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[Ronda Jackson] La Grande Bardot
#1
PROLOGO


C'è molta confusione nell'affollata locanda di un luogo non specificato. Sembra la locanda di una grande città, comunque, perché c'è tantissima gente che fa avanti e indietro, molti poco di buono e svariati avventurieri. Si odono fischi, esclamazioni e risate divertite, con un sottofondo musicale a malapena percepito in tutto il chiasso. Tre artisti, due uomini musicanti e una donna appesa a una corda che cala dal soffitto, concludono la loro esibizione mentre dei cenni magici fanno calare l'oscurità sul palco, lasciando al buio improvviso applausi e incitazioni.

Arriva nel retroscena per prima la donna, che ora vista da vicino appare slanciata e magra, con gonfissimi boccoli biondi fino alle spalle e grandi orecchini a cerchio, le gote rivestite da un rossore artificiale e il corpo interamente fasciato da del pizzo nero aderente che lascia poco all'immaginazione. Sembra ridere divertita mentre torna alla postazione del trucco seguita a ruota dai due compagni, giovani ben vestiti che reggono ognuno un liuto di forma diversa mentre si complimentano l'un l'altro per l'evidentemente buona riuscita della serata.

Mentre uno dei due comincia a riporre gli strumenti in apposite custodie e la donna ritocca il trucco guardandosi allo specchio, da una porticina di lato altri uomini, giovani e meno giovani, entrano nel camerino facendo il nome di lei a gran voce, come a richiedere la sua attenzione.

"Ragazzi, ragazzi!" la donna abbandona il piumino della cipria nel contenitore e si alza dalla sedia, guardandoli tutti con fare severo mentre pone i pugni sui fianchi. "Cos'è questo baccano?" Poi tramuta l'espressione infastidita in un ammiccamento civettuolo: "Lo sapete che non mi piace l'attenzione!"

Il gran vociare del suo nome si accavalla mentre viene circondata da mazzi di fiori e calici ricolmi... poi buio e silenzio totali. Da qualche altra parte una donna dai capelli corti e corvini si alza a sedere d'improvviso nel letto in cui dormiva. Si guarda intorno: una stanza spartana con arredamento logoro. Avvolta nelle coperte consunte, borbotta qualcosa massaggiandosi la radice del naso macchiato di lentiggini.
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#2
TAMARA
(1 di 3)


"... ed è da questa catena montuosa" un'indice femminile dall'unghia curatissima tocca un punto disegnato su una grande mappa appesa alla parete "che prende nome la Costa della Spada."

Silenzio di qualche istante. Una bella donna dai capelli fulvi e l'aspetto maturo, in piedi di fronte un grande tavolo intarsiato coperto di libri e appunti, sembra stizzirsi tutta insieme.

"La Costa è famosa anche perché tutti i suoi abitanti hanno ali piumate e possono invocare il fuoco demoniaco a comando."

Ancora silenzio. Uno sbuffo impazientito.

"Tamara Mitchell!" la donna sbatte una mano sul tavolo facendo vibrare matite e quaderni. "Mi ascoltate quando parlo? Smettete di guardare fuori dalla finestra!"

Una bambina esile con trecce castane, vestita di un abitino molto vezzoso, si scuote sulla sedia chiaramente colta in flagrante. Si alza e fa un inchino: "Perdono signora Bacall. Non accadrà più."

La donna occhia la bambina con fastidio. "I vostri genitori mi pagano affinché possiate imparare qualcosa di diverso dal bighellonare. Devo dirgli, stasera quando torneranno, che preferite distrarvi?"

"No signora Bacall. Starò attenta."

"Mpf. Bene. Riprendiamo dalla geografia dei confini. Seguite il segno sul libro."

La bambina riprende il suo posto e sfoglia svogliatamente qualche pagina.

"... tanto faranno tardi come al solito" parlotta a bassa voce tra sé.
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#3
ANGIE
(1 di 3)


"Angie Bextor!" esclama con sorpresa l'oste della rumorosa locanda dei bassifondi di una città non identificata mentre finisce di spillare la birra per i clienti che affollano il banco. "Era un po' che non ti si vedeva in giro."

