20-12-2017, 20:55
XXXIX
Il gracchiare rauco dell'avvoltoio lo ridestò di soprassalto.
L'improvviso sussulto e il rizzare velocemente la testa scaturirono un forte capogiro al grosso ruathen. Davanti a sè un brutto uccellaccio dal corpo piumato di nero e il collo roseo fine e spelacchiato, beccava speranzoso la vuota cavità di un teschio rovinato ed ingiallito.
Quei mangia carogne si stavano facendo sempre più audaci, e fiutando il lezzo della morte, s'avvicinavano sempre di più alla loro preda, tastando prima il terreno circostante.
"Non posso... non voglio morire qua... così" «WUAH!» urlare gli sembrò il gesto più faticoso che avesse potuto mai fare. Le corde vocali raschiarono fortemente tanto da sembrare che dovessero stuccarsi da un momento all'altro. Sturm tossì e sputò il sangue che era salito alla bocca. Seppur con sofferenza era riuscito nell'intento di scacciare l'avvoltoio, di mitigare un pessimo presagio.
Prima di perdere nuovamente conoscenza, tra le onde di calore che distorcevano il territorio, a Sturm parve di scorgere una nera figura lontana.
«Il volto di voi umani è così uguale che distinguervi mi è impossibile. Non c'è nessuno che spicchi perchè io possa degnarlo della mia attenzione» il ruathen riaprì lentamente gli occhi, stanco, ammiccando un paio di volte, accigliato.
Ci mise qualche istante per focalizzare la figura che si stagliava davanti il suo volto, china in ginocchio. Aveva vesti leggere eppur ricercate, le tipiche adatte per un ambiente caldo ed arido come il deserto.
La pelle era bruna e profumata da oli ed unguenti. Sulle braccia sottili semiscoperte potevano chiaramente intravedersi due cobra stilizzati, uno speculare all'altro, che s'arrotolavano ognuno al proprio braccio.
Gli occhi, così come la chioma alta, erano di un nero profondo.
Le labbra carnose erano distorte in una smorfia di altezzoso disappunto, mandando baluginii scarlatti dovuti al rossetto che le adornavano.
Due piccole corna svettavano sulla fronte, all'attaccatura dei capelli.
Le mani, curate all'inverosimile e smaltate di nero, gli toccavano il volto. Le dita affusolate avevano un tocco leggero eppur pericoloso.
Sturm riconobbe quella figura così detestabile e al contempo meravigliosamente esotica, e ne fu scosso. Di paura e di rabbia. Ci fu posto anche per una rapida scarica d'eccitazione.
Majuk.
«L'oscurità è anche questo vedete? Si cela dietro al fulgore accecante della luce. Ti essicca e ti consuma, sbriciolandoti lentamente. Dietro alla luce cova l'ombra che apre le porte alle perdute oscurità! Ove risiedono le vostre insipide lagrime? Non ne avete più da versare? Pensate che sia tutto qui? Che l'afflizione non riserbi altre carte per infliggervi dolore?» nel mentre che la tiefling parlava questa muoveva le sue dita sul volto del giovane ruathen, forse con la speranza di toccare un punto inumidito dalle amare lacrime del dolore e della disperazione.
Lei si chinò ancor di più andando a sussurrargli qualcosa all'orecchio. Un sussurro spietato e deliziosamente conturbante che scaturì gelidi brividi in tutto il corpo del combattente.
«La morte giungerà lenta ed appagante. Inevitabilmente ne soffrirete. Maledirete tutto e tutti. Io sarò qui ad udire le vostre paure, accoglierò i vostri pianti ed accudirò il vostro dolore. Conserverò tutto. E una volta che perirete, sarete mio per l'eternità. Per l'intera non vita».
La tiefling espirò un poco quindi sfiorò l'orecchio con la punta della lingua prima di ritrarsi e coprire la faccia del guerriero ruathen con la propria mano.
La visuale si oscurò di nuovo mentre il tocco leggero dei polpastrelli continuò a muoversi sul suo volto. Cinque dita che sondavano i suoi tratti squadrati e marcati.
Un sesto tocco.
Un settimo.
Un ottavo.
Una folata di vento.
Sturm scosse forte la testa.
Qualcosa cadde a poca distanza da lui. Ruotò il capo e sgranò gli occhi capendo cosa in realtà gli stava accarezzando il volto.
Un dannato verme uncinato del deserto. Uno scorpione.
V'era già un nutrito sciame di mosche, tafani e moscerini che gravitavano intorno il capo di Sturm, laddove il cammello aveva rilasciato le sue deiezioni. Non voleva di mezzo altri insettacci che potevano rendergli ancor più complicata quella situazione.
Si costrinse a respirare lentamente - anche se il lezzo dello sterco lo rendeva assai difficile - e a ragionare. Quante altre bestie potevano presentarsi per banchettare col suo corpo che andava sempre più deperendosi?
Doveva assolutamente fare qualcosa.
Una luminosa quanto fugace immagine di quando scappava da Ruathym gli balenò nella mente. Una scena: la fame che mordeva lo stomaco, il sapore rivoltante della carne cruda e del sangue caldo, e le parole di Ffolk.
«Sopravvivere richiede fondamentalmente due cose: acqua e cibo. Per il cibo non bisogna essere schizzinosi, si mangia quel che si trova, e soprattutto quel che è commestibile. Non si butta niente. Non deve piacervi ma servirvi solo a ridarvi forze ed energie per continuare a vivere. Se poi beccate cibo avvelenato, beh, cominciate a spillare il nettare dorato al Banchetto della Grande Sala arh!»
Sturm espirò vigorosamente alzando uno sbuffo di sabbia.
Guardò il nero scorpione che dopo la caduta aveva deciso di rimanere fermo, con la coda uncinata ben ricurva.
Sapeva cosa fare.