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XI
Durante i primi giorni a bordo della Maelstrom Sturm era stato assegnato ai più disparati compiti di fatica. Con un fisico come il suo, o come quello di Ffolk, non si poteva richiedere altro. La vita da mare non era mai stata così tanto faticosa, neanche sulle traversate compiute a bordo delle drakkar, tuttavia era sudore che accoglieva volentieri: significava vita quando in altra occasione poteva trovarsi negli abissi marini.
Tra una pausa e l'altra, durante i turni dei pasti, Sturm ne aveva approfittato per girovagare e curiosare in giro per la nave. Sottocoperta, al primo livello si trovava la mescita, il punto di riunione di tutto l'equipaggio, con tavoli fissati al pavimento di legno, sgabelli e piccole casse sparse qua e là. Da un lato era stato organizzato quel che doveva somigliare un bancone da locanda, stonava però da tutto il resto della nave per la sua ottima fattura: probabilmente era stato il bottino di qualche abbordaggio precedente.
Ad un certo punto la sala veniva divisa in due da una rete appesa al soffitto. Oltre si trovava il vasto dormitorio. Non cabine di lusso con letti comodi, cassapanche dove riporre il proprio bagaglio e un pitale per la notte, no. L'antro era composto da un agglomerato disordinato di amache o fitte reti che fungevano da amache appese per tutto il resto della sala; come latrine avevano due piccole finestrelle di legno da aprire, se si trattava di orinare, o due semplici catini dove accovacciarsi per espletare eventuali deiezioni. Un tanfo disgustoso di sudore e sporcizia proveniva da quella parte del brigantino ma a Sturm non parve importare più di tanto, respirava quell'odore a pieni polmoni.
E adorava dormire sull'amaca. Seppur aveva vissuto gran parte della sua vita in montagna non soffriva il mal di mare. Il naturale dondolare della nave aveva l'effetto di conciliare il suo sonno.
Al secondo livello si trovava uno scompartimento sorvegliato dove veniva riposto il bottino guadagnato prima di essere diviso e sperperato. Poi c'era un'altra sezione per i posti letto e per la cucina. Quella sezione del brigantino era invasa di un forte odore di garofani, elemento utilizzato alla base di ogni piatto lì sulla Maelstrom.
Infine veniva la stiva: lì erano dislocate le più svariate riserve di acqua, cibo e rhum, ma tanto tanto rhum. C'era così tanto rhum che Sturm si disse già ubriaco sentendone solo l'odore. La stiva era completamente satura, il Capitano Morgan controllava costantemente non mancasse nulla.
A rendere curiosa e speciale l'ultima sezione era una porta chiusa. Era chiaramente una cabina per qualcosa o qualcuno.
In quel frangente Sturm era solo lì sotto e si avvicinò ancor di più per curiosare.
La grossa mano si era posata sulla maniglia che non aspettava altro che essere abbassata per spalancare quella porta in legno di mogano.
«Sturm, lascia perdere»
Fosse stato un gatto gli si sarebbero rizzati i peli su tutta la schiena. Sturm si voltò. Sulle scale c'era il Capitano Morgan, il cappello triangolare in capo e il suo solito sorriso sottile e ambiguo stampato sul volto provocante.
«Non sei sopravvissuto in mare per morire qui, vero? Risali, c'è del lavoro per le tue braccia»
Durante l'avvicinamento dell' Albatros, quella vera, quella porta fu mandata ad aprire, dallo stesso Sturm.
«Devi bussare, due volte. Non una volta di meno, non una di più. Poi attendi e non dire niente se non ti viene chiesto niente hai capito? Ora và!»
Una volta raggiunta la stiva e aver eseguito quanto dettogli la porta emise un suono di sblocco.
Sulla soglia si presentò una figura minuta dalla testa calva e tatuata. Una donna. Un'altra! E a giudicare dal lungo bastone che tratteneva in una mano affusolata doveva essere una maga, una di quelle esotiche, provenienti da est, dall'entroterra. Thay.
Una thayan.
Anche a lei mancava chiaramente un occhio, il destro, che aveva sostituito con quello che sembrava proprio un rubino, letteralmente incastonato nell'orbita.
