10-10-2017, 02:23
Soppesava alcune monete nella mancina, intenta a contarle con un'espressione svogliata e una lieve smorfia di disappunto, mentre il carovaniere attempato e dall'alito disturbante le teneva addosso lo sguardo viscido.
Dyane gli rovesciò la somma tra le mani, ritraendo le sue con un moto di stizza, pur senza rinunciare ad un educato saluto di congedo, formalità che avrebbe pur sempre rispettato, anche di fronte al suo peggior nemico.
Prima di salire sulla carrozza volse un'ultima occhiata alle ombre della sera che si allungavano sui profili delle case di Peldan's Helm. Ci sarebbe tornata, le piaceva quel gruppo selvatico di orgogliosi guerrieri e donne dal carattere granitico e focoso al contempo.
La diversità dal proprio mondo la incuriosiva, e forse ne aveva avuto abbastanza di passare le giornate con quelli come lei, sempre a rattopparsi maschere usurate sulla faccia, indossando costumi di scena ingrigiti dalla polvere, come vestiti usati cuciti addosso senza prima lavar via il sangue.
A lei era sempre piaciuto cambiar pelle, e strisciare come un serpente ad ogni stagione calda verso nuove forme. Quando anni prima era salita su quella carovana di teatranti girovaghi sapeva che avrebbe trovato esattamente ciò che le serviva, dimenticando il timore recondito di finire semplicemente dentro una nuova gabbia, seppur dai contorni meno definiti.
Improvvisamente poteva essere tutti e nessuno, possedere mille volti e tanti altri costumi, e avere sempre un sipario a separarla dalla gente. Aveva la netta certezza di poter sperimentare travolgenti passioni pur non vivendo affatto oltre lo spazio di quel palcoscenico.
Così si era abbandonata all’ebbrezza di un mondo in cui tutto era finzione eppure nulla menzogna, ricominciando a nutrire sogni ed illusioni adatti alla sua giovane età, appendendoli come spille su quella che poteva giurare essere ancora la sua vera pelle.
Si scosse dai propri pensieri quando la carovana frenò in modo brusco piantandosi in una pozzanghera. Non si era nemmeno accorta della pioggia che rigava il vetro, liquefando i contorni delle mura di Ashabenford in lontananza.
Legò lo scialle alla testa per non rovinare l'acconciatura e scese accettando l'aiuto di quello che sembrava un borghesotto arricchito, che si era messo a fare il cortese con lei dopo che aveva russato lungo tutto il viaggio.
La grande città si dispiegava come un mosaico iridescente dalle mille possibilità e gli infiniti potenziali incontri. Il vile bisogno di intascare qualche moneta si poteva imbellettare con il pretesto dell'arte, divenendo un fuoco che alimentava da solo sè stesso.
Pochi passi oltre gli imponenti cancelli scorse tra la folla un volto spiccare dalla moltitudine, fissandola man mano che si avvicinava.
Difficile dimenticare i lineamenti di quel mezzelfo, non dopo aver osato sbirciare oltre la fuliggine nel suo sguardo, intravedendo l'ebbrezza di un cupo abisso.
"Non sembri contenta di rivedermi."
"In realtà...non l'ho ancora deciso."
Lui le sorrideva sfrontato e beffardo, aspettandosi una risposta di convenienza. Ma Dyane non aveva bisogno di mentire, non ancora.
Chiacchierarono come già avevano fatto altre volte, utilizzando le parole come lame sottili che accarezzano la superficie della pelle nei punti in cui è più sottile e delicata, tuttavia senza mai affondare nella vertigine del sangue.
C'era qualcosa nell'inquietudine repressa di quel meticcio che la attirava intensamente. Non aveva tuttavia alcuna intenzione di lasciargli condurre le redini del gioco.
Decise di girare attorno alla fortezza inespugnabile della sua maschera, instillando in lui il dubbio di potergli vedere dentro, in qualche modo.
Quando furono sulla riva del lago dalla superficie placida e specchiante, la barda pensò che fosse una meravigliosa opera d'arte l'accostamento di quell'ombrosa irrequietezza con l'idilliaca pace del luogo.
