11-10-2017, 16:40
Calimport – Anni prima
La sera era calata riversando il suo abbraccio buio e silenzioso tra le strade della Perla del Deserto. Dyane era sgusciata fuori dalle stanze delle schiave utilizzando il passaggio che tutte conoscevano ma usavano con parsimonia, per il terrore di essere scoperte.
Si infilò tra i palazzi, sgattaiolando in un paio di vicoli stretti ormai semideserti, per poi imboccare un'angusta scala in discesa fino ad un anonimo portone immerso nella penombra.
Quella notte si erano aggiunte al gruppo alcune figure che non aveva mai visto prima. La mezzelfa rivolse loro qualche sfuggente occhiata mentre la donna nel lungo abito scuro, dai preziosi capelli corvini, era intenta ad istruirli con paziente fermezza.
Si liberò del pesante mantello e dal velo che aveva usato per fuggire lungo le strade celando il proprio volto, e si avvicinò alla raffinata arpa intagliata in legno d'ebano. Presa posizione sullo sgabello allungò le braccia cingendo lo strumento con delicate movenze, iniziando a pizzicare debolmente le corde con le dita affusolate, creando una melodia cupa ma intensamente evocativa.
La sacerdotessa chiamò una delle ragazze nuove, minuta, dai lunghi capelli rossi. La stanza era intrisa di una penombra invadente, solcata solo dal debole raggio luminoso di due candele poste agli angoli opposti dello spazio abitabile.
C'era luce appena sufficiente per intuire le espressioni sui volti delle due donne che ora si erano sedute sul tavolino al centro della stanza, fronteggiandosi.
La donna in nero tese la mano invitando la ragazzina ad afferrarla, in un bizzarro braccio di ferro. La novizia obbedì in silenzio, ascoltando con attenzione le regole del gioco: poche, semplici, spietate.
Dyane continuava a suonare nell'ombra del suo angolino, riempiendo di una melodia malinconica i lunghi attimi di silenzio tra le due, che tra una domanda e l'altra continuavano a sostenere i propri sguardi senza mai lasciare il contatto delle mani.
"Ora iniziamo a scavare più a fondo. Dimmi, cosa riempie il tuo cuore di terrore, più d'ogni altra cosa?"
La ragazzina iniziò a tremare, Dyane poteva percepirlo, come una vibrazione muta nell'aria, come un predatore che annusa l'odore della sua vittima.
Dopo la risposta della rossa, stupida e poco credibile, anche la melodia dell'arpa iniziò a scemare, lasciando le due sprofondare in un silenzio terrificante.
Lo sguardo della donna corvina si trasformò in un abisso insondabile e terribilmente ipnotico, mentre la presa della sua mano pallida e nervosa si faceva sempre più stretta su quella della ragazzina, in una morsa senza scampo. Per un istante Dyane scorse un lieve bagliore metallico scintillarle tra le dita, intuendo il trucchetto della donna.
Qualche istante dopo un rivolo di sangue vermiglio rigava la carne pulsante della mano della ragazza che, atterrita, iniziò a piangere e a cercare di ritrarsi verso una via di fuga impossibile.
La sacerdotessa fece un moto di stizza lasciandole la mano e volgendo con la stessa un cenno ad uno degli uomini incappucciati.
"Portatela via, non è ancora pronta."
Non vi era alcun tipo di emozione in quelle parole, nè un flebile astio nè amarezza, nè delusione. Erano semplicemente atone, pacate, svuotate d'ogni enfasi.
Dyane l'avrebbe ascoltata per ore. Sentiva il bisogno crescente del veleno che stillavano i suoi occhi neri come l’inchiostro, di specchiarsi capovolta in quegli abissi di sogni dimenticati che la sua presenza risvegliava, affondandola nel terrore di ciò che non poteva essere evitato.
"Dyane, vieni mia cara. Tocca a te.
Ora mi darai le tue paure, e io le custodirò per te. Questo ci renderà entrambe molto più forti."
La mezzelfa si alzò esitando con una mano sull'arpa, sfiorandola mentre la abbandonava, per raggiungere il centro della stanza e accomodarsi sulla sedia lasciata vuota.