Al suo fianco pendeva una spada lunga e vestiva un completo di cuoio, da barbara, non una tunica tipica di un mago.
«Com'è il tempo?»
" Che razza di domanda è?!" si chiese Sturm nonostante si fosse soffermato ad ascoltare quella inusuale voce vellutata e dalla nota assassina.
«Soleggiato, il sole splende»
«Come non ha mai...?»
«Mai...?» Sturm non sapeva cosa rispondere, troppo perplesso e accigliato per concentrarsi e replicare.
La maga lo guardò. L'occhio sano era azzurro. La pelle bruna.
Tuttavia la donna non attese molto, scansando il grosso ruathen prese le scale e salì, raggiungendo il ponte.
«Oh eccoti» il Capitano Morgan accolse la minuta maga a braccia aperte, il sorriso smagliante «gioisci, oggi potrai scatenarti. Sei concentrata sì?»
«Sì» la maga guardò oltre il Capitano Morgan «non doveva essere una sola nave?»
«Il capitano Roland si è rivelato più furbo di quanto pensassi. E' di ostacolo per te?»
«No, niente che non possa gestire»
«Bene, benissimo! Quando vuoi, il ponte di comando è tuo»
" Ma che diavolo sta succedendo?" Sturm era ancora perplesso. L'animo del Capitano Morgan si era ringalluzzito tutto di un botto, sprizzava fiducia da ogni poro. Non era normale.
Da lì a qualche minuto anche Sturm avrebbe capito.
La piccola maga, divaricate le gambe e posizionatasi all'estremità di poppa, batté forte il bastone a terra. Pronunciò incomprensibili parole arcane con un tono di voce alto e rauco. Quindi sguainando la spada lunga sfregò la lama lungo l'estremità del bastone. Questo scaturì delle scintille, come fosse un fuoco da campo appena acceso. Poi le scintille divennero piccole lingue di fuoco fino a divenire un vero e proprio focolare.
La maga puntò il bastone contro la falsa Albatros e, urlando sguaiatamente parole arcane, scagliò in rapida successione tre grosse palle di fuoco destinate ad abbattersi sulla nave gremita di lupi mannari e cadaveri.
La falsa Albatros si accese in una fragorosa esplosione di fiamme distruggendone un intero fianco. Il brigantino di esca colò a picco, di lato, rigirandosi per poi sparire tra la spuma marina, i detriti ed altri cadaveri ancora.
«Lasciamoli avvicinare»
«Sei sicura? Potrebbero ripensarci dopo quello che hai fatto»
«Allora rallentiamo, subito»
Il Capitano Morgan diede ordine di ammainare velocemente le vele. Sturm dovette mettersi all'opera arrampicandosi sul cordame per aiutare a ritirare le bianche vele striate di rosso e blu.
Quel che produsse la minuta maga fu qualcosa di eclatante.
Giravano leggende, per il Mare Senza Tracce, che negli abissi si aggirasse un famelico e gigantesco kraken. La maga sfruttò quelle dicerie.
Agitò le mani in aria, vorticando assieme bastone e spada. La voce alta, una vena rigonfia era spuntata su quel suo piccolo collo.
Tutti poterono vedere l'acqua ribollire tutta d'un tratto intorno all' Albatros che rallentò bruscamente la sua avanzata. Gettarono addirittura l'ancora per arrestare prima l'incedere del brigantino.
L' Albatros riuscì a fermarsi.
Anche da quelle distanza si poteva intravedere l'equipaggio nemico in piena frenetica attività. Tante piccole sagome che si muovevano in disordine.
Al che la maga portò entrambe le mani agli occhi, mormorando freneticamente qualcosa di arcano. Un alone rossastro scaturì dal suo occhio. Poi anche i tatuaggi sul capo si accesero di un rosso scarlatto.
Come fosse in preda ad uno spasmo di puro piacere la minuta maga distese verso il cielo entrambe le braccia, spada e bastone, poi urlò a squarciagola, come un'invasata.
Al di sopra dell' Albatros si aprì un vortice oscuro che parve risucchiare tutti i venti della zona. Quando l'equipaggio nemico capì quello che stava succedendo era già troppo tardi. Le vele ancora spiegate si gonfiarono ma il brigantino non si mosse a causa dell'ancora che venne ritirata su troppo tardi.
