06-10-2017, 14:32
(Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 06-10-2017, 14:46 da Owl.)
Le finanze di Dyane, la meticcia danzatrice e cantastorie senza gloria e senza fama, si erano piuttosto ridotte nell'ultimo periodo.
Il borsello in cuoio ricamato ondeggiava leggero alla cinta senza tintinnare, e il fedele liuto, fonte di ogni meraviglia dell'arte, risultava sempre più consumato nelle finiture esterne. C'era anche una piccola crepa sul retro, ma non aveva intaccato la cassa di risonanza interna, quindi Dyane aveva deciso di non preoccuparsene.
Non potendosi permettere la carovana, quella sera si era incamminata lungo le vie campestri fino a Peldan's Helm. Una volta raggiunta la locanda era completamente infreddolita, i piedi le dolevano, gli stivali erano sporchi di terra e impolverati, e i lunghi capelli tinti di riflessi bluastri si erano inumiditi e increspati per colpa dell'umidità della sera.
Riconosciuto il gruppo di Fjolnir e compari, con i quali trascorreva di tanto in tanto piacevoli serate, si avvicinò al fuoco per trovare ristoro e rilassare la mente nel confronto con quelle persone così confortanti.
Li aveva definiti "semplici, lineari, rassicuranti". Non era certa che avessero capito davvero ciò che intendeva, ma non era realmente importante.
Sciolse i capelli e con accurata lentezza prese a districarli e lisciarli, per poi raccoglierli nuovamente in una acconciatura decorosa. Non le importava essere in un lussuoso palazzo calishita o nella taverna di un contadino: la sua educazione le richiedeva di non tralasciare mai l'apparenza, la cura del corpo e del modo di porsi al mondo.
Nel mentre li ascoltava, godendosi il sollievo del tepore del fuoco, e sorridendo di quella semplicità di pensiero che la lasciava sempre un po' spiazzata.
Dopo aver ascoltato i racconti di una bizzarra festa in maschera dalle labbra di Sturm, il colosso dal nome pieno di sonorità fantasiose e il comportamento di un lago placido che nasconde foschi fondali, aveva deciso di ritirarsi in stanza per concedersi un meritato riposo.
Accostò la porta fermandosi con le schiena contro di essa, chiudendo gli occhi e traendo un profondo respiro. Era il suo momento prediletto, quello in cui poteva dare le spalle all'universo intero e immergersi nel buio di una stanza senza sogni, senza immagini.
Sfilò l'abito e i calzari concedendosi la lentezza di gesti semplici e ripetuti, come in un rituale antico che scrolla di dosso tutta la sporcizia accumulata nel vagare per il mondo.
Valli d’ombra negli occhi puntati innanzi, fissando con sguardo vacuo i contorni dei mobili inermi e rigonfi di banale nullità, mentre la calma scendeva lentamente a pervadere le membra, lasciando la mezzelfa come una marionetta inanimata, ripiegata su sé stessa alla fine dello spettacolo.
Spenta qualsiasi candela si infilò sotto le pesanti coperte e iniziò a respirare la notte. La mente lucidamente spietata, e incessantemente laboriosa, intenta a scandire il ritmo del respiro, come un appiglio estremo a una realtà che nel buio lentamente scivolava via.
Poco a poco non rimase altro che un indebolimento melodico, come se una nota infinitamente dolce si prolungasse nell’aria e lei fosse preda di uno svenimento, un vuoto sublime in grado di rimediare all’infelicità e addolcire la stanchezza.
Poco prima di scivolare nel sonno ripensò al racconto di quella festa. Le mancava forse quel mondo? Era nostalgia la morsa allo stomaco che aveva provato, o solo il rimasuglio di una persistenza passata, irrisolta e bruciante?
Si rigirò nel letto con crescente insofferenza. No, non era nostalgia.
* * * *
Calimport – Anni prima
Il corridoio percorso da ampie arcate è investito dalla flebile luce della luna e debolmente illuminato da alcune fiaccole. Diverse ragazze corrono avanti e indietro urtandosi e rispondendo ai comandi di una donna dalla voce imperiosa e arrogante.
Qualcuna corre con un serpente avvolto sulle spalle, altre con strumenti musicali, altre inciampano sui numerosi veli colorati.
Nell'ampio salone dei ricevimenti è in corso una delle grosse feste di rappresentanza indette dal Vizir per riunire i principali Sabbalad ed Yshahs del circondario. Le schiave dell'harem, istruite a perfezione in tutte le arti, provvedono all'intrattenimento degli ospiti.
Il borsello in cuoio ricamato ondeggiava leggero alla cinta senza tintinnare, e il fedele liuto, fonte di ogni meraviglia dell'arte, risultava sempre più consumato nelle finiture esterne. C'era anche una piccola crepa sul retro, ma non aveva intaccato la cassa di risonanza interna, quindi Dyane aveva deciso di non preoccuparsene.
