19-10-2017, 15:23
Con le grosse spalle curve in avanti e il corpo ancora fradicio Sturm attese che venisse sollevato.
Aveva le labbra screpolate, un occhio nero bello gonfio, ed ematomi che gli costellavano il volto squadrato, barbuto.
Era riuscito a sopravvivere solo per finire ripescato mezzo moribondo, essere imprigionato e percosso brutalmente da quelli che dovevano essere suoi fratelli ruathen.
Erano trascorsi almeno cinque giorni da quando era successo e a breve la drakkar avrebbe attraccato di nuovo ai moli della città di Ruathym.
La stanchezza, i morsi della fame e del gelo, le membra rigide per il dolore, avevano reso Sturm un ammasso ambulante di carne che camminava, estraniandolo da tutto ciò che lo circondava. Con lui c'erano anche altri cinque ruathen a cui era toccata la sua medesima sorte: ripescati in mare e puniti brutalmente per un crimine di cui ancora dovevano capacitarsi.
Sotto gli sguardi increduli e sprezzanti dei suoi simili, sotto il fiero e duro cipiglio della terra chiamata casa, Sturm fu condotto attraverso la città in uno spiazzo dove fu raggruppato insieme ad altri prigionieri. Ad ogni passo sentiva le orecchie pulsare di rabbia in risposta ai sussurri accusatori e sbigottiti che sciamavano intorno alla pietosa trafila: « raugh... raugh... raugh... raugh».
Sturm non ne aveva mai visto uno di raugh ruathen, le uniche fonti consistevano nelle storie raccontate dalla vecchia Storla, in cui grandi condottieri e conquistatori ruathen perdevano il loro sommo status, precipitando nel baratro del disonore come raugh ruathen, divenendo odiati nemici cui la morte abbracciava al termine di gloriose battaglie.
Ed ora, martoriato, con le budella contorte dalla paura e dalla rabbia, stava per divenire uno di loro.
Nel gruppo riconobbe qualche viso tra coloro che erano riusciti a sopravvivere a quel disastro nei pressi delle Moonshae.
Il colosso Gjorgul, il Ffolk.
Il silente e spettrale Erlend, lo Scaltro.
Il fremente Kurt, il Rabbioso.
L'emaciato e pacato Dargouwf, Occhio d'Aquila.
Erano all'incirca una trentina. Pochi considerando in quanti erano partiti: almeno trecento tra uomini, donne, ragazzi e ragazze. Tutti morti e massacrati in una battaglia che non doveva esserci, in una battaglia che si sarebbe dovuta combattere sulla terraferma e non tra le onde del mare e la fittissima nebbia.
Il folto gruppo di prigionieri fu condotto poi fuori dalle mura cittadine. Era scortato, per modo di dire, da una ventina di guerrieri pesantemente armati che riportavano sugli scudi l'emblema tribale del clan di Jarl Froston, un iceberg azzurro stilizzato che spuntava da una base ondulata blu.
Dal seguito che si era aggregato al gruppo Sturm intuì cosa stava per accadere. Una condanna. Ma per quale assurdo motivo?
Non riuscì a protestare. Chi aveva tentato di farlo era stato gettato a terra e malmenato brutalmente, zittendo così chiunque altro avesse avuto l'ardire di dir qualcosa.
Camminarono per un pò fino a raggiungere la sommità di una collina su cui svettava un alto tumolo di pietre, a forma piramidale. Si diceva che là vi dimorasse il corpo esanime di un antico sciamano a cui non era stato riservato il rito funebre comune. Le carni intatte che altrimenti sarebbero dovute essere ceneri intrappolavano lì il suo spirito, utile per catalizzare e potenziare nefasti riti maledetti.
Su di esso erano stati innalzati tre lunghi pali, posti per obliquo, così da potersi incrociare. Alcuni uomini stavano finendo di legare le tre estremità incrociate. Un altro paio di uomini attendevano più in basso, trattenendo tra le mani un teschio di cavallo e una lunga e folta pelliccia d'orso bruno.
Nel frattempo tutti i prigionieri furono messi in ginocchio. Non si risparmiarono colpi decisi alle gambe, al costato o dietro il capo. Tra il vociare del popolo che osservava da una distanza di sicurezza si poteva udire sempre più distintamente la più odiata parola di un ruathen: Raugh. Raugh. Raugh.