Il vortice crebbe di intensità addensando intorno a sè una coltre di scure nubi. Saette e fulmini cominciarono ad apparire, cadendo con fragore sull' Albatros.
«Vaaaaaa!!! AHHHHH!!!» con espressione invasata ed estasiata la minuta maga diede il colpo di grazia.
I venti magici di colpo aumentarono esponenzialmente, attirati da quel vortice oscuro. Le acque sotto l' Albatros si agitavano scuotendo violentemente l'imbarcazione. D'improvviso l'intero brigantino venne sollevato dalla superficie marina, dapprima lentamente, poi più velocemente. La nave si impennò dalla prua quindi con un riecheggiante schiocco si spezzò ed infine si sgretolò. L' Albatros, il capitano Roland e il suo equipaggio finirono risucchiati via da quel turbine magico di acqua, aria, saette e rombi di tuono.
Poi il varco nel cielo sparì in silenzio, svanendo, rilasciando una calma piatta laddove prima si trovava la vera Albatros.
La maga minuta espirò profondamente sorreggendosi al proprio bastone la testa china. I tatuaggi tornati neri e non più pulsanti di sinistro rossore.
«Immagino che non si possa fare niente per il tesoro che aveva con sè vero?» il Capitano Morgan aveva volutamente lasciato trasparire un tono di frustrazione.
«Sì, immagini bene Morganelle»
«Non chiamarmi così!» dopo il breve intenso scambio il Capitano Morgan si girò verso la sua ciurma. A palmo aperto indicò dietro di sè la minuta maga, la distruttrice minuta maga.
«Per i nuovi: lei è Maelstrom»
«Come premio voglio lui» Maelstrom aveva teso l'indice verso Sturm. Il ragazzone serrò la mascella. Cosa poteva succedergli con una donna come quella?
I suoi timori virili furono però spazzati via dalla riconoscibile ferrea presa che si chiuse su una sua spalla. Era Ffolk.
«Rilassati Sturm, ha indicato me».
Altri guai.
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XII
Quella mattina il Capitano Morgan, o Morganelle, si era destato con un'esplosione di ormoni. Lo aveva capito dal sogno da cui si era bruscamente risvegliato: bicipiti rigonfi, petto massiccio, ampie spalle. Sudore. Corpi nudi intrecciati tra loro.
Aveva già un'idea precisa con chi sfogarsi.
Prima di uscire e raggiungere il ponte di comando il Capitano aprì il suo armadio: era ricolmo dei più svariati abiti. Pensò. Valutò attentamente. Infine optò per un completo da cavallerizza che era in voga nel Cormyr almeno un paio di anni fà. Lo aveva ottenuto razziando un mercantile. Non era il caso di indossare qualcosa di complicato ma serviva comunque un abito che fosse ricercato, che ispirasse e che facesse capire che lei non era una qualsiasi.
Dunque aveva deciso di sacrificare quel bel completo perfettamente aderente: la camicetta in seta bianca dai bordi sbuffati avrebbe lasciato intravedere il giusto e lasciato il resto all'immaginazione. Mani forti l'avrebbero strappata con un non niente " un gran bel sacrificio d'abito".
Doveva trovare però la giusta occasione. Non le andava di sfogare i suoi istinti con tutta la ciurma a bordo. Non lo aveva mai fatto.
Uscito sul ponte il Capitano Morgan guardò dapprima il cielo. Era nuvoloso. Il vento soffiava una lieve fresca brezza. Si guardò intorno e riconobbe il lontano profilo della costa. Il Mare dei Morti, e più in là la destinazione ideale: Neverwinter. Entro sera avrebbero attraccato al molo.
Lo sguardo poi ricadde sull'ampia schiena di Sturm. Gliela avrebbe rotta a forza di incarichi pesantissimi.
Dal canto suo Sturm non capì perchè quel giorno il Capitano Morgan l'aveva preso di mira. Gli spettavano solo compiti insensati e molto pesanti, come spostare semplicemente cataste di barili da una parte all'altra e poi riposizionarli nella stessa maniera dov'erano in principio.