Il volto della donna in nero non era che una sagoma nell'oscurità, ma il suo sguardo brillava del lontano riflesso delle candele.
La mezzelfa afferrò la mano, e dopo aver chiuso gli occhi respirando a fondo, si preparò a fronteggiare quello sguardo divorante.
"Non deludermi, Dyane."
Non ne aveva alcuna intenzione. Strinse la mano in quella di lei e si protese in avanti sul tavolo, avvicinandosi pericolosamente all'orlo dell'abisso che sprofondava chissà dove oltre quello sguardo buio.
La mezzelfa non mentì, non ne aveva più bisogno. Le parole fluirono, le lasciò colare languide, accogliendo l’estasi e la pena del rancore, bevendo a fondo l’angoscia sublime che come un macigno cercava di ancorarla alla vacuità del mondo.
Quando la sacerdotessa lasciò la presa alla fine del gioco, la mezzelfa ritrasse la propria mano, osservandola. Era completamente illesa, per la prima volta dopo tanti mesi.
Il sollievo del momento non durò che un attimo. Improvvisamente realizzò il compito che l'attendeva, celato in quelle labbra cremisi che ora si tendevano in un sorriso agghiacciante.
***
Le Valli, Locanda dell'Opale d'Acqua - Oggi
Le numerose vasche d'acqua nel giardino della locanda creano un rilassante sottofondo, una melodia fluida, continua e ripetitiva. Chissà perchè mi piace portarlo sempre vicino all'acqua? Forse per placare la sua divorante propensione al fuoco scuro, o forse solo per infastidirlo di più. Probabilmente ci sono riuscita, perchè continua a guardarsi intorno con una malcelata insofferenza.
Potrei lasciarlo godersi il vino e tranquillizzarsi, o infierire subito. Opto per la seconda.
"Facciamo un gioco, ti va?"
Gli spiego le regole del gioco, sforzandomi di non risultare inquetante come lo era lei, del resto sono molto più brava nella sottile arte della persuasione. Mi piace accarezzare con le parole, amo la musica perchè addolcisce le pene, preferisco un boia che mi trapassi il cuore sorridendomi teneramente.
Stringo la sua mano e mi concentro per essere pronta a sostenere gli sguardi. Sono io che tengo le redini ed ostento sicurezza, ma questo gioco è pericoloso, è come camminare sulle sabbie mobili in punta di piedi.
Lui mente alle prime due domande, non mi è difficile scoprirlo. E' meno scaltro di quanto pensassi, o forse ho solo trovato la tecnica giusta per metterlo alle strette. Ma non è sconfiggerlo che voglio, non c'è competizione, non c'è vittoria in questa giostra perversa.
Lui sanguina, io brucio. Mi trovo a stravolgere le regole trascinata a fondo dal vortice di un gioco che avrei dovuto padroneggiare a perfezione. Lascio che le cose scivolino pericolosamente verso un fondo buio in cui non so cosa troverò, ma ho smesso di avere paura della notte molto tempo fa.
Qualche ora dopo mi ritrovo a fissare il soffitto, distesa su coperte di seta color cobalto in una lussuosa stanza da letto, completamente nuda. Lui si rigira di fianco a me, di tanto in tanto sbuffa. Sorrido. Sono matematicamente certa che non infrangerà le regole e non oserà toccarmi. Forse era una deviazione del gioco non necessaria, ma senza dubbio divertente.
Sollevo la mia mano destra muovendola appena nel buio. Al mio sguardo dal retaggio elfico basta un minimo raggio di luce che filtra da oltre la porta per distinguere i contorni nelle cose.
L'ustione non può rimanere. Sussurro una breve formula magica nelle parole dell'antica lingua del mio popolo, e lentamente la carne guarisce.
Mi rannicchio sul fianco gettando su di lui un'ultima occhiata: ho deciso che mi fiderò.
Respiro la notte e rallento i pensieri. Domattina penserò alla mia risposta. Buio.
"Ci riflettiamo su questo regno colmo d’ombre, riempito da un crepuscolo senza fine, come stelle nella gola della vacuità che originano una meravigliosa notte."
