22-10-2017, 14:37
Accattivarsi i servizi di uno skald era nell'interesse di ogni ruathen che ambisse a conquistare gloria e potere.
Lo skald consacrava la sua vita alle tradizioni, tramandandole di uomo in uomo, oralmente, affidandosi a racconti di gesta compiute da quegli uomini o quelle donne cui riteneva fossero adatti ad essere decantati. Ciò insigniva lo skald di un potere smisurato, capace di plasmare letteralmente il futuro di un ruathen, sia nel bene che nel male.
Era indispensabile che un ruathen che volesse puntare ad un successo maggiore omaggiasse lo skald con doni ed attenzioni in quanto quest'ultimo sarebbe stato sicuramente conteso da molti altri uomini o donne ambiziosi.
Si trattava di una sorta di investimento personale: riuscire a catturare l'attenzione di uno skald veniva considerato un segno benevolo ma non per questo necessariamente proficuo. Il tutto era lasciato poi ai fatti; dovevano svolgersi eventi degni di nota, eventi a cui lo skald doveva partecipare, attivamente o meno, così poi da poter testimoniare le conseguenze delle azioni compiute. Elevarne la gloria o sancirne l'infamia.
Non era un segreto che uno skald si sporcasse le mani pur di accompagnare il protagonista dei suoi futuri racconti.
Cosa che Sturm non poteva dire lo stesso dei bardi e cantastorie del continente.
Ne aveva conosciuti alcuni e questi gli avevano dato modo di sviluppare un'idea generale su di loro, non per forza corretta: una parte, di cui molti ne facevano parte, ambiva esclusivamente a conquistare un ruolo nelle lussuregianti corti, tra uomini e donne di sangue blu, crogiolandosi sin da subito in agi e frivolezze; un'altra comprendeva tutti coloro che invece avevano avuto l'ardire di gettarsi nell'ignoto della vita di ventura, accogliendo pericoli e rischi, accompagnandosi a personalità di vario genere ed estrazione sociale che non sempre rispettavano le aspettative mondane dell'avventuriero medio.
Qui entrava in scena Dyane.
Secondo Sturm apparteneva ad entrambi i sottogruppi con cui aveva suddiviso l'intera categoria dei cantastorie continentali. Conosceva parte della storia della mezzelfa rivelandone il passato oppresso vissuto in una gabbia dorata ove lussuria, piacere, agi ed attenzioni varie facevano da padroni indiscussi. Già dall'aspetto che aveva, da come lei si presentava, si poteva intuire quanto forte fosse il bisogno di avere un corpo estremamente curato. Ed i risultati erano ben evidenti.
Tuttavia in qualche modo era riuscita a districarsi da quell'esistenza servile così accomodante e aveva trovato il coraggio di rimettersi in discussione: lo testimoniavano il suo sguardo, da cui traspariva spesso una genuina e a volte ponderata curiosità, ed il suo comportamento così apparentemente conforme ad ogni situazione e ad ogni soggetto.
Sturm non aveva mai nascosto l'interesse nei suoi confronti sin dal primo giorno che l'aveva conosciuta, dopo un attento ed accurato esame visivo.
Proprio con Dyane si era ritrovato coinvolto in un gioco proposto proprio da lei. Un intrattenimento semplice quanto profondo, dal retrogusto pericoloso e sensuale: raccontare se stessi tramite alcune storie. Sturm ne aveva da vendere a bizzeffe. Ogni ruathen poteva vantare un bagaglio culturale invidiabile, conseguenza di una spietata realtà che lo portava a crescere precocemente.
A turno si doveva scegliere il tema su cui gravitare le storie e Sturm aveva già ben chiaro il proprio argomento. Non qualcosa di semplice come ci si sarebbe aspettati da un ragazzone semplice e spontaneo come lui, abituato a riflettere poco e ad abbandonarsi agli istinti. La sua mente aveva il brutto vizio di iniziare a galoppare quando si trovava dinanzi a situazioni che velavano sfide sublimi; un senso di rivalsa scattava inevitabilmente ricercando il modo di impressionare il più piacevolmente possibile lo sfidante, in questo caso lei, la sua interlocutrice, la conturbante esotica mezzelfa.
«Cosa ci fa sentire più vivi in questa misera esistenza?»
Iniziava lui.