Spostare da solo lunghe travi di legno. Non sapeva se sarebbe arrivato a fine giornata ancora vivo.
«Fin'ora ti sei rilassato eh vitellone? Ora suda! Lavora! Lavora! Lavora!»
«Dannata mestruata» borbottò Sturm mentre la sorpassava, la schiena carica di pentolame sferragliante.
Inaspettatamente gli si affiancò Ffolk. I giorni successivi alla fortuita fuga dall' Albatros veniva spesso richiamato sottocoperta. In effetti aveva la faccia smunta. Gli si chinò vicino con fare schivo, guardandosi intorno.
«Sturm, dobbiamo andarcene da qui. Appena getteranno l'ancora a Neverwinter bagagli in spalla e lasciamo questa nave di matti»
«Stai bene Ffolk?»
«No, sto malissimo. Quella vipera pelata là sotto è un'indemoniata. Nel suo occhio c'è qualcosa. Qualcuno. L'ho visto mentre...»
« Jau jau, ho capito»
«E poi ha uno strano odore»
«Che diamine però Ffolk, riuscirà la tua anguilla a non creare problemi per una volta?»
«Puah, lascia perdere! Non pensavo potesse arrivare il giorno in cui avrei maledetto la mia virilità. Comunque tieniti pronto. Erlend e Genker sanno già tutto. In serata ce ne andiamo di qua»
«Sempre che il Capitano Morgan non mi uccida prima di fatica»
Ridendo Ffolk si allontanò, assestando due vigorose pacche alla spalla di Sturm.
Prima che potesse imbrunire la Maelstrom entrò nel molo di Neverwinter, vele ritirate, a colpi di remi la nave stava affiancandosi alla banchina.
« Vitellone» Sturm venne raggiunto dal Capitano Morgan «una volta attraccati la ciurma sarà libera. Tu prima di unirti agli altri dovrai trattenerti qua sulla nave. Ho ancora un paio di domande da farti. L'interrogatorio non è ancora finito»
«Ma cos'altro vuoi sapere?!»
«Bada a come parli o ti appendo a testa in giù per la prora per tutta la notte fino a che non ti esploderà la testa. Niente obiezioni. Obbedisci e basta!» Sturm annuì, sospirando, imprecando tra sè a denti stretti.
Era da poco passato il crepuscolo e la Maelstrom era ormeggiata già da ore, assicurata al molo, ancora gettata in profondità.
Con un cappuccio trasandato a coprirgli il capo Ffolk sopraggiunse a scaraventare giù dall'amaca uno Sturm sfinito, già assorto nel sonno.
«Che diamine stai facendo ancora qua?! Muoviti! E' ora»
«Ma il Capitano Morgan mi vuole nella sua cabina. Deve finire di interrogarmi»
«Ah sì? Per quel che mi riguarda non abbiamo più nient'altro da dirle. Prendi ciò che puoi, sacco in spalla, sii veloce. Sbrigati!»
«Arrivo, arrivo per la Morr...» il manrovescio dietro al collo fu di una violenza inaudita. Un tronco di quercia sul petto sarebbe stato più gradito. Ffolk guardava Sturm dall'alto verso il basso:« Non t'azzardare a richiamarla, stiamo già rischiando. Ci manca solo che posi il suo sguardo su di noi e siamo finiti» Sturm non ribatté, limitandosi ad annuire e borbottare.
Cappuccio in testa, sacco in spalla, spadone dietro la schiena Sturm raggiunse gli altri tre ruathen che attendevano in prossimità della passerella. Scesero velocemente dalla Maelstrom andandosi a perdere tra i vicoli scuri della città.
Intanto il Capitano Morgan attendeva il fatidico momento seduta sul suo scranno finemente intagliato. Sbottonò ulteriori due bottoni. Era tutto un fuoco. Più volte adocchiò il proprio letto matrimoniale, ancora perfettamente ordinato. Cercava di immaginarsi come le sarebbe parso l'indomani. In che modo si sarebbe posta a quel manzo di Sturm?
Fu una domanda che non ebbe mai risposta.