Tutti sapevano cosa stava per accadere. La Prima Ascia di Ruathym aveva deciso di non partecipare.
Quando anche il teschio di cavallo fu incastrato sull'estremità legnose dei pali, il manto peloso appoggiato dappresso come un mantello, e profonde rune incise sul legno, l'ovvietà fu presto resa nota.
Era stato officiato il Niostang, la più alta e concreta forma di maledizione a cui un ruathen poteva affidarsi per colpire l'odiato nemico.
Darbth, il più vicino e prossimo rivale di Jarl Froston, pareva aver preso le redini del clan dell'ormai scomparso e defunto Jarl. Si era accostato al Niostang ordinando con ferma autorità che a tutti venne tagliata la barba. Un miserabile non meritava di portarla.
Fu con un certo divertito imbarazzo che quella situazione, così colma di tetra reverenza, fu spezzata, quando gli addetti alla rasatura delle barbe si rifiutarono di tagliarla al grosso Gjorgul.
Nessuno osò farlo e Darbth alla fine dovette rassegnarsi. Anche lui aveva paura del Ffolk.
«... e così, di fronte all'uomo e agli Æsir, vi condanno! Non ci sarà morte onorevole per voi, poichè non risiede onore in vermi miserabili quali siete. A voi aspetta una non vita di stenti, dolori e sofferenze senza fine! Ogni legame verrà reciso: gli avi scateneranno la loro rabbia su di voi, le vostre discendenze saranno maledette per le generazioni a venire! Quella che chiamavate casa diverrà la bocca famelica irta di fauci che vi inghiottirà, cancellando ogni ricordo della vostra misera e dannata esistenza!
Qui! Davanti all'uomo e agli Æsir io vi condanno!
RAUGH RUATHEN!»
Un lampo si accese nel cielo che si era fatto buio con l'addensarsi delle nuvole. Un tuono schioccò come una frusta, riecheggiando per tutta la piana, rendendo ancor più sinistro quel passato e maledetto evento.
Il sonno agitato della donna parve trasmettersi per osmosi anche sul grosso ruathen che le dormiva di fianco, circondandola con le grosse braccione.
La lucidità tornò presto.
Quella davanti a cui era sto messo era una situazione contorta, pericolosa ed allettante alla stessa maniera.
Sitkah, con cui era constatato condividesse sentimenti simili per dei trascorsi difficili, aveva parlato di nuovo inizio. Sturm s'era ritrovato a concordare e, allo stesso tempo a riflettere.
Era stato avvisato da Aslaug che lo aveva introdotto in quel discorso così inaspettato: un nuovo clan.
Solo in un secondo momento anche gli altri lo avevano messo al corrente delle loro intenzioni.
Sturm non s'era più posto il problema da molto tempo. Aveva accettato la sua condizione da raugh ruathen, adattandosi alla sua nuova realtà nelle migliori delle sue possibilità, imponendosi a volte con ostinata insistenza e fastidiosa invadenza.
Seppur per certi versi, ricordava e si basava su vecchi insegnamenti appresi a Ruathym, Sturm sapeva che la corruzione non era sconosciuta tra i ruathen rivelando alcuni di loro come mostri ancor più bestiali di altre creature.
Le tradizioni lo avevano ingiustamente punito.
Le tradizioni lo avevano ingiustamente condannato.
Le tradizioni lo avevano completamente annullato.
Quello che lo aveva lasciato più spaesato però era stata la ferma convinzione di Fjolnir nel portare avanti quel progetto così ambizioso e allo stesso tempo contraddittorio.
Contraddittorio perchè sollecitato proprio da lui, che faceva delle tradizioni il suo pilastro portante in quelle terre straniere che ogni giorno lo insidiavano sempre di più, sviandolo dal suo animo perfettamente ruathen.
Sturm aveva fatto notare che qualora si fosse sparsa la voce Ruathym non avrebbe perso tempo a reagire. Ma gli altri gli avevano fatto altrettanto notare che erano anche distanti migliaia di kilometri dalla costa e che le voci, pur veloci che fossero, ci avrebbero messo tanto tempo per arrivare fin là.