La sera era calata riversando il suo abbraccio buio e silenzioso tra le strade della Perla del Deserto. Dyane era sgusciata fuori dalle stanze delle schiave utilizzando il passaggio che tutte conoscevano ma usavano con parsimonia, per il terrore di essere scoperte.
Si infilò tra i palazzi, sgattaiolando in un paio di vicoli stretti ormai semideserti, per poi imboccare un'angusta scala in discesa fino ad un anonimo portone immerso nella penombra.
Quella notte si erano aggiunte al gruppo alcune figure che non aveva mai visto prima. La mezzelfa rivolse loro qualche sfuggente occhiata mentre la donna nel lungo abito scuro, dai preziosi capelli corvini, era intenta ad istruirli con paziente fermezza.
Si liberò del pesante mantello e dal velo che aveva usato per fuggire lungo le strade celando il proprio volto, e si avvicinò alla raffinata arpa intagliata in legno d'ebano. Presa posizione sullo sgabello allungò le braccia cingendo lo strumento con delicate movenze, iniziando a pizzicare debolmente le corde con le dita affusolate, creando una melodia cupa ma intensamente evocativa.
La sacerdotessa chiamò una delle ragazze nuove, minuta, dai lunghi capelli rossi. La stanza era intrisa di una penombra invadente, solcata solo dal debole raggio luminoso di due candele poste agli angoli opposti dello spazio abitabile.
C'era luce appena sufficiente per intuire le espressioni sui volti delle due donne che ora si erano sedute sul tavolino al centro della stanza, fronteggiandosi.
La donna in nero tese la mano invitando la ragazzina ad afferrarla, in un bizzarro braccio di ferro. La novizia obbedì in silenzio, ascoltando con attenzione le regole del gioco: poche, semplici, spietate.
Dyane continuava a suonare nell'ombra del suo angolino, riempiendo di una melodia malinconica i lunghi attimi di silenzio tra le due, che tra una domanda e l'altra continuavano a sostenere i propri sguardi senza mai lasciare il contatto delle mani.
"Ora iniziamo a scavare più a fondo. Dimmi, cosa riempie il tuo cuore di terrore, più d'ogni altra cosa?"
La ragazzina iniziò a tremare, Dyane poteva percepirlo, come una vibrazione muta nell'aria, come un predatore che annusa l'odore della sua vittima.
Dopo la risposta della rossa, stupida e poco credibile, anche la melodia dell'arpa iniziò a scemare, lasciando le due sprofondare in un silenzio terrificante.
Lo sguardo della donna corvina si trasformò in un abisso insondabile e terribilmente ipnotico, mentre la presa della sua mano pallida e nervosa si faceva sempre più stretta su quella della ragazzina, in una morsa senza scampo. Per un istante Dyane scorse un lieve bagliore metallico scintillarle tra le dita, intuendo il trucchetto della donna.
Qualche istante dopo un rivolo di sangue vermiglio rigava la carne pulsante della mano della ragazza che, atterrita, iniziò a piangere e a cercare di ritrarsi verso una via di fuga impossibile.
La sacerdotessa fece un moto di stizza lasciandole la mano e volgendo con la stessa un cenno ad uno degli uomini incappucciati.
"Portatela via, non è ancora pronta."
Non vi era alcun tipo di emozione in quelle parole, nè un flebile astio nè amarezza, nè delusione. Erano semplicemente atone, pacate, svuotate d'ogni enfasi.
Dyane l'avrebbe ascoltata per ore. Sentiva il bisogno crescente del veleno che stillavano i suoi occhi neri come l’inchiostro, di specchiarsi capovolta in quegli abissi di sogni dimenticati che la sua presenza risvegliava, affondandola nel terrore di ciò che non poteva essere evitato.
"Dyane, vieni mia cara. Tocca a te.
Ora mi darai le tue paure, e io le custodirò per te. Questo ci renderà entrambe molto più forti."
La mezzelfa si alzò esitando con una mano sull'arpa, sfiorandola mentre la abbandonava, per raggiungere il centro della stanza e accomodarsi sulla sedia lasciata vuota.