Il Capitano Morgan attese, attese e attese. L'ardore e l'eccitazione svaporarono lasciando il posto ad una rabbia crescente quando scoprì della scomparsa dei quattro ruathen. Urlò tutta la sua rabbia, sguinzagliando anche Bell de la Muerte.
In quell'istante della notte il cielo prese a tuonare. Una leggera pioggerella cadde sulla città. Nel camminare Sturm alzò il capo, ignaro della ghiotta e provocante opportunità persa nella cabina della mezzelfa pirata.
«Mh, piove. Gli Æsir approvano»
«Cos'è tutto un tratto sei diventato uno sciamano?»
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XIII
Peldan's Helm.
Il risveglio era stato improvviso e brusco.
Messosi seduto Sturm si tastò la testa nel tentativo di fermare il capogiro che l'aveva colto. Il naso ancora gli doleva, pulsava fastidiosamente scagliando fitte di dolore fino al cervello.
La coperta era calata scoprendo l'ampio petto. Il ragazzone ruathen aveva ancora ricordi non molto lucidi della notte trascorsa. Effettivamente, guardando fuori dalla finestra, la notte doveva ancora terminare ma dall'azzurrino che si intravedeva all'orizzonte era chiaro che di lì a qualche minuto avrebbe albeggiato.
Nel rigirarsi sul letto notò l'assenza della minuta cameriera. Una certa Lea. Doveva essere tornata ai propri alloggi, probabilmente sciancata e tutta piegata da un lato. La frustrazione dovuta alla sconfitta in duello con la rossa del Rashemen, Renfri, l'aveva scombussolato risvegliando una collera mutata poi in un eccesso di eccitazione consumato con la giovane cameriera. Un mero sfogo di consolazione.
Credeva fermamente di poter vincere Renfri e di accaparrarsi quanto richiesto. Si era unita al bagno termale senza mostrare pudicizia, rivelandosi così come la natura l'aveva fatta. Un corpo femminile da far invidia, scattante, formoso, ma non per questo meno vigoroso. Poteva seriamente fare a gara con la formosa Aslaug Baciata dal Fuoco.
Sturm aveva udito i racconti legati agli incontri svolti da Renfri contro altre persone, come la stessa Aslaug Baciata dal Fuoco, o Fjolnir figlio di Bjorful. O addirittura il mastodontico Areskahan Figlio di Drago, altra inusuale, brutale e rara figura conosciuta durante il soggiorno ad Ashabenford.
Tutti sconfitti.
Renfri rimaneva imbattuta.
Sturm si era deciso a dare una dimostrazione, a mettersi in gioco come tutti e far vedere che poteva farcela. La sua infanzia era stata costellata da risse continue, amichevoli e non, addestramenti e duro lavoro tra le montagne, tagliando e trasportando legna. Il che aveva fatto sì che Sturm sviluppasse un fisico resistente e massiccio, una forza fuori dal comune capace di trasformare i suoi pugni in massi di pietra adamantina.
Contava di vincerla.
E invece Renfri si era dimostrata più resistente di quanto apparisse. Nonostante le forti percosse subite era riuscita a mantenersi lucida e a colpire Sturm in punti ben localizzati, dove sapeva che il danno avrebbe sortito il massimo degli effetti.
La ginocchiata tra le gambe aveva mandato il ragazzone totalmente fuori giri, rendendo imprecisi i colpi successivi. Imprecisi e prevedibili.
Prevedibili come la testata che voleva assestare alla donna ma che quest'ultima aveva previsto e anticipato con un'altrettanta violentissima testata.
Risultato: naso rotto, svenimento e sangue nella vasca termale. Renfri vincitrice. Non si era neanche presa la briga di soccorrerlo. A Sturm non dispiaceva affatto quel comportamento sprezzante. L'atteggiamento del forte.
Armata solo di pugni e seducenti nudità Renfri si era dimostrata una donna capace e se possibile anche pericolosa. Cosa poteva essere bardata d'armatura e con la sua spada rumorosa? Sturm voleva scoprirlo, chissà che non potesse tornare utile per i suoi ostici affari?
Al di là di tutto la sconfitta bruciava ancora. Si sarebbe riscattato e l'avrebbe fatta sua, prima o poi.
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XIV
Peldan's Helm.