Aveva però volutamente omesso la parte in cui, così facendo, Fjolnir si sarebbe reso automaticamente un raugh ruathen. Per quanto le sue azioni fossero mosse da un senso di legame per l'amor di casa e patria, andavano contro determinate e rigide leggi regolamentate da altrettante secolari tradizioni.
Ma questo, Sturm si avvide bene dal dirlo. Non sapeva come avrebbe potuto reagire Fjolnir figlio di Bjorful, l'Orso Biondo di Ruathym, scudo giurato di Aslaug figlia di Ulric, la Baciata dal Fuoco. Poteva mica instillargli l'onta di dover far fronte a quella disonorevole e miserabile eventualità ponendolo al suo stesso livello?
Sturm doveva riflettere.
Sicuramente una parte di lui agognava ancora la vecchia vita, non era un segreto, lo aveva ammesso a se stesso già tempo prima. Una parte di lui si era adattata bene a quella che riteneva essere una riscossa faticosa e gloriosa. Un'altra parte ancora serbava invece per la vecchia esistenza una rabbia senza fine, una rabbia contro tutto ciò che gli aveva reso l'esistenza impossibile, dove un altro essere umano sarebbe sicuramente perito di stenti.
Non sapeva se tornare a vivere secondo uno stile di vita che poteva ricordargli quello vissuto a Ruathym. Forse per ripicca nei confronti di quelle tradizioni che i ruathen decantavano come incorruttibili ma che all'evenienza potevano essere tranquillamente sfruttate dai corrotti, o forse per semplice e pura paura, di potersi illudere di ritrovare qualcosa strappatagli ingiustamente.
Troppo su cui arrovellare la mente. Sturm aveva testa solo per affari e non per grovigli morali e teologici.
Quel pensiero però lo aveva innervosito. Complici anche molto probabilmente le sedute perverse a cui aveva deciso di sottoporsi.
Rimase vicino alla bionda incappucciata, stringendola tra le braccione, senza più traccia di sonno, il volto corrucciato e distorto in una smorfia di fastidiosa insofferenza.
Aveva le labbra screpolate, un occhio nero bello gonfio, ed ematomi che gli costellavano il volto squadrato, barbuto.
Era riuscito a sopravvivere solo per finire ripescato mezzo moribondo, essere imprigionato e percosso brutalmente da quelli che dovevano essere suoi fratelli ruathen.
Erano trascorsi almeno cinque giorni da quando era successo e a breve la drakkar avrebbe attraccato di nuovo ai moli della città di Ruathym.
La stanchezza, i morsi della fame e del gelo, le membra rigide per il dolore, avevano reso Sturm un ammasso ambulante di carne che camminava, estraniandolo da tutto ciò che lo circondava. Con lui c'erano anche altri cinque ruathen a cui era toccata la sua medesima sorte: ripescati in mare e puniti brutalmente per un crimine di cui ancora dovevano capacitarsi.
Sotto gli sguardi increduli e sprezzanti dei suoi simili, sotto il fiero e duro cipiglio della terra chiamata casa, Sturm fu condotto attraverso la città in uno spiazzo dove fu raggruppato insieme ad altri prigionieri. Ad ogni passo sentiva le orecchie pulsare di rabbia in risposta ai sussurri accusatori e sbigottiti che sciamavano intorno alla pietosa trafila: « raugh... raugh... raugh... raugh».
Sturm non ne aveva mai visto uno di raugh ruathen, le uniche fonti consistevano nelle storie raccontate dalla vecchia Storla, in cui grandi condottieri e conquistatori ruathen perdevano il loro sommo status, precipitando nel baratro del disonore come raugh ruathen, divenendo odiati nemici cui la morte abbracciava al termine di gloriose battaglie.
Ed ora, martoriato, con le budella contorte dalla paura e dalla rabbia, stava per divenire uno di loro.
Nel gruppo riconobbe qualche viso tra coloro che erano riusciti a sopravvivere a quel disastro nei pressi delle Moonshae.
Il colosso Gjorgul, il Ffolk.
Il silente e spettrale Erlend, lo Scaltro.