Il volto della donna in nero non era che una sagoma nell'oscurità, ma il suo sguardo brillava del lontano riflesso delle candele.
La mezzelfa afferrò la mano, e dopo aver chiuso gli occhi respirando a fondo, si preparò a fronteggiare quello sguardo divorante.
"Non deludermi, Dyane."
Non ne aveva alcuna intenzione. Strinse la mano in quella di lei e si protese in avanti sul tavolo, avvicinandosi pericolosamente all'orlo dell'abisso che sprofondava chissà dove oltre quello sguardo buio.
La mezzelfa non mentì, non ne aveva più bisogno. Le parole fluirono, le lasciò colare languide, accogliendo l’estasi e la pena del rancore, bevendo a fondo l’angoscia sublime che come un macigno cercava di ancorarla alla vacuità del mondo.
Quando la sacerdotessa lasciò la presa alla fine del gioco, la mezzelfa ritrasse la propria mano, osservandola. Era completamente illesa, per la prima volta dopo tanti mesi.
Il sollievo del momento non durò che un attimo. Improvvisamente realizzò il compito che l'attendeva, celato in quelle labbra cremisi che ora si tendevano in un sorriso agghiacciante.
***
Le Valli, Locanda dell'Opale d'Acqua - Oggi
Le numerose vasche d'acqua nel giardino della locanda creano un rilassante sottofondo, una melodia fluida, continua e ripetitiva. Chissà perchè mi piace portarlo sempre vicino all'acqua? Forse per placare la sua divorante propensione al fuoco scuro, o forse solo per infastidirlo di più. Probabilmente ci sono riuscita, perchè continua a guardarsi intorno con una malcelata insofferenza.
Potrei lasciarlo godersi il vino e tranquillizzarsi, o infierire subito. Opto per la seconda.
"Facciamo un gioco, ti va?"
Gli spiego le regole del gioco, sforzandomi di non risultare inquetante come lo era lei, del resto sono molto più brava nella sottile arte della persuasione. Mi piace accarezzare con le parole, amo la musica perchè addolcisce le pene, preferisco un boia che mi trapassi il cuore sorridendomi teneramente.
Stringo la sua mano e mi concentro per essere pronta a sostenere gli sguardi. Sono io che tengo le redini ed ostento sicurezza, ma questo gioco è pericoloso, è come camminare sulle sabbie mobili in punta di piedi.
Lui mente alle prime due domande, non mi è difficile scoprirlo. E' meno scaltro di quanto pensassi, o forse ho solo trovato la tecnica giusta per metterlo alle strette. Ma non è sconfiggerlo che voglio, non c'è competizione, non c'è vittoria in questa giostra perversa.
Lui sanguina, io brucio. Mi trovo a stravolgere le regole trascinata a fondo dal vortice di un gioco che avrei dovuto padroneggiare a perfezione. Lascio che le cose scivolino pericolosamente verso un fondo buio in cui non so cosa troverò, ma ho smesso di avere paura della notte molto tempo fa.
Qualche ora dopo mi ritrovo a fissare il soffitto, distesa su coperte di seta color cobalto in una lussuosa stanza da letto, completamente nuda. Lui si rigira di fianco a me, di tanto in tanto sbuffa. Sorrido. Sono matematicamente certa che non infrangerà le regole e non oserà toccarmi. Forse era una deviazione del gioco non necessaria, ma senza dubbio divertente.
Sollevo la mia mano destra muovendola appena nel buio. Al mio sguardo dal retaggio elfico basta un minimo raggio di luce che filtra da oltre la porta per distinguere i contorni nelle cose.
L'ustione non può rimanere. Sussurro una breve formula magica nelle parole dell'antica lingua del mio popolo, e lentamente la carne guarisce.
Mi rannicchio sul fianco gettando su di lui un'ultima occhiata: ho deciso che mi fiderò.
Respiro la notte e rallento i pensieri. Domattina penserò alla mia risposta. Buio.
"Ci riflettiamo su questo regno colmo d’ombre, riempito da un crepuscolo senza fine, come stelle nella gola della vacuità che originano una meravigliosa notte."
Dyane Alfarham