La morte aveva un sacro significato per un ruathen. Morire in battaglia rappresentava la più alta ambizione per un combattente. Morire con un'arma in mano, durante uno scontro valeva l'ingresso nelle ampie sale di Tempos.
La non morte di contro era vista come qualcosa di disonorevole, sia per il corpo che per l'anima che finiva dannata per sempre. Sturm non aveva particolari odi razziali ma per la non morte nutriva un terrore viscerale. Nei non morti poteva vedere i suoi incubi concretizzarsi: ciò che poteva diventare se fosse perito sotto qualche oscuro incantesimo. O ciò che potevano diventare gli altri.
Non c'era niente di più disgustoso di un corpo esanime riportato forzatamente in quella che era di fatto soltanto l'ombra di una vera vita. Il corpo diveniva solo un burattino goffo guidato da forze superiori e subdole.
La cerca del carretto scomparso fu qualcosa di terribile.
Il gruppo era riuscito bene a resistere agli ostacoli incontrati, rappresentati dalle varie mostruosità presenti nella zona: goblin cavalca worg, gnoll, ogre, bugbear. Ma il rituale oscuro in cui si erano imbattuti aveva gettato tutti nello sconforto, soprattutto quando tutti quei corpi che giacevano a terra senza vita cominciarono a rialzarsi, uno ad uno, sempre di più, fino a formare una piccola e lenta orda di non morti che andava concentrandosi nel punto nevralgico in cui era stato officiato il rituale.
Erano stati sopraffatti.
I corpi cadevano, apparentemente abbattuti ma poi tornavano a rialzarsi, animati dall'oscura magia che aveva pervaso l'intera zona. Lo stesso Sturm fu tirato fuori da sotto una massa di svariati bugbear zombie che gli si erano addossati contro fino a ricoprirlo del tutto. Sitkah e uno dei nani del clan degli Ironbreaker lo avevano trascinato di fuori a fatica e poi fatto riprendere a forza di schiaffi e lievi cure mediche.
La ritirata era stata forzata ed era l'unica manovra sensata che si potesse compiere.
Hruggek. Hruggek. Hruggek.
Il rito era officiato in suo onore: il dio violento dei bugbear.
Avvisare chi di dovere era il minimo, le Terre delle Bestie covavano in seno un pericolo immenso oltre che una degna sfida. Combattere i vivi non era assolutamente un problema: un taglio alla gola, un colpo al cuore, il femore rotto, potevano stendere qualsiasi creatura. Ma un non morto? Era una seccatura. E lo era di più se diveniva poi etereo capace di schivare praticamente qualsiasi colpo che non fosse magico.
L'uomo può forse colpire o tagliare l'aria? No.
Sturm odiava qualsiasi cosa il suo spadone non potesse colpire.
L'unica nota positiva consisteva in un bottino di cui Sturm nutriva molta aspettativa e che era nelle mani pratiche di Storback degli Ironbreaker. Ma perchè potesse goderne era necessario fugare la maledetta e spaventosa minaccia della piaga della non morte.
[Quest DM Ignem]
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XV
Man mano che il corpo si slanciava e si ingrandiva il passo si faceva sempre più pesante, vigoroso, ricolmo di forza. E claudicante.
Sorrideva vago e divertito ogni volta che gli ponevano la stessa identica domanda: «Sturm zoppichi, che hai fatto?» e la risposta era sempre la medesima, indipendentemente da chi formulava la domanda: «Abitudine, solo abitudine».
Ed ogni volta, i ricordi riaffioravano come un fulmine a ciel sereno.
Ricordi di un'infanzia dura. Di un'adolescenza complicata.
Berrion, braccia incrociate al petto, osservava con cipiglio critico la moglie distesa sul letto.
Jaeth cullava il figlio da poco nato, così piccolo e così debole. Il neonato, avvolto in un folto panno, aveva la carnagione emaciata e si presentava davvero esile. La donna lo guardava con apprensione, alternando lo sguardo tra il piccolo e suo marito, che stazionava lì in piedi.