Non potendosi permettere la carovana, quella sera si era incamminata lungo le vie campestri fino a Peldan's Helm. Una volta raggiunta la locanda era completamente infreddolita, i piedi le dolevano, gli stivali erano sporchi di terra e impolverati, e i lunghi capelli tinti di riflessi bluastri si erano inumiditi e increspati per colpa dell'umidità della sera.
Riconosciuto il gruppo di Fjolnir e compari, con i quali trascorreva di tanto in tanto piacevoli serate, si avvicinò al fuoco per trovare ristoro e rilassare la mente nel confronto con quelle persone così confortanti.
Li aveva definiti "semplici, lineari, rassicuranti". Non era certa che avessero capito davvero ciò che intendeva, ma non era realmente importante.
Sciolse i capelli e con accurata lentezza prese a districarli e lisciarli, per poi raccoglierli nuovamente in una acconciatura decorosa. Non le importava essere in un lussuoso palazzo calishita o nella taverna di un contadino: la sua educazione le richiedeva di non tralasciare mai l'apparenza, la cura del corpo e del modo di porsi al mondo.
Nel mentre li ascoltava, godendosi il sollievo del tepore del fuoco, e sorridendo di quella semplicità di pensiero che la lasciava sempre un po' spiazzata.
Dopo aver ascoltato i racconti di una bizzarra festa in maschera dalle labbra di Sturm, il colosso dal nome pieno di sonorità fantasiose e il comportamento di un lago placido che nasconde foschi fondali, aveva deciso di ritirarsi in stanza per concedersi un meritato riposo.
Accostò la porta fermandosi con le schiena contro di essa, chiudendo gli occhi e traendo un profondo respiro. Era il suo momento prediletto, quello in cui poteva dare le spalle all'universo intero e immergersi nel buio di una stanza senza sogni, senza immagini.
Sfilò l'abito e i calzari concedendosi la lentezza di gesti semplici e ripetuti, come in un rituale antico che scrolla di dosso tutta la sporcizia accumulata nel vagare per il mondo.
Valli d’ombra negli occhi puntati innanzi, fissando con sguardo vacuo i contorni dei mobili inermi e rigonfi di banale nullità, mentre la calma scendeva lentamente a pervadere le membra, lasciando la mezzelfa come una marionetta inanimata, ripiegata su sé stessa alla fine dello spettacolo.
Spenta qualsiasi candela si infilò sotto le pesanti coperte e iniziò a respirare la notte. La mente lucidamente spietata, e incessantemente laboriosa, intenta a scandire il ritmo del respiro, come un appiglio estremo a una realtà che nel buio lentamente scivolava via.
Poco a poco non rimase altro che un indebolimento melodico, come se una nota infinitamente dolce si prolungasse nell’aria e lei fosse preda di uno svenimento, un vuoto sublime in grado di rimediare all’infelicità e addolcire la stanchezza.
Poco prima di scivolare nel sonno ripensò al racconto di quella festa. Le mancava forse quel mondo? Era nostalgia la morsa allo stomaco che aveva provato, o solo il rimasuglio di una persistenza passata, irrisolta e bruciante?
Si rigirò nel letto con crescente insofferenza. No, non era nostalgia.
* * * *
Calimport – Anni prima
Il corridoio percorso da ampie arcate è investito dalla flebile luce della luna e debolmente illuminato da alcune fiaccole. Diverse ragazze corrono avanti e indietro urtandosi e rispondendo ai comandi di una donna dalla voce imperiosa e arrogante.
Qualcuna corre con un serpente avvolto sulle spalle, altre con strumenti musicali, altre inciampano sui numerosi veli colorati.
Nell'ampio salone dei ricevimenti è in corso una delle grosse feste di rappresentanza indette dal Vizir per riunire i principali Sabbalad ed Yshahs del circondario. Le schiave dell'harem, istruite a perfezione in tutte le arti, provvedono all'intrattenimento degli ospiti.
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Immune al frenetico via vai, rimango appoggiata al muretto sotto l'arcata principale, osservando rapita il cielo stellato che si dispiega maestoso sopra il deserto.
Ma la magia di quest'attimo di pace viene bruscamente interrotta da una ragazzina bionda che mi strattona afferrandomi un braccio.
"Scendi dalle nuvole inutile mezzelfa. Sbrigati, che tocca a te."
La voce stizzita della jhasina ha l'unico effetto di farmi sbuffare nervosamente, mentre mi lascio trascinare via di malavoglia.
"Ah! E vedi di non rovesciare l'otre di vino come l'ultima volta. Guarda dove metti i piedi!"
Le rivolgo un sorrisetto sfacciato e beffardo, strattonandola all'indietro a mia volta, e mi fermo a fissarla con uno sguardo tagliente.
"Certo certo...tutto quel che vuoi...tanto tra poco me ne andrò da questo stupido posto. Lui mi porterà via."
