitta rudimentale fin giù in pianura.
Le prime volte con il marraccio in mano furono di una sofferenza inaudita. Le piaghe sulle mani non finivano di uscire: «C'è la neve Sturm, usa quella. Ci farai l'abitudine» Berrion era di un cinismo incredibile ma era anche un ottimo padre ed insegnante.
«Pa' aiutami!» puntualmente arrivava un forte schiaffo dietro il collo: «Non ci sarò per sempre Sturm. Devi farcela da solo. Sacrificati. Passa il limite, non fermarti». Severità che scaturiva in Sturm un gran senso di rivalsa. Non doveva e non voleva mostrarsi debole davanti a suo padre o a sua madre.
«Prima della spada o dell'ascia devi imparare a colpire. Ogni colpo ha una ripercussione sul braccio, per cui, se non ci sei abituato, potresti perdere l'arma che impugni per il dolore o l'indolenzimento. Quindi, prendi il marraccio e colpisci questi rami. Spezzali. Tieni la lama inclinata, andrà più in profondità. E resisti al dolore».
I primi colpi di marraccio erano caduti in punti differenti lungo tutto il ramo. Anche se relativamente più piccolo rispetto alla grossa ascia che usava Berrion, il marraccio, alla sua età, pesava parecchio. E colpire lo stesso punto con la stessa forza era davvero difficile.
Berrion rise, prendendosi gioco di lui: « la strada sarà lunga Sturm, molto lunga».
Ma anche il peso del marraccio venne meno man mano che la forza aumentava.
Giunse il tempo dell'ascia. Berrion glie ne aveva fatta comporre una: una testa pesante e bella tagliente, dall'aspetto granitico. Il lungo manico era in legno di quercia ben levigato.
Quell'ascia era un utensile formidabile ma presto la meraviglia passò.
Sturm si ritrovò ad abbattere alberi insieme a suo padre e ai suoi compagni di razzia. Colpire per obliquo, colpire per orizzontale. Sturm doveva ancora abituarsi bene al lungo e più pesante utensile, alle movenze necessarie perchè potesse assestare colpi precisi e violenti.
Questione di praticità.
Le fiammate alle spalle, ai dorsali e alle braccia erano nulla se confrontate a quello che stava per accadergli da lì a qualche giorno.
Alcuni tronchi erano stati addossati uno sopra l'altro su di una lieve altura. Quel giorno c'era il sole che splendeva alto nel cielo e gli Æsir avevano sgomberato il cielo da ogni singola nube. Il calore si percepiva come non mai.
Neve si sciolse.
Anche quella sotto i tronchi ammucchiati in forma piramidale si sciolse. I tronchi caddero, rotolando giù con fragore lungo la ripida collina.
Sturm si accorse troppo tardi del lungo tronco che lo investì fracassandogli anca e gamba.
Fu Jaeth e non Berrion a tirarlo fuori da sotto la neve, privo di sensi.
«Ha finito, ha la gamba e l'anca completamente fuori uso. Già tanto se rimarrà in piedi»
«Berrion» Jaeth lanciò al marito uno sguardo in tralice, eloquente « hai fatto e stai facendo un ottimo lavoro con lui. E' diventato forte e resistente contro ogni nostra aspettativa. Ce la farà anche questa volta. Ronfalr lo terrà sotto controllo, e medicherà le sue ossa affinchè tornino più sane e forti»
«Doveva essere più attento»
«Già, come te no?»
Berrion non replicò ma si limitò ad uscire dalla casupola borbottando.
Ci fu un lungo periodo di guarigione e poi di riabilitazione. Tornare a camminare era difficile, figuriamoci correre, o saltare, o fare leva su quelle che stavano diventando due forti gambe.
Ma come Jaeth aveva detto, Berrion stava insegnando bene a suo figlio a resistere, a lottare sempre di più, ad affermarsi.
«Perchè tutte queste pietre intorno alla gamba?»
Berrion che fino a un attimo prima era chino si rialzò con aria soddisfatta, annuendo. Annuì anche Jaeth.
«La gamba è rimasta troppo ferma mentre l'altra no. Dovrà compiere il triplo dello sforzo per tornare ad essere efficiente come prima. Le pietre sono peso aggiuntivo. Aiuteranno la gamba a recuperare il muscolo»
Tra le fitte di dolore ed il peso aggiuntivo Sturm dovette fare ancor più leva sulla gamba sana. Sviluppò un'andatura quasi da razziatore veterano, zoppicando vistosamente.
Terminato il periodo di riabilitazione la gamba era tornata dello stesso smalto muscolare della gemella.
Ma il portamento era rimasto compromesso.
Il passo pesante.
E claudicante.