"Ho avuto da fare" risponde con noncuranza un'esile ragazza dai capelli castani raccolti in una coda. Vestita di un comodo abito multitasche, cela l'adolescenza dietro il trucco aggressivo.

"Sempre impegnata, eh? Lo sanno gli dei quello che combini."

"Pensa agli affari tuoi" sorride lei plasticamente poggiandosi in avanti sul banco. "A me non offri niente?" aggiunge con un ghigno.

"Loro hanno pagato. Tu hai intenzione di pagare questa volta?" l'uomo appoggia una mano al ripiano e l'altra sul fianco.

"Giusto perché oggi mi sento generosa" butta sul banco due monete tintinnanti. "Dammi la tua birra migliore."

L'oste sembra preso in contropiede, ma poi si affretta a preparare un boccale anche per lei, che nel frattempo tamburella le dita dalle unghie smaltate di nero guardandosi intorno.

"A proposito, ci sono i tuoi amici al solito tavolo" l'oste indica un gruppo in particolare mentre la serve. Lei si gira a guardarli un attimo: una dozzina di uomini e donne, che chiunque eticherebbe come poco raccomandabili, si stanno sfidando a carte. Tra di loro c'è chi è seduto sulla sedia e chi è in piedi a fare il tifo, in un totale molto chiassoso.  

"Visti, grazie" risponde allontanandosi con la bibita appena servita, muovendosi con destrezza tra gli affollati tavoli per raggiungere il gruppo. Quelli non concentrati sulla partita a carte alzano i bicchieri appena la vedono arrivare: "Angie! Era ora!" a cui lei risponde facendo tintinnare il proprio con ognuno di loro, per poi andarsi a sedere sul bordo del tavolo, rapidamente inserendosi nel gruppo con chiacchiere e risate.

Molto più tardi, quando quella stessa notte sta per volgere al termine e il cielo inizia a tingersi di rosso, da qualche altra parte la finestra di una bella camera da letto al secondo piano si apre lentamente, spinta dall'esterno con un cigolìo. Una figura slanciata penetra silenziosamente da fuori senza far rumore, si richiude il tutto alle sue spalle, apre uno dei cassetti dell'intarsiato mobile con specchio di fronte il grande letto a baldacchino e ci butta dentro quel che sembrano essere svariati borselli di cuoio. Sempre rimanendo nella penombra, la figura lascia stivali, corpetto e pantaloni su una sedia. Rimasta in sottoveste, si siede di fronte lo specchio, rimuove ogni traccia di trucco e smalto, scioglie i capelli e li spazzola per svariati istanti, finché delle voci in arrivo oltre la porta la fanno scattare rapidamente sotto le coperte, dove rimane immobile coprendosi fino al naso. Quando le voci proseguono oltre, a lei non rimane che sospirare di sollievo prima di girarsi su un fianco e addormentarsi serena.
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#4
ILENIA
(1 di 3)


Delle nocche pesanti bussano sul legno ruvido. Qualcuno dall'interno chiede: "Che c'è?" 

"Capo" una guardia del corpo si affaccia dentro la stanza, "Ilenia Lansfield è qui."

"Falla entrare" risponde l'uomo in sovrappeso con la faccia tonda e simpatica che si alza dalla scrivania per accogliere nell'ufficio squallido la donna esile e slanciata, con liscissimi capelli rossi fino alle spalle e una frangetta allineata che nasconde la fronte. Una leggera ombreggiatura delle palpebre allunga lo sguardo adulto. "Ti stavo aspettando, Ilenia. Prego, siediti. Tu invece" si rivolge al sottoposto "lasciaci soli" un ordine che viene eseguito senza fiatare.

Dopo una stretta di mano, la donna vestita di un semplice abito lungo fino alle caviglie si siede di fronte la scrivania poggiando la borsa in grembo. 