Prese il mazzo dei tarocchi, con illustrazioni delle classiche figure rielaborate nello stile della sua terra d'origine, e iniziò a lasciare che il caso diventasse padrone del gioco.
Fu facile, le bastò una sola carta. Ma parlava di lui o di sè stessa?
~ L'Appeso ~
"Mi trovo in questa posizione perché lo voglio. Sono stato io a recidere i rami. Ho liberato le mie mani dal desiderio di afferrare, di appropriarmi delle cose, di trattenerle.
Senza abbandonare il mondo, me ne sono ritratto. Ho raggiunto lo stato in cui le parole, le emozioni, le relazioni, i desideri, i bisogni non mi tengono più legato.
Ho la sensazione di cadere eternamente verso me stesso. Mi cerco attraverso il labirinto delle parole, sono colui che pensa e non ciò che viene pensato.
A una distanza infinita dal fiume dei desideri, conosco la quiete dell'oblio. Non sono un corpo, ma colui che lo abita. Per arrivare a me stesso, sono un cacciatore che sacrifica la preda."
* * *
Ulgoth's Beard – Due anni prima
Salgo le scale con passo pesante, spossata dalla settimana di continui spettacoli e conseguenti notti annebbiate dal vino. Entro nella stanza che ho in affitto ormai da quasi un mese e mi preparo il letto per la notte.
Mi distendo cercando di allungarmi per dare sollievo ai muscoli del mio corpo, e ad occhi aperti ripenso al viaggio che sto facendo, agli scopi che mi sono prefissata, alle lettere che dovrei scrivere...Buio.
Mi sveglio di soprassalto udendo un tonfo oltre la parete. La stanza è imbiancata dal chiaro di luna che filtra dai balconi che ho dimenticato di accostare. Fa un freddo pungente in queste terre e ripenso a quanto mi manca il deserto.
Rimango sdraiata, immobile, e ascolto ancora. Silenzio.
Vorrei tornare a dormire ma non ci riesco, ripenso alla ragazza della camera accanto e quel pensiero come un tarlo cominicia a mangiucchiarmi la mente. Non vado a parlarle da qualche giorno, assorbita dai troppi impegni con la compagnia teatrale.
Lei mi piace: cova una debole fiammella di speranza attorniata dalla desolazione di una vita colma delle delusioni che l'hanno lasciata stremata.
E' ad un passo dalla consolazione che potrebbe finalmente dare un senso a tutto, e io sono così presuntuosa che voglio essere lì a porgerle la mano.
Mi alzo e sguscio nel corridoio buio, sfiorando la parete con la leggera vestaglia, fermandomi davanti alla porta che ho varcato altre volte, invitata da lei.
Mi accorgo che ha lasciato le chiavi sulla toppa, attaccate per fuori. D'improvviso capisco che è tutto finito, come un fulmine a ciel sereno che non riesce a scacciare le tenebre della tempesta, la consapevolezza di aver fallito mi pervade lasciandomi a fissare quella porta.
Ora so che nessuno ci entrerà più, ma io voglio ancora sentire il suo profumo, immaginarla seduta a scrivere lunghe pagine di diario per scacciare la tristezza, rivedere un'ultima volta quella sua bellezza appassita, tipica dei vinti.
Giro la chiave ed entro nell'anticamera, frugo nella scrivania e prendo un blocco di fogli riempiti d'inchiostro, di vita e pensieri. Mi siedo ed inizio a sfogliarli, passano minuti, forse ore. Vivo il suo dolore, i suoi sogni, l'amarezza dei fallimenti.
Mi decido ad aprire la seconda porta, verso la stanza da letto vera e propria, mentre il silenzio alimenta l'inquietudine dell'assenza della sua voce che mi racconta storie di una infelice vita.
Solo allora la vedo, sospesa a mezz'aria, la testa reclinata sul petto. Non ha il coraggio di guardarmi. Le tolgo la corda sfilacciata dal collo e la prendo in braccio rimirandone il pallore livido.
Mentre appoggio sul letto il suo corpo senza vita ripeto a me stessa che ho ancora molto da imparare.
"Sonno d’oblio, districa le stelle, brucia i ricordi, annienta il dolore.