Diede suoni e parole ai segni che portava incisi su tutto il corpo, sia recenti che passati.
«Il dolore».
Dall'incuriosito sguardo felino di Dyane Sturm capì di aver colto nel segno.
Già, il dolore.
Molti non capivano perchè si ostinasse continuamente ad esporsi inutilmente per collezionare solo dolore e brucianti sconfitte. Qualcuno era arrivato a definirlo scherzosamente un masochista. Che ci fosse un fondo di verità?
Altri lo consideravano semplicemente pazzo.
Altri ancora un beota dalla testa bacata, incrinatasi per i troppi colpi subiti.
In realtà non lo sapeva bene neanche Sturm: il dolore era legato alla sua vita in una serrata spirale. Lo accendeva, di rabbia e piacere.
Da più giovane non ricordava di aver mai provato sensazioni simili. Dolore era solo dolore. Sofferenza. L'unica cosa che si destava era la rabbia turbolenta che lo portava sul sentiero della ribalta.
Il cambiamento doveva essere avvenuto durante quella che chiamava la sua seconda nascita, dopo essere stato ripescato in mare quasi esanime.
Ciò che lo svegliò non fu l'aria che tornò a riempirgli i polmoni, o il cielo grigiastro che si stanziava sopra di lui, o la superficie legnosa della drakkar. A riportarlo alla vita fu il dolore delle percosse subite da coloro che lo avevano ripescato. Il dolore delle ingiurie. Il dolore scaturito da quella sensazione di cane spaurito che non riesce a capire perchè il proprio padrone lo malmeni. Il dolore dei polmoni in fiamme, della gola riarsa e dello stomaco nauseato.
Il dolore gli aveva dato una semplice e chiara risposta: era ancora vivo.
Dopodichè non sapeva spiegarsi come il corpo e la mente avevano reagito, ma dovevano averlo fatto in maniera inusuale, che lo avevano lasciato perplesso e spaesato. Infine aveva smesso di dare importanza a quella nuova manifestazione di dolore, e quella che all'inizio gli era sembrata una sbagliata perversione diventò ben presto normalità ed inconscia ricerca.
Doveva esserci un motivo del perchè rispondesse così ad ogni fonte di dolore: oltre che alle vecchie reazioni era sopraggiunto prepotentemente il piacere, reazione ben più difficile da gestire in casi estremi.
Non aveva necessità di provarlo tuttavia sembrava che ogni cosa che gli servisse per migliorare se stesso dovesse passare per forza per il dominio del dolore. Come l'intenzione di sviluppare una maggiore consapevolezza fisica da imporre contro quegli incantesimi che spesso gli intaccavano una forza di volontà piuttosto vacua.
Tale percorso lo aveva condotto tra le distorte attenzioni di Majuk e quelle più ardenti, letteralmente, di Darsa.
Di quest'ultima ricordava ancora fin troppo bene il tocco della sua mano sulla pelle, la superficie che andava diventando via via sempre più calda fino a divenire bollente. L'odore della pelle bruciata che gli aveva invaso le narici, il dolore provocato dalle carni lacerate che gli aveva pervaso le membra facendo fremere tutto il corpo massiccio.
Sturm resistette a quel lento supplizio, a quella risposta dedicata. Ma non era che all'inizio di quella irta e faticosa salita che si era imposto di scalare. La sofferenza si fece intollerabile. Il corpo, così come la mente, cedette e dalle labbra proruppero gemiti tormentati e disperati. La confusione faceva irruzione nella sua testa spedendolo in uno oblio in cui tutto rallentava e si mischiava.
Dolore e piacere.
Piacere e dolore.
Il dito affusolato, ardente, proseguiva nel suo percorso tracciando sofferenti parole in un idioma esotico a lui sconosciuto. Voleva con tutto se stesso sottrarsi a quella tortura auto imposta, ma allo stesso tempo voleva con altrettanta tenacia continuare, ancora e ancora e ancora.
Il messaggio era stato vergato sul corpo con malvagio ed oscuro divertimento «... e questo non è altro che una piccola parte del mio potere».
Il messaggio era stato corretto con una profonda incisione, tra nudità ed un'atmosfera carica di desiderio destinato però rabbiosamente a non essere consumato.
Il messaggio andava recapitato al destinatario che avrebbe sicuramente risposto con oscura e invasata violenza.
Il gioco era lungi dall'essere concluso.