"Sarò schietto perché mi hanno detto che posso parlare francamente con te" dice lui mentre il legno scricchiola sotto il suo peso quando si accomoda. "Qui mi serve più di una cameriera. Lo sai questo?"

"Sì" la voce di lei è un sussurro tranquillo "mi è stato spiegato che offrite... merce particolare, che non può essere richiesta al banco."

"Ecco" l'uomo annuisce spegnendo il sigaro nel posacenere e poggiando sulla scrivania le mani intrecciate. "Ho bisogno che le mie ragazze siano sveglie abbastanza da sapere che non è il posto adatto per farsi venire certi scrupoli."

"Una locanda non deve mai far scappare i propri clienti."

"Esatto. Mi servi tutte le sere con un giorno libero ogni decade. Senza fare troppe domande, dai un'occhiata in giro, e quando senti che i miei clienti hanno bisogno, li mandi da me e penso io al resto. Ti prego di far trapelare la cosa solo a chi è veramente interessato. Dopo i recenti avvenimenti è meglio non attirare troppo l'attenzione."

"Capisco perfettamente" annuisce composta. "Quando comincio?"

"Domani al tramonto. Quando arrivi fatti dire dalle altre cosa indossare e vediamo come te la cavi."

"Molto bene. A domani sera allora. Grazie per l'opportunità."

La ragazza si alza e fa per andarsene, ma poi viene fermata da un ultimo richiamo.

"Ilenia?"

"Sì?" stava già aprendo la porta e si interrompe.

"Li conosco i tuoi genitori. Due persone squisite. Per quello che vale, mi dispiace che vi ritroviate tutti e tre in questa situazione." 

Lei sorride mostrando i denti, senza dire nulla.

"Insomma, ricorda sempre che io qui sono l'unico che sa chi sei, quindi per qualsiasi problema vieni da me. E salutameli tanto, d'accordo?"

Annuendo nuovamente, esce nel corridoio, si chiude la porta alle spalle e subito viene scortata verso l'uscita, deglutendo con sforzo per rimanere imperterrita.
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#5
RONDA
(1 di 3)


"Jackson, dobbiamo andare."

Una ragazza dagli scapigliati capelli corvini si gira a malapena, smettendo per un attimo di fissare la cittadina portuale che si scorge dall'alto della collina, mentre sorseggia una tazza fumante stretta tra le dita dalle unghie smaltate di nero. "Di già?" socchiude gli occhi, anch'essi carichi di matita scura.

"Sì" risponde un uomo maturo e ben vestito finendo di allacciarsi un cravattino. "Larissa vuole partire subito per essere sicuri di arrivare a Mirabar prima che faccia notte." Fa una smorfia sbadigliando: "Lei e le sue levatacce." Poi si accorge di qualcosa: "Ma tu non hai dormito per nulla?"

"Sono a posto. Arrivo subito."

"Come vuoi. Sbrigati però, che ci sta già dando il tormento" facendo un cenno verso un gruppo variegato di persone che sta sistemando i tiranti di una carovana con due cavalli tutt'altro che contenti di venir legati. Poco distante, una donna di mezz'età sembra comandare a bacchetta tutti quanti. "Ah, glielo hai detto alla fine?"

"Di che parli?"

"I tuoi genitori. Li hai salutati?"

C'è qualche secondo di necessaria riflessione prima della risposta secca: "No."

"Aspetta... non gli hai detto che te ne stai andando?"

"Ho pensato che sarebbe stato peggio."

"Capisco" annuisce infine l'uomo.

"Ho lasciato un biglietto però" si stringe nelle spalle lei ostentando noncuranza e riprendendo a guardare il paesaggio. "Spero che sia sufficiente per ora."

"Ma sì" cominciando ad avviarsi verso gli altri "tanto presto o tardi tornerai."