Purificami attraverso un flusso di buio.
Concedimi una vita che io possa vivere."
Dyane gli rovesciò la somma tra le mani, ritraendo le sue con un moto di stizza, pur senza rinunciare ad un educato saluto di congedo, formalità che avrebbe pur sempre rispettato, anche di fronte al suo peggior nemico.
Prima di salire sulla carrozza volse un'ultima occhiata alle ombre della sera che si allungavano sui profili delle case di Peldan's Helm. Ci sarebbe tornata, le piaceva quel gruppo selvatico di orgogliosi guerrieri e donne dal carattere granitico e focoso al contempo.
La diversità dal proprio mondo la incuriosiva, e forse ne aveva avuto abbastanza di passare le giornate con quelli come lei, sempre a rattopparsi maschere usurate sulla faccia, indossando costumi di scena ingrigiti dalla polvere, come vestiti usati cuciti addosso senza prima lavar via il sangue.
A lei era sempre piaciuto cambiar pelle, e strisciare come un serpente ad ogni stagione calda verso nuove forme. Quando anni prima era salita su quella carovana di teatranti girovaghi sapeva che avrebbe trovato esattamente ciò che le serviva, dimenticando il timore recondito di finire semplicemente dentro una nuova gabbia, seppur dai contorni meno definiti.
Improvvisamente poteva essere tutti e nessuno, possedere mille volti e tanti altri costumi, e avere sempre un sipario a separarla dalla gente. Aveva la netta certezza di poter sperimentare travolgenti passioni pur non vivendo affatto oltre lo spazio di quel palcoscenico.
Così si era abbandonata all’ebbrezza di un mondo in cui tutto era finzione eppure nulla menzogna, ricominciando a nutrire sogni ed illusioni adatti alla sua giovane età, appendendoli come spille su quella che poteva giurare essere ancora la sua vera pelle.
Si scosse dai propri pensieri quando la carovana frenò in modo brusco piantandosi in una pozzanghera. Non si era nemmeno accorta della pioggia che rigava il vetro, liquefando i contorni delle mura di Ashabenford in lontananza.
Legò lo scialle alla testa per non rovinare l'acconciatura e scese accettando l'aiuto di quello che sembrava un borghesotto arricchito, che si era messo a fare il cortese con lei dopo che aveva russato lungo tutto il viaggio.
La grande città si dispiegava come un mosaico iridescente dalle mille possibilità e gli infiniti potenziali incontri. Il vile bisogno di intascare qualche moneta si poteva imbellettare con il pretesto dell'arte, divenendo un fuoco che alimentava da solo sè stesso.
Pochi passi oltre gli imponenti cancelli scorse tra la folla un volto spiccare dalla moltitudine, fissandola man mano che si avvicinava.
Difficile dimenticare i lineamenti di quel mezzelfo, non dopo aver osato sbirciare oltre la fuliggine nel suo sguardo, intravedendo l'ebbrezza di un cupo abisso.
"Non sembri contenta di rivedermi."
"In realtà...non l'ho ancora deciso."
Lui le sorrideva sfrontato e beffardo, aspettandosi una risposta di convenienza. Ma Dyane non aveva bisogno di mentire, non ancora.
Chiacchierarono come già avevano fatto altre volte, utilizzando le parole come lame sottili che accarezzano la superficie della pelle nei punti in cui è più sottile e delicata, tuttavia senza mai affondare nella vertigine del sangue.
C'era qualcosa nell'inquietudine repressa di quel meticcio che la attirava intensamente. Non aveva tuttavia alcuna intenzione di lasciargli condurre le redini del gioco.
Decise di girare attorno alla fortezza inespugnabile della sua maschera, instillando in lui il dubbio di potergli vedere dentro, in qualche modo.
Quando furono sulla riva del lago dalla superficie placida e specchiante, la barda pensò che fosse una meravigliosa opera d'arte l'accostamento di quell'ombrosa irrequietezza con l'idilliaca pace del luogo.
Prese il mazzo dei tarocchi, con illustrazioni delle classiche figure rielaborate nello stile della sua terra d'origine, e iniziò a lasciare che il caso diventasse padrone del gioco.