«Sopravviverà»
Berrion Greif, così chiamato per aver avuto il merito di abbattere un grifone tutto da solo, si chinò ad afferrare il figlio. Nelle sue manone callose appariva minuscolo, e molto fragile. Lo fissò con intensità. Il figlio per un veloce istante parve ricambiare lo sguardo, quietandosi dal vagire a squarciagola.
Vecchi grandi occhi chiari incontrarono altri nuovi piccoli occhi chiari.
Ma fu solo un istante. Il piccolo riprese a piangere, paonazzo in volto.
«Staremo a vedere Jaeth. Vedremo la stoffa che ha per combattere, e vivere».
Jaeth venne di prima mattina a buttarlo giù dalla brandina. Lo aveva preso dalla collottola della pelliccia, sollevato e gettato a terra facendogli dare una facciata contro il duro pavimento. Il tutto utilizzando un sol braccio.
«Ah! Che male!»
«Niente storie, alzati Sturm hai dormito pure troppo. Tuo padre ti aspetta, è uscito già da un po'»
Il ragazzino guardò fuori dalla finestrella della casupola strofinandosi il naso. Nevicava. Fiocchi bianchi calavano placidamente, ondeggiando. Il cielo era un banco di nubi bianco grigiastre. Non avrebbe piovuto ma la neve sarebbe continuata a scendere, accumulandosi ancora di più.
Per Sturm la mattina era la parte della giornata più difficile da affrontare: svegliato sempre di soprassalto dalla madre nel bel mezzo del sonno, tra il calore confortante della coperta di pelliccia d'orso e sogni eroici in cui abbatteva giganti e grifoni. Dopo una frugale colazione composta da carne secca e un'abbondante ciotola di zuppa calda gli spettava un'inerpicata lungo il fianco ripido di una collina oscurata da una folta macchia di abeti dove suo padre si recava per far la legna.
Non una semplice scalata. Tra la neve alta doveva stare attento a non finire in una buca e rischiare di rimanere sommerso.
Marraccio alla cintola e bastone in pugno Sturm si avviava, come in ogni singola e gelida mattina.
Era l'unico ragazzino della sua età che si univa ai taglialegna.
Da ancor più piccolo si era già trovato a che fare con la legna. Berrion aveva deciso di sottoporlo ad un addestramento arduo così da farlo maturare come un vero ruathen, di irrobustirlo e dargli l'opportunità di affrontare le intemperie delle montagne di Ruathym.
Così Sturm imparò sin da subito la fatica di un giorno intero di lavoro.
Nel recinto adiacente alla casupola Berrion tagliava la legna con l'accetta così da farne dei ceppi. Sturm lo affiancava raccogliendo quanti più ceppi possibili da trasportare nel piccolo ripostiglio costruito appositamente per non far bagnare la legna che sarebbe poi servita per accendere nel braciere un fuoco che potesse scaldare tutta la casupola durante la notte, oscura e gelida.
Sturm conobbe fin troppo presto i crampi che gli attanagliavano le braccia, le gambe e il petto.
Crescendo le mansioni aumentavano senza diminuire in fatica. Tutt'altro.
A quell'età gli spettava spogliare i tronchi abbattuti da tutti i loro rami e successivamente, a colpi di marraccio, spezzare quegli stessi rami e trasportarli trascinando una slitta rudimentale fin giù in pianura.
Le prime volte con il marraccio in mano furono di una sofferenza inaudita. Le piaghe sulle mani non finivano di uscire: «C'è la neve Sturm, usa quella. Ci farai l'abitudine» Berrion era di un cinismo incredibile ma era anche un ottimo padre ed insegnante.
«Pa' aiutami!» puntualmente arrivava un forte schiaffo dietro il collo: «Non ci sarò per sempre Sturm. Devi farcela da solo. Sacrificati. Passa il limite, non fermarti». Severità che scaturiva in Sturm un gran senso di rivalsa. Non doveva e non voleva mostrarsi debole davanti a suo padre o a sua madre.
«Prima della spada o dell'ascia devi imparare a colpire. Ogni colpo ha una ripercussione sul braccio, per cui, se non ci sei abituato, potresti perdere l'arma che impugni per il dolore o l'indolenzimento. Quindi, prendi il marraccio e colpisci questi rami. Spezzali. Tieni la lama inclinata, andrà più in profondità. E resisti al dolore».