"Già" dice tra sé lentamente mentre prende un altro sorso "è quello il problema..."
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#6
TAMARA
(2 di 3)


Venti candeline su una torta a più strati illuminano la sala decorata a festa gremita di gente elegante. Di fronte al tavolo una giovane dai lunghi capelli castani, boccolati per l'occasione, è in piedi stretta nel suo abito lungo e ampio che evidenzia il punto vita sottile e lascia le spalle rosee scoperte, il collo decorato da una finissima collana con un singolo brillantino.

"Vi ringrazio per essere qui" annuncia guardando i presenti facendo dondolare appena i costosi orecchini a pendente. "Per me è davvero una gioia poter trascorrere questo momento con la mia famiglia" stringe le mani al padre e alla madre che le sono rispettivamente a sinistra e a destra "e con coloro che mi conoscono da tanto tempo. Se questi miei primi venti anni sono stati meravigliosi lo devo a tutti voi" conclude chinando il capo, ricevendo subito dopo un applauso dagli astanti, di varie età, che compostamente apprezzano il discorso.

Qualche momento più tardi, la festa è nel vivo del suo svolgimento. La bella casa a due piani, illuminata in più punti soffusi, vede una via vai di persone perbene che degustano dolci e alcolici in svariati gruppetti di conversazione leggera, chi in piedi per i corridoi e chi seduto nel sontuoso soggiorno.

"Sarina Bacall è una bravissima insegnante" annuisce la giovane festeggiata alzando appena il calice in direzione della donna matura dai capelli fulvi. "Tutto quello che so oggi lo devo a lei."

La cantora appena menzionata si limita a fare un cenno di rimando, sorridendo senza enfasi e prendendo un altro sorso dal proprio bicchiere.

"Avremo la possibilità di ascoltare qualcosa?" chiede un uomo di mezzetà con un vistoso cappello lucido.

"Penso proprio di sì! Sarina?"

Tutti i presenti del gruppo rivolgono l'attenzione alla donna, che sembra annuire a malapena: "Ho in mente qualcosa di speciale per questa serata, ma non ci sarà bisogno dei miei strumenti."

"Davvero? Di che si tratta?"

"Oh, Tamara" ride improvvisamente "siete sempre così impaziente. L'età adulta non vi ha cambiata. Ma non preoccupatevi" lancia uno sguardo al grosso orologio a pendolo sopra il camino e le fa un occhiolino "ci siamo quasi ormai."
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#7
ANGIE
(2 di 3)


Pioviccica appena a tarda serata, le vie del quartiere residenziale sono quasi deserte, illuminate appena da vecchi lampioni a olio. Due abitanti dei bassifondi, fuoriposto nei loro abiti consunti, sgambettano rapidamente sotto uno di essi e si infilano non visti in un piccolo vicolo tra due edifici, arrivando a celarsi dietro delle casse vuote abbandonate.

"Ma che siamo venuti a fare qui?" chiede un bisbiglio roco.

"Controlla che non arrivi nessuno" ordina a bassa voce una giovane donna, che si sporge oltre il mucchio di rottami di legno, rivelando un volto macchiato di terra in più punti, incorniciato da un cappuccio coprente da cui sporgono lunghi capelli castani arruffati.

"Sbrigati però" il palo dietro di lei lancia continue occhiate all'ingresso del vicolo in cui sono nascosti.

Più avanti, nello spiazzale, si staglia un bel palazzo a due piani. Due uomini sembrano presidiarne il portone a doppia anta.

"Voglio controllare una cosa" spiega rivolgendo l'attenzione all'ingresso, dalla sua posizione privilegiata di penombra. "Se ho fatto bene i calcoli, non dovremmo metterci molto."

"Non vorrai mica intrufolarti là dentro" chiede quasi incredulo il suo compagno di appostamento.

"No" risponde lei continuando a saettare la zona circostante con le pupille, in attesa di qualcosa. "Devo solo accertarmi di una questione."

"Perché, conosci qualcuno di questa zona?"

"Diciamo così."

"Angie tu sei matta qui ci facciamo ammazzare, lo sai? Quelli come noi non dovrebbero nemmeno stare qui!"