Fu facile, le bastò una sola carta. Ma parlava di lui o di sè stessa?
~ L'Appeso ~
"Mi trovo in questa posizione perché lo voglio. Sono stato io a recidere i rami. Ho liberato le mie mani dal desiderio di afferrare, di appropriarmi delle cose, di trattenerle.
Senza abbandonare il mondo, me ne sono ritratto. Ho raggiunto lo stato in cui le parole, le emozioni, le relazioni, i desideri, i bisogni non mi tengono più legato.
Ho la sensazione di cadere eternamente verso me stesso. Mi cerco attraverso il labirinto delle parole, sono colui che pensa e non ciò che viene pensato.
A una distanza infinita dal fiume dei desideri, conosco la quiete dell'oblio. Non sono un corpo, ma colui che lo abita. Per arrivare a me stesso, sono un cacciatore che sacrifica la preda."
* * *
Ulgoth's Beard – Due anni prima
Salgo le scale con passo pesante, spossata dalla settimana di continui spettacoli e conseguenti notti annebbiate dal vino. Entro nella stanza che ho in affitto ormai da quasi un mese e mi preparo il letto per la notte.
Mi distendo cercando di allungarmi per dare sollievo ai muscoli del mio corpo, e ad occhi aperti ripenso al viaggio che sto facendo, agli scopi che mi sono prefissata, alle lettere che dovrei scrivere...Buio.
Mi sveglio di soprassalto udendo un tonfo oltre la parete. La stanza è imbiancata dal chiaro di luna che filtra dai balconi che ho dimenticato di accostare. Fa un freddo pungente in queste terre e ripenso a quanto mi manca il deserto.
Rimango sdraiata, immobile, e ascolto ancora. Silenzio.
Vorrei tornare a dormire ma non ci riesco, ripenso alla ragazza della camera accanto e quel pensiero come un tarlo cominicia a mangiucchiarmi la mente. Non vado a parlarle da qualche giorno, assorbita dai troppi impegni con la compagnia teatrale.
Lei mi piace: cova una debole fiammella di speranza attorniata dalla desolazione di una vita colma delle delusioni che l'hanno lasciata stremata.
E' ad un passo dalla consolazione che potrebbe finalmente dare un senso a tutto, e io sono così presuntuosa che voglio essere lì a porgerle la mano.
Mi alzo e sguscio nel corridoio buio, sfiorando la parete con la leggera vestaglia, fermandomi davanti alla porta che ho varcato altre volte, invitata da lei.
Mi accorgo che ha lasciato le chiavi sulla toppa, attaccate per fuori. D'improvviso capisco che è tutto finito, come un fulmine a ciel sereno che non riesce a scacciare le tenebre della tempesta, la consapevolezza di aver fallito mi pervade lasciandomi a fissare quella porta.
Ora so che nessuno ci entrerà più, ma io voglio ancora sentire il suo profumo, immaginarla seduta a scrivere lunghe pagine di diario per scacciare la tristezza, rivedere un'ultima volta quella sua bellezza appassita, tipica dei vinti.
Giro la chiave ed entro nell'anticamera, frugo nella scrivania e prendo un blocco di fogli riempiti d'inchiostro, di vita e pensieri. Mi siedo ed inizio a sfogliarli, passano minuti, forse ore. Vivo il suo dolore, i suoi sogni, l'amarezza dei fallimenti.
Mi decido ad aprire la seconda porta, verso la stanza da letto vera e propria, mentre il silenzio alimenta l'inquietudine dell'assenza della sua voce che mi racconta storie di una infelice vita.
Solo allora la vedo, sospesa a mezz'aria, la testa reclinata sul petto. Non ha il coraggio di guardarmi. Le tolgo la corda sfilacciata dal collo e la prendo in braccio rimirandone il pallore livido.
Mentre appoggio sul letto il suo corpo senza vita ripeto a me stessa che ho ancora molto da imparare.
"Sonno d’oblio, districa le stelle, brucia i ricordi, annienta il dolore.
Purificami attraverso un flusso di buio.
Concedimi una vita che io possa vivere."
Dyane Alfarham