La biondina mi liquida con un solo sguardo di sufficienza, e riprende a trascinarmi verso il grande portone d'ingresso, dandomi una poderosa spinta dopo avermi spruzzato addosso dell'altro intenso profumo di sandalo che quasi mi soffoca.
"Che stronzate, nessuno se ne va da qui. Smettila di sognare, ingenua mezzosangue."
La voce si perde nel frastuono, mentre faccio il mio consueto ingresso in sala, danzando in punta di piedi e nascondendomi parte del volto con una sapiente danza di veli leggiadri.
La sfarzosa decadenza della nobiltà calishita permea ogni angolo dell'ampio salone agghindato a festa. L'aria è satura di profumi intensi, del vociare degli ospiti inebriati dai vapori dell'alcol, e l'atmosfera è densa di un fumo fitto che distorce i contorni delle cose.
Finisco il mio numero, accolgo gli applausi, sguscio tra gli ospiti rivolgendo loro occhiate languide per farli sentire desiderati e speciali, e infine raggiungo il mio posto sui cuscini dove mi attende il mio prezioso liuto.
Lui si avvicina a me solo dopo qualche ora, guardandomi intensamente per alcuni istanti prima di sparire verso l'uscita.
Il fumo scorre attraverso di noi, impalpabile ed effimero, cambiando i contorni delle cose. Rilasso il mio sguardo e lascio che si immerga nel suo, soffio l’aria per spingerla a carezzare il suo viso, dove le mie mani ora non possono osare.
Nell’ozio, nei sogni, nel lucido delirio del fumo, a volte la verità sommersa viene a galla. Spirito e materia, materia e spirito: mi appaiono adesso così misteriosi. C’è qualcosa di animalesco nell'anima, quando il corpo riesce a trovare attimi di spiritualità…i sensi possono raffinarsi, e l'intelletto degenerare.
Meravigliosa febbre d’insensatezza: due specchi si fronteggiano ed affondano all’infinito.
"Non avresti mai dovuto innamorarti di lui."
Ma la magia di quest'attimo di pace viene bruscamente interrotta da una ragazzina bionda che mi strattona afferrandomi un braccio.
"Scendi dalle nuvole inutile mezzelfa. Sbrigati, che tocca a te."
La voce stizzita della jhasina ha l'unico effetto di farmi sbuffare nervosamente, mentre mi lascio trascinare via di malavoglia.
"Ah! E vedi di non rovesciare l'otre di vino come l'ultima volta. Guarda dove metti i piedi!"
Le rivolgo un sorrisetto sfacciato e beffardo, strattonandola all'indietro a mia volta, e mi fermo a fissarla con uno sguardo tagliente.
"Certo certo...tutto quel che vuoi...tanto tra poco me ne andrò da questo stupido posto. Lui mi porterà via."
La biondina mi liquida con un solo sguardo di sufficienza, e riprende a trascinarmi verso il grande portone d'ingresso, dandomi una poderosa spinta dopo avermi spruzzato addosso dell'altro intenso profumo di sandalo che quasi mi soffoca.
"Che stronzate, nessuno se ne va da qui. Smettila di sognare, ingenua mezzosangue."
La voce si perde nel frastuono, mentre faccio il mio consueto ingresso in sala, danzando in punta di piedi e nascondendomi parte del volto con una sapiente danza di veli leggiadri.
La sfarzosa decadenza della nobiltà calishita permea ogni angolo dell'ampio salone agghindato a festa. L'aria è satura di profumi intensi, del vociare degli ospiti inebriati dai vapori dell'alcol, e l'atmosfera è densa di un fumo fitto che distorce i contorni delle cose.
Finisco il mio numero, accolgo gli applausi, sguscio tra gli ospiti rivolgendo loro occhiate languide per farli sentire desiderati e speciali, e infine raggiungo il mio posto sui cuscini dove mi attende il mio prezioso liuto.
Lui si avvicina a me solo dopo qualche ora, guardandomi intensamente per alcuni istanti prima di sparire verso l'uscita.
Il fumo scorre attraverso di noi, impalpabile ed effimero, cambiando i contorni delle cose. Rilasso il mio sguardo e lascio che si immerga nel suo, soffio l’aria per spingerla a carezzare il suo viso, dove le mie mani ora non possono osare.
Nell’ozio, nei sogni, nel lucido delirio del fumo, a volte la verità sommersa viene a galla. Spirito e materia, materia e spirito: mi appaiono adesso così misteriosi. C’è qualcosa di animalesco nell'anima, quando il corpo riesce a trovare attimi di spiritualità…i sensi possono raffinarsi, e l'intelletto degenerare.
Meravigliosa febbre d’insensatezza: due specchi si fronteggiano ed affondano all’infinito.
"Non avresti mai dovuto innamorarti di lui."
Dyane Alfarham