"Senti, non..." si comincia a udire un crescente rumore di carrozza in avvicinamento sulle pietre del lastricato. "Zitto! Arriva qualcuno!" i due si abbassano di scatto, lei rimanendo dietro le casse e lasciando solo la metà superiore della testa a sporgere lievemente per continuare a osservare il piazzale. Fanno il loro ingresso due cavalli che trainano un carro sfarzoso, fermandosi proprio di fronte il palazzo tenuto sotto controllo dai due. Una delle guardie di fronte il portone si avvicina e aiuta qualcuno a scendere, e infine dà l'ordine al cocchiere di ripartire, rivelando una donna matura elegantemente vestita e con una ricercata acconciatura di capelli fulvi.

"Lo sapevo" mormora tra i denti la giovane nascosta, facendo scricchiolare il tessuto dei guanti mentre stringe i pugni.

"Che succede? Che fanno?" chiede allarmato lui, venendo ignorato.

La donna di fronte l'ingresso viene accompagnata dentro il palazzo dalla guardia, che poi riprende il servizio di vigilanza. All'interno, una a una le varie finestre si accendono di luci, prima quelle del piano terra, poi quelle sulle scale, e infine una in particolare al secondo piano. La giovane spia rimane immobile qualche istante con gli occhi socchiusi, come a voler ricordare bene in mente il percorso.

"Angie! Allora?"

"Possiamo andare" scende dai rottami delle casse e si avvia a grandi falcate verso l'uscita dal vicolo. Lui quasi fatica a starle dietro: "Ma chi è quella?"

Lei continua a camminare guardando dritto di fonte a sé: "Spazzatura."
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#8
ILENIA
(2 di 3)


Un'altra serata di baccano e confusione nell'affollata locanda portuale, dove risate e schiamazzi si accavallano nella grande sala di tavoli e sedie riempita di gentaglia di ogni tipo. Al bancone principale un uomo indaffarato con boccali e stoviglie lancia di tanto in tanto un'occhiata a tre ragazze con il grembiule che si premurano di prendere le ordinazioni facendo avanti e indietro continuamente. L'oste ferma una di loro, una donna magra dai capelli rossi stirati all'indietro, appena gli passa vicino: "Ilenia, ti vogliono nel retro. Vai appena hai finito di servire." 

Lei annuisce senza particolare espressione, e dopo aver portato quattro boccali di birra schiumosa a due coppie di avventurieri, si asciuga le mani sul grembiule e imbocca il corridoio dietro il banco, giungendo nell'ufficio dove era stata assunta nemmeno una decade prima. Con sua sorpresa, però, è vuoto, e si rende conto solo troppo tardi che qualcuno le chiude la porta alle spalle. Girandosi di scatto si ritrova di fronte uno dei buttafuori, lo stesso che l'aveva accompagnata il giorno del colloquio. "C'è qualche problema?"

"Dimmelo tu" lui incrocia le pesanti braccia corazzate. "Hai rifiutato altri tre clienti questa sera. Devo ricordarti perché sei qui?"

"Mi è stato suggerito di scegliere bene, e quei tre non erano adatti."

"Tutti sono adatti" sibila lui "se sono interessati e hanno i soldi per pagare."

Lei sospira con aria conciliante ma determinata. "Erano degli sfaccendati con famiglie da mantenere. Non erano adatti" ripete. "E adesso, se non c'è altro, devo tornare al banco" girando la maniglia apre la porta verso di sé, ma la pesante mano del buttafuori la richiude con un tonfo. Nonostante l'autocontrollo, lei non può fare a meno di sussultare appena.

"Ti è stato dato un incarico" la fissa. "Eseguilo o dovrò riportare che non ti serve più stare qui." 

Lei stringe i denti per un attimo, fissandolo a sua volta. "La povera gente non tornerà a comprare la vostra merce. Non può permettersela."

"E invece tornano sempre tutti. In quale modo trovano i soldi, non ci concerne."