I primi colpi di marraccio erano caduti in punti differenti lungo tutto il ramo. Anche se relativamente più piccolo rispetto alla grossa ascia che usava Berrion, il marraccio, alla sua età, pesava parecchio. E colpire lo stesso punto con la stessa forza era davvero difficile.
Berrion rise, prendendosi gioco di lui: « la strada sarà lunga Sturm, molto lunga».
Ma anche il peso del marraccio venne meno man mano che la forza aumentava.
Giunse il tempo dell'ascia. Berrion glie ne aveva fatta comporre una: una testa pesante e bella tagliente, dall'aspetto granitico. Il lungo manico era in legno di quercia ben levigato.
Quell'ascia era un utensile formidabile ma presto la meraviglia passò.
Sturm si ritrovò ad abbattere alberi insieme a suo padre e ai suoi compagni di razzia. Colpire per obliquo, colpire per orizzontale. Sturm doveva ancora abituarsi bene al lungo e più pesante utensile, alle movenze necessarie perchè potesse assestare colpi precisi e violenti.
Questione di praticità.
Le fiammate alle spalle, ai dorsali e alle braccia erano nulla se confrontate a quello che stava per accadergli da lì a qualche giorno.
Alcuni tronchi erano stati addossati uno sopra l'altro su di una lieve altura. Quel giorno c'era il sole che splendeva alto nel cielo e gli Æsir avevano sgomberato il cielo da ogni singola nube. Il calore si percepiva come non mai.
Neve si sciolse.
Anche quella sotto i tronchi ammucchiati in forma piramidale si sciolse. I tronchi caddero, rotolando giù con fragore lungo la ripida collina.
Sturm si accorse troppo tardi del lungo tronco che lo investì fracassandogli anca e gamba.
Fu Jaeth e non Berrion a tirarlo fuori da sotto la neve, privo di sensi.
«Ha finito, ha la gamba e l'anca completamente fuori uso. Già tanto se rimarrà in piedi»
«Berrion» Jaeth lanciò al marito uno sguardo in tralice, eloquente « hai fatto e stai facendo un ottimo lavoro con lui. E' diventato forte e resistente contro ogni nostra aspettativa. Ce la farà anche questa volta. Ronfalr lo terrà sotto controllo, e medicherà le sue ossa affinchè tornino più sane e forti»
«Doveva essere più attento»
«Già, come te no?»
Berrion non replicò ma si limitò ad uscire dalla casupola borbottando.
Ci fu un lungo periodo di guarigione e poi di riabilitazione. Tornare a camminare era difficile, figuriamoci correre, o saltare, o fare leva su quelle che stavano diventando due forti gambe.
Ma come Jaeth aveva detto, Berrion stava insegnando bene a suo figlio a resistere, a lottare sempre di più, ad affermarsi.
«Perchè tutte queste pietre intorno alla gamba?»
Berrion che fino a un attimo prima era chino si rialzò con aria soddisfatta, annuendo. Annuì anche Jaeth.
«La gamba è rimasta troppo ferma mentre l'altra no. Dovrà compiere il triplo dello sforzo per tornare ad essere efficiente come prima. Le pietre sono peso aggiuntivo. Aiuteranno la gamba a recuperare il muscolo»
Tra le fitte di dolore ed il peso aggiuntivo Sturm dovette fare ancor più leva sulla gamba sana. Sviluppò un'andatura quasi da razziatore veterano, zoppicando vistosamente.
Terminato il periodo di riabilitazione la gamba era tornata dello stesso smalto muscolare della gemella.
Ma il portamento era rimasto compromesso.
Il passo pesante.
E claudicante.
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XVI
Dintorni di Ashabenford.
C'era riuscito. Era riuscito a convincere Areskahan Figlio di Drago a scontrarsi con lui, in una sorta di rissa. Peccato però non accettò di combattere nudo, così come aveva proposto Sturm.
Sturm si riteneva un ragazzo risoluto, pienamente cosciente del proprio corpo e della propria forza. Ma davanti lo spettacolo messo in mostra da quel gigante mezzodrago la convinzione di essere considerato un uomo forte venne meno. Decisamente