Così come l'addestramento.
E il dolore che era in serbo per lui.
Lo skald consacrava la sua vita alle tradizioni, tramandandole di uomo in uomo, oralmente, affidandosi a racconti di gesta compiute da quegli uomini o quelle donne cui riteneva fossero adatti ad essere decantati. Ciò insigniva lo skald di un potere smisurato, capace di plasmare letteralmente il futuro di un ruathen, sia nel bene che nel male.
Era indispensabile che un ruathen che volesse puntare ad un successo maggiore omaggiasse lo skald con doni ed attenzioni in quanto quest'ultimo sarebbe stato sicuramente conteso da molti altri uomini o donne ambiziosi.
Si trattava di una sorta di investimento personale: riuscire a catturare l'attenzione di uno skald veniva considerato un segno benevolo ma non per questo necessariamente proficuo. Il tutto era lasciato poi ai fatti; dovevano svolgersi eventi degni di nota, eventi a cui lo skald doveva partecipare, attivamente o meno, così poi da poter testimoniare le conseguenze delle azioni compiute. Elevarne la gloria o sancirne l'infamia.
Non era un segreto che uno skald si sporcasse le mani pur di accompagnare il protagonista dei suoi futuri racconti.
Cosa che Sturm non poteva dire lo stesso dei bardi e cantastorie del continente.
Ne aveva conosciuti alcuni e questi gli avevano dato modo di sviluppare un'idea generale su di loro, non per forza corretta: una parte, di cui molti ne facevano parte, ambiva esclusivamente a conquistare un ruolo nelle lussuregianti corti, tra uomini e donne di sangue blu, crogiolandosi sin da subito in agi e frivolezze; un'altra comprendeva tutti coloro che invece avevano avuto l'ardire di gettarsi nell'ignoto della vita di ventura, accogliendo pericoli e rischi, accompagnandosi a personalità di vario genere ed estrazione sociale che non sempre rispettavano le aspettative mondane dell'avventuriero medio.
Qui entrava in scena Dyane.
Secondo Sturm apparteneva ad entrambi i sottogruppi con cui aveva suddiviso l'intera categoria dei cantastorie continentali. Conosceva parte della storia della mezzelfa rivelandone il passato oppresso vissuto in una gabbia dorata ove lussuria, piacere, agi ed attenzioni varie facevano da padroni indiscussi. Già dall'aspetto che aveva, da come lei si presentava, si poteva intuire quanto forte fosse il bisogno di avere un corpo estremamente curato. Ed i risultati erano ben evidenti.
Tuttavia in qualche modo era riuscita a districarsi da quell'esistenza servile così accomodante e aveva trovato il coraggio di rimettersi in discussione: lo testimoniavano il suo sguardo, da cui traspariva spesso una genuina e a volte ponderata curiosità, ed il suo comportamento così apparentemente conforme ad ogni situazione e ad ogni soggetto.
Sturm non aveva mai nascosto l'interesse nei suoi confronti sin dal primo giorno che l'aveva conosciuta, dopo un attento ed accurato esame visivo.
Proprio con Dyane si era ritrovato coinvolto in un gioco proposto proprio da lei. Un intrattenimento semplice quanto profondo, dal retrogusto pericoloso e sensuale: raccontare se stessi tramite alcune storie. Sturm ne aveva da vendere a bizzeffe. Ogni ruathen poteva vantare un bagaglio culturale invidiabile, conseguenza di una spietata realtà che lo portava a crescere precocemente.
A turno si doveva scegliere il tema su cui gravitare le storie e Sturm aveva già ben chiaro il proprio argomento. Non qualcosa di semplice come ci si sarebbe aspettati da un ragazzone semplice e spontaneo come lui, abituato a riflettere poco e ad abbandonarsi agli istinti. La sua mente aveva il brutto vizio di iniziare a galoppare quando si trovava dinanzi a situazioni che velavano sfide sublimi; un senso di rivalsa scattava inevitabilmente ricercando il modo di impressionare il più piacevolmente possibile lo sfidante, in questo caso lei, la sua interlocutrice, la conturbante esotica mezzelfa.
«Cosa ci fa sentire più vivi in questa misera esistenza?»
Iniziava lui.
Diede suoni e parole ai segni che portava incisi su tutto il corpo, sia recenti che passati.
«Il dolore».