Le labbra sottili vengono percorse da una linea di frustrazione, e subito dopo plasmate in un cenno distaccato. "D'accordo" deglustisce lentamente. "Posso andare adesso?"

"Aggancia. Più. Clienti. Possibili" il buttafuori scandisce duramente la frase prima di scostarsi dalla porta e lasciarla passare. Lei comincia quindi ad avviarsi nel corridoio di ritorno, già terribilmente consapevole che potrà permettersi di piangere dal nervoso solo in quei pochi metri che la separano dalla ripresa di quella che ormai è la sua vita.
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#9
RONDA
(2 di 3)


La carovana è accampata poco fuori le mura della grande città mercantile, e quasi tutti i suoi passeggeri dormono profondamente data l'ora tarda. I resti del campo fuoco ormai sono solo bracieri vivi a malapena. La ragazza dai capelli corti e scuri è sdraiata sul tetto del carro con le braccia dietro la testa, intenta a guardare le stelle senza umore apparente.

"Ti dispiace se mi unisco?" chiede cordialmente un giovane dai capelli e barba rossicci issandosi senza sforzo mentre la sua lunga giacca di cuoio svolazza qui e lì.

"Non mi sembra che ti serva il mio permesso" dichiara lei senza particolare inflessione.

"E dai Ronda, mi tratti sempre male" protesta amichevolmente lui facendo brillare l'unico occhio non sfregiato mentre si siede a gambe incrociate. "Sigarilla?" le porge un involucro di carta riempito di paglia e tabacco con la mano guantata a mezze dita.

"Lo sai che non fumo" risponde già annoiata. "Che vuoi Viktor?"

"Perché, devo avere un motivo in particolare per approfittare di questa vista meravigliosa?" ammicca con evidente doppiosenso.

Lei lo guarda infastidita dal commento: "Stai per finire di sotto."

"D'accordo, d'accordo" annuisce lui accendendosi la sigarilla ed espirando la prima nuvoletta di fumo. "Sono qui perché Larissa mi ha raccontato la tua situazione."

"Larissa dovrebbe pensare agli affari suoi" aggrotta la fronte. "Che ti avrebbe detto?"

"Abbastanza per spingermi quissù ad aiutarti."

Si gira su un fianco a guardarlo con aria critica: "Non credo che tu abbia qualcosa che mi serve."

"In effetti" ridacchia lui allungando un braccio oltre il bordo del tetto e ciccando di sotto "non possiedo niente che possa trarti d'impaccio. Però forse troverai utile quello che sono venuto a dirti."

"Di questo dubito" sospira lungamente stranita dalla conversazione "ma sentiamo."

"Volevo solo esprimerti il mio pieno supporto per quello che stai cercando di fare" lui prende un'altra boccata di fumo, guardandola.

"E cosa starei cercando di fare?" chiede con piglio scettico.

"Quello che anche io trovo giusto che tu faccia. Sono tre mesi ormai che ti sei unita alla nostra carovana e non ti ho mai sentita parlare di quello che ti sei lasciata alle spalle nemmeno una volta. Cominciavo a pensare che non ce l'avessi nemmeno, una storia. Ma dopo aver parlato con Larissa, ho idea che otterresti più soddisfazione se dedicassi il tuo impegno a qualcuno che sappia apprezzarlo."

"Che vuoi dire?"

Anche lui si stende su un gomito, risultando così sdraiato vicino. "Voglio dire che forse potresti canalizzare quello che è successo" cerca le parole per qualche momento "in una visione più ampia e a lungo termine. Potresti anche girarlo a tuo favore facendolo diventare lo scopo di una vita intera. Chi ha vissuto nei vicoli come te dovrebbe saper ottenere il meglio di queste confidenze notturne. Del resto, dicono che sia proprio di notte il momento migliore per agire."

Lei rimane attenta e accigliata al tempo stesso.