Il fremente Kurt, il Rabbioso.
L'emaciato e pacato Dargouwf, Occhio d'Aquila.
Erano all'incirca una trentina. Pochi considerando in quanti erano partiti: almeno trecento tra uomini, donne, ragazzi e ragazze. Tutti morti e massacrati in una battaglia che non doveva esserci, in una battaglia che si sarebbe dovuta combattere sulla terraferma e non tra le onde del mare e la fittissima nebbia.
Il folto gruppo di prigionieri fu condotto poi fuori dalle mura cittadine. Era scortato, per modo di dire, da una ventina di guerrieri pesantemente armati che riportavano sugli scudi l'emblema tribale del clan di Jarl Froston, un iceberg azzurro stilizzato che spuntava da una base ondulata blu.
Dal seguito che si era aggregato al gruppo Sturm intuì cosa stava per accadere. Una condanna. Ma per quale assurdo motivo?
Non riuscì a protestare. Chi aveva tentato di farlo era stato gettato a terra e malmenato brutalmente, zittendo così chiunque altro avesse avuto l'ardire di dir qualcosa.
Camminarono per un pò fino a raggiungere la sommità di una collina su cui svettava un alto tumolo di pietre, a forma piramidale. Si diceva che là vi dimorasse il corpo esanime di un antico sciamano a cui non era stato riservato il rito funebre comune. Le carni intatte che altrimenti sarebbero dovute essere ceneri intrappolavano lì il suo spirito, utile per catalizzare e potenziare nefasti riti maledetti.
Su di esso erano stati innalzati tre lunghi pali, posti per obliquo, così da potersi incrociare. Alcuni uomini stavano finendo di legare le tre estremità incrociate. Un altro paio di uomini attendevano più in basso, trattenendo tra le mani un teschio di cavallo e una lunga e folta pelliccia d'orso bruno.
Nel frattempo tutti i prigionieri furono messi in ginocchio. Non si risparmiarono colpi decisi alle gambe, al costato o dietro il capo. Tra il vociare del popolo che osservava da una distanza di sicurezza si poteva udire sempre più distintamente la più odiata parola di un ruathen: Raugh. Raugh. Raugh.
Tutti sapevano cosa stava per accadere. La Prima Ascia di Ruathym aveva deciso di non partecipare.
Quando anche il teschio di cavallo fu incastrato sull'estremità legnose dei pali, il manto peloso appoggiato dappresso come un mantello, e profonde rune incise sul legno, l'ovvietà fu presto resa nota.
Era stato officiato il Niostang, la più alta e concreta forma di maledizione a cui un ruathen poteva affidarsi per colpire l'odiato nemico.
Darbth, il più vicino e prossimo rivale di Jarl Froston, pareva aver preso le redini del clan dell'ormai scomparso e defunto Jarl. Si era accostato al Niostang ordinando con ferma autorità che a tutti venne tagliata la barba. Un miserabile non meritava di portarla.
Fu con un certo divertito imbarazzo che quella situazione, così colma di tetra reverenza, fu spezzata, quando gli addetti alla rasatura delle barbe si rifiutarono di tagliarla al grosso Gjorgul.
Nessuno osò farlo e Darbth alla fine dovette rassegnarsi. Anche lui aveva paura del Ffolk.
«... e così, di fronte all'uomo e agli Æsir, vi condanno! Non ci sarà morte onorevole per voi, poichè non risiede onore in vermi miserabili quali siete. A voi aspetta una non vita di stenti, dolori e sofferenze senza fine! Ogni legame verrà reciso: gli avi scateneranno la loro rabbia su di voi, le vostre discendenze saranno maledette per le generazioni a venire! Quella che chiamavate casa diverrà la bocca famelica irta di fauci che vi inghiottirà, cancellando ogni ricordo della vostra misera e dannata esistenza!
Qui! Davanti all'uomo e agli Æsir io vi condanno!
RAUGH RUATHEN!»
Un lampo si accese nel cielo che si era fatto buio con l'addensarsi delle nuvole. Un tuono schioccò come una frusta, riecheggiando per tutta la piana, rendendo ancor più sinistro quel passato e maledetto evento.
Il sonno agitato della donna parve trasmettersi per osmosi anche sul grosso ruathen che le dormiva di fianco, circondandola con le grosse braccione.
La lucidità tornò presto.
Quella davanti a cui era sto messo era una situazione contorta, pericolosa ed allettante alla stessa maniera.
Sitkah, con cui era constatato condividesse sentimenti simili per dei trascorsi difficili, aveva parlato di nuovo inizio. Sturm s'era ritrovato a concordare e, allo stesso tempo a riflettere.
Era stato avvisato da Aslaug che lo aveva introdotto in quel discorso così inaspettato: un nuovo clan.
Solo in un secondo momento anche gli altri lo avevano messo al corrente delle loro intenzioni.
Sturm non s'era più posto il problema da molto tempo. Aveva accettato la sua condizione da raugh ruathen, adattandosi alla sua nuova realtà nelle migliori delle sue possibilità, imponendosi a volte con ostinata insistenza e fastidiosa invadenza.
Seppur per certi versi, ricordava e si basava su vecchi insegnamenti appresi a Ruathym, Sturm sapeva che la corruzione non era sconosciuta tra i ruathen rivelando alcuni di loro come mostri ancor più bestiali di altre creature.
Le tradizioni lo avevano ingiustamente punito.
Le tradizioni lo avevano ingiustamente condannato.
Le tradizioni lo avevano completamente annullato.
Quello che lo aveva lasciato più spaesato però era stata la ferma convinzione di Fjolnir nel portare avanti quel progetto così ambizioso e allo stesso tempo contraddittorio.
Contraddittorio perchè sollecitato proprio da lui, che faceva delle tradizioni il suo pilastro portante in quelle terre straniere che ogni giorno lo insidiavano sempre di più, sviandolo dal suo animo perfettamente ruathen.
Sturm aveva fatto notare che qualora si fosse sparsa la voce Ruathym non avrebbe perso tempo a reagire. Ma gli altri gli avevano fatto altrettanto notare che erano anche distanti migliaia di kilometri dalla costa e che le voci, pur veloci che fossero, ci avrebbero messo tanto tempo per arrivare fin là.
Aveva però volutamente omesso la parte in cui, così facendo, Fjolnir si sarebbe reso automaticamente un raugh ruathen. Per quanto le sue azioni fossero mosse da un senso di legame per l'amor di casa e patria, andavano contro determinate e rigide leggi regolamentate da altrettante secolari tradizioni.
Ma questo, Sturm si avvide bene dal dirlo. Non sapeva come avrebbe potuto reagire Fjolnir figlio di Bjorful, l'Orso Biondo di Ruathym, scudo giurato di Aslaug figlia di Ulric, la Baciata dal Fuoco. Poteva mica instillargli l'onta di dover far fronte a quella disonorevole e miserabile eventualità ponendolo al suo stesso livello?
Sturm doveva riflettere.
Sicuramente una parte di lui agognava ancora la vecchia vita, non era un segreto, lo aveva ammesso a se stesso già tempo prima. Una parte di lui si era adattata bene a quella che riteneva essere una riscossa faticosa e gloriosa. Un'altra parte ancora serbava invece per la vecchia esistenza una rabbia senza fine, una rabbia contro tutto ciò che gli aveva reso l'esistenza impossibile, dove un altro essere umano sarebbe sicuramente perito di stenti.
Non sapeva se tornare a vivere secondo uno stile di vita che poteva ricordargli quello vissuto a Ruathym. Forse per ripicca nei confronti di quelle tradizioni che i ruathen decantavano come incorruttibili ma che all'evenienza potevano essere tranquillamente sfruttate dai corrotti, o forse per semplice e pura paura, di potersi illudere di ritrovare qualcosa strappatagli ingiustamente.
Troppo su cui arrovellare la mente. Sturm aveva testa solo per affari e non per grovigli morali e teologici.
Quel pensiero però lo aveva innervosito. Complici anche molto probabilmente le sedute perverse a cui aveva deciso di sottoporsi.
Rimase vicino alla bionda incappucciata, stringendola tra le braccione, senza più traccia di sonno, il volto corrucciato e distorto in una smorfia di fastidiosa insofferenza.