Dall'incuriosito sguardo felino di Dyane Sturm capì di aver colto nel segno.
Già, il dolore.
Molti non capivano perchè si ostinasse continuamente ad esporsi inutilmente per collezionare solo dolore e brucianti sconfitte. Qualcuno era arrivato a definirlo scherzosamente un masochista. Che ci fosse un fondo di verità?
Altri lo consideravano semplicemente pazzo.
Altri ancora un beota dalla testa bacata, incrinatasi per i troppi colpi subiti.
In realtà non lo sapeva bene neanche Sturm: il dolore era legato alla sua vita in una serrata spirale. Lo accendeva, di rabbia e piacere.
Da più giovane non ricordava di aver mai provato sensazioni simili. Dolore era solo dolore. Sofferenza. L'unica cosa che si destava era la rabbia turbolenta che lo portava sul sentiero della ribalta.
Il cambiamento doveva essere avvenuto durante quella che chiamava la sua seconda nascita, dopo essere stato ripescato in mare quasi esanime.
Ciò che lo svegliò non fu l'aria che tornò a riempirgli i polmoni, o il cielo grigiastro che si stanziava sopra di lui, o la superficie legnosa della drakkar. A riportarlo alla vita fu il dolore delle percosse subite da coloro che lo avevano ripescato. Il dolore delle ingiurie. Il dolore scaturito da quella sensazione di cane spaurito che non riesce a capire perchè il proprio padrone lo malmeni. Il dolore dei polmoni in fiamme, della gola riarsa e dello stomaco nauseato.
Il dolore gli aveva dato una semplice e chiara risposta: era ancora vivo.
Dopodichè non sapeva spiegarsi come il corpo e la mente avevano reagito, ma dovevano averlo fatto in maniera inusuale, che lo avevano lasciato perplesso e spaesato. Infine aveva smesso di dare importanza a quella nuova manifestazione di dolore, e quella che all'inizio gli era sembrata una sbagliata perversione diventò ben presto normalità ed inconscia ricerca.
Doveva esserci un motivo del perchè rispondesse così ad ogni fonte di dolore: oltre che alle vecchie reazioni era sopraggiunto prepotentemente il piacere, reazione ben più difficile da gestire in casi estremi.
Non aveva necessità di provarlo tuttavia sembrava che ogni cosa che gli servisse per migliorare se stesso dovesse passare per forza per il dominio del dolore. Come l'intenzione di sviluppare una maggiore consapevolezza fisica da imporre contro quegli incantesimi che spesso gli intaccavano una forza di volontà piuttosto vacua.
Tale percorso lo aveva condotto tra le distorte attenzioni di Majuk e quelle più ardenti, letteralmente, di Darsa.
Di quest'ultima ricordava ancora fin troppo bene il tocco della sua mano sulla pelle, la superficie che andava diventando via via sempre più calda fino a divenire bollente. L'odore della pelle bruciata che gli aveva invaso le narici, il dolore provocato dalle carni lacerate che gli aveva pervaso le membra facendo fremere tutto il corpo massiccio.
Sturm resistette a quel lento supplizio, a quella risposta dedicata. Ma non era che all'inizio di quella irta e faticosa salita che si era imposto di scalare. La sofferenza si fece intollerabile. Il corpo, così come la mente, cedette e dalle labbra proruppero gemiti tormentati e disperati. La confusione faceva irruzione nella sua testa spedendolo in uno oblio in cui tutto rallentava e si mischiava.
Dolore e piacere.
Piacere e dolore.
Il dito affusolato, ardente, proseguiva nel suo percorso tracciando sofferenti parole in un idioma esotico a lui sconosciuto. Voleva con tutto se stesso sottrarsi a quella tortura auto imposta, ma allo stesso tempo voleva con altrettanta tenacia continuare, ancora e ancora e ancora.
Il messaggio era stato vergato sul corpo con malvagio ed oscuro divertimento «... e questo non è altro che una piccola parte del mio potere».
Il messaggio era stato corretto con una profonda incisione, tra nudità ed un'atmosfera carica di desiderio destinato però rabbiosamente a non essere consumato.
Il messaggio andava recapitato al destinatario che avrebbe sicuramente risposto con oscura e invasata violenza.
Il gioco era lungi dall'essere concluso.
Così come l'addestramento.
E il dolore che era in serbo per lui.