"Allora" scocca un sorriso in tralice lui porgendole di nuovo la mano. "Sigarilla?"
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#10
TAMARA
(3 di 3)


"Allora, è stata o no una buona scelta?" pronti ad andare, il ragazzo tiene aperta la porta della locanda portuale, è un'affollatissima serata d'inverno.

"Non ho trovato niente di cui lamentarmi" sorride la giovane dai capelli castani legati prendendo il soprabito appeso all'ingresso, ma poi si blocca e il sorriso le si spegne sul volto.

"Mi fa piacere. Dopo quello che è successo ho pensato che..." la nota e rimane perplesso. "Tamara?"

Lei serra la mascella guardando verso un punto preciso. 

"Stai bene?" segue il suo sguardo fino a un uomo di mezz'età seduto al banco che sta ridendo con l'oste. "Chi è quello? Lo conosci?"

Prende fiato senza nemmeno battere le palpebre. "Torno subito" sibila avviandosi a grandi falcate.

"E quindi le ho detto..." la risata dell'uomo svanisce rapidamente così come lei gli appare a fianco, quasi trasale incespicando il boccale in mano. "... oh."

"Già. Oh. Dobbiamo parlare."

Sospira pesantemente facendo cenno all'oste di riprendere più tardi. "Bene, parliamo."

"Ricordi quello che ci siamo detti l'ultima volta che ci siamo visti?"

"Conosco molte persone, Tamara" prende un sorso con aria vaga "non posso tenere a mente tutto."

"Penso che questo te lo ricordi" assottiglia lo sguardo. "Venni da te a chiedere aiuto. Non sapevo dove andare ed ero ancora vestita con l'abito da festa della sera prima."

Lui guarda un attimo nel proprio boccale. "Sì" annuisce "mi è dispiaciuto non aver potuto fare di più."

"Ti... è dispiaciuto non aver potuto fare di più?" lei ripete le parole quasi incredula.

"Che vuoi che ti dica? Avevo le mani legate. Lo sai come funziona."

"No, non lo so" scuote il capo ancora più incredula. "So che sono cresciuta giocando con i tuoi figli, e per questo venni da te a raccontarti quella vicenda orribile. Non potevo parlarne con i miei genitori o con nessun altro, ma pensai di poter contare su di te, un amico di famiglia. Te lo dissi e ricordi quello che hai risposto?"

Lui fa per alzarsi: "Adesso non mi va di parlarne."

"E invece ne parliamo!" gli sfila il boccale dalla mano e lo sbatte sul banco, facendo ondeggiare più di una volta la birra dentro di esso. Lui si ferma a mezz'aria, e poi si risiede lentamente con aria grave mentre lei deglutisce con chiara rabbia. "Mi hai detto che avrei dovuto vergognarmi di essere sempre stata una ragazzina viziata, ed è stato così perché da allora non provo altro."

"Sei qui per questo?" la occhia. "Per prendertela con me?"

"No" tira su con il naso "sono qui perché una delle poche persone decenti che conosco ha pensato che potesse farmi bene rivedere questi luoghi, che mi avrebbe fatto venire in mente qualcosa di ideale da dire, un giorno, alla persona responsabile di tutto questo. Ma mentre stavo per andare via ti ho visto ridere e scherzare come nulla fosse e ho capito una cosa tutta assieme: credo di dover dire a te quello che penso."

Senza più nulla da tenere in mano, l'uomo incrocia le braccia, chiaramente a disagio e sulla difensiva.

"Io sarò stata una ragazzina viziata, ma non me lo meritavo quello che è successo" lo fissa. "Tu invece" arriccia le labbra con disgusto "eri l'adulto che si professava nostro amico, e non hai fatto niente. Sei tu quello che dovrebbe vergognarsi" sibila le ultime parole lentamente e, appena vede che lui non sa cosa risponderle, lo abbandona sul posto tornando all'uscita.

"Tutto a posto?" chiede perplesso il suo compare rivedendola tornare quasi paonazza in volto.

"Sì" sbrigativamente rigira la sciarpa attorno al collo "qui abbiamo finito."
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