22-01-2018, 14:56
Sangue che chiama Sangue.
Doveva essere un momento di pace, di meditazione, di comunione con il mondo. Un momento in cui, come l'Arkerym Arandil Thanduil le aveva detto, capire il vero significato del definirsi tutti fratelli e sorelle.
Fu tutt'altro.
Il terreno umido, l'aria fresca, il silenzio tombale e la luce che a stento passava tra le fitte fronde degli alberi della Valle delle Voci Perdute sembravano creare il luogo ideale. L'elfa chiuse gli occhi, svuotò la mente, si lasciò andare e iniziò a provare quella sensazione di espansione, di completezza tale da ricevere una prima visione, tuttavia tutto capitolò in poco tempo quando di nuovo quella presenza opprimente e manipolatoria, che iniziò a pretendere in ogni modo la sua attenzione dal primo viaggio lontano nella Grande Foresta si fece sentire.
Non ci aveva pensato, lei, che diventare un tutt'uno con il mondo significava rischiare un collegamento tale anche con chi aveva occhi come i suoi ma mai si sarebbe aspettata anche quel volto, quelle parvenze così spaventosamente simili alle sue da far pensare per forza ad una parentela più che stretta.
Finalmente quegli occhi che in quel momento, con sinistra intensità, la scrutavano tra rabbia e tristezza, avevano un volto a cui abbinarli: un bellissimo volto elfico.
"Idiota!Che stai facendo?!"
Quella voce, anche quella voce suadente ed antica come la morte l'aveva già sentita anche se non così alterata.
Un'altra visione, terribile per lei, perchè ormai ne era certa. Chi Aveva tentato di distanziare così tanto non solo l'aveva trovata ma l'aveva raggiunta, fisicamente. Lui era li, nel Cormanthor e lei aveva visto bene dove ma non aveva il coraggio di andare a controllare. Non ancora.
La sua mente era sempre stata inattaccabile, fin dall'infanzia. Aveva imparato a costruire muri, a fortificare il suo cuore imponendogli di ignorare lo strazio di ciò che non le era mai stato rivelato, appoggiandosi del tutto, concentrandosi ed ergendosi solo su ciò che sapeva: figlia di Barahir Silae'Lannaern, un arcanista Tel'quessir e quindi Tel'quessir anche lei.
Era cresciuta usando la solitudine come uno scudo, la propria sofferenza come un'arma e stava riuscendo a costruirsi una vita, stabile, forte come la voleva, pregna degli ideali della nuovamente nata Città del Canto.
Doveva essere un momento di pace, di meditazione, di comunione con il mondo. Un momento in cui, come l'Arkerym Arandil Thanduil le aveva detto, capire il vero significato del definirsi tutti fratelli e sorelle.
Fu tutt'altro.
Il terreno umido, l'aria fresca, il silenzio tombale e la luce che a stento passava tra le fitte fronde degli alberi della Valle delle Voci Perdute sembravano creare il luogo ideale. L'elfa chiuse gli occhi, svuotò la mente, si lasciò andare e iniziò a provare quella sensazione di espansione, di completezza tale da ricevere una prima visione, tuttavia tutto capitolò in poco tempo quando di nuovo quella presenza opprimente e manipolatoria, che iniziò a pretendere in ogni modo la sua attenzione dal primo viaggio lontano nella Grande Foresta si fece sentire.
Non ci aveva pensato, lei, che diventare un tutt'uno con il mondo significava rischiare un collegamento tale anche con chi aveva occhi come i suoi ma mai si sarebbe aspettata anche quel volto, quelle parvenze così spaventosamente simili alle sue da far pensare per forza ad una parentela più che stretta.
Finalmente quegli occhi che in quel momento, con sinistra intensità, la scrutavano tra rabbia e tristezza, avevano un volto a cui abbinarli: un bellissimo volto elfico.
"Idiota!Che stai facendo?!"
Quella voce, anche quella voce suadente ed antica come la morte l'aveva già sentita anche se non così alterata.
Un'altra visione, terribile per lei, perchè ormai ne era certa. Chi Aveva tentato di distanziare così tanto non solo l'aveva trovata ma l'aveva raggiunta, fisicamente. Lui era li, nel Cormanthor e lei aveva visto bene dove ma non aveva il coraggio di andare a controllare. Non ancora.
La sua mente era sempre stata inattaccabile, fin dall'infanzia. Aveva imparato a costruire muri, a fortificare il suo cuore imponendogli di ignorare lo strazio di ciò che non le era mai stato rivelato, appoggiandosi del tutto, concentrandosi ed ergendosi solo su ciò che sapeva: figlia di Barahir Silae'Lannaern, un arcanista Tel'quessir e quindi Tel'quessir anche lei.
Era cresciuta usando la solitudine come uno scudo, la propria sofferenza come un'arma e stava riuscendo a costruirsi una vita, stabile, forte come la voleva, pregna degli ideali della nuovamente nata Città del Canto.
Tuttavia oscura, lei, lo era sempre stata.
Quante giustificazioni aveva dato a se stessa per la propria freddezza? Troppe. Il dovere, lo sporcarsi le mani, per evitare che degli innocenti potessero anche solo rischiare di pagare conseguenze per l'assenza di coraggio di chi doveva difenderli. Ci credeva si...ma in profondi meandri della sua anima gioiva ogni singola volta che si trovava a braccare i nemici di Myth Drannor.
Inferiori pelleverde e traditori drow sopra agli altri, non li considerava neanche popoli ma al pari di piaghe da estirpare e quel sollievo, quell'istintiva gioia ferale, ogni volta che uno di loro periva la preoccupavano da anni incalcolabili ed era qualcosa che mai ad anima viva, neanche a quella più vicina a lei, aveva confessato, perchè parlarne l'avrebbe reso solo più reale.
Quante giustificazioni aveva dato a se stessa per la propria freddezza? Troppe. Il dovere, lo sporcarsi le mani, per evitare che degli innocenti potessero anche solo rischiare di pagare conseguenze per l'assenza di coraggio di chi doveva difenderli. Ci credeva si...ma in profondi meandri della sua anima gioiva ogni singola volta che si trovava a braccare i nemici di Myth Drannor.
Inferiori pelleverde e traditori drow sopra agli altri, non li considerava neanche popoli ma al pari di piaghe da estirpare e quel sollievo, quell'istintiva gioia ferale, ogni volta che uno di loro periva la preoccupavano da anni incalcolabili ed era qualcosa che mai ad anima viva, neanche a quella più vicina a lei, aveva confessato, perchè parlarne l'avrebbe reso solo più reale.
Pur tenendo a freno le proprie emozioni però, dolore o entusiasmo che fossero non riuscì a trattenere le lacrime quella notte, dopo giorni di silenzio capì che la sua non era paura di un nemico troppo potente da affrontare ma paura che tutto ciò su cui aveva costruito la propria esistenza venisse meno.
Paura di capire che lei stessa non fosse chi credeva.
Doveva trovare il modo di tenere quell'elfo, se di elfo si trattava, fuori dalla propria mente, lontano dalla propria vita perchè sentiva che altrimenti non sarebbe mai più stata Nityalar.
Paura di capire che lei stessa non fosse chi credeva.
Doveva trovare il modo di tenere quell'elfo, se di elfo si trattava, fuori dalla propria mente, lontano dalla propria vita perchè sentiva che altrimenti non sarebbe mai più stata Nityalar.
[...]
[Grazie kakashi per la firma <3]
Vanyrianthalasa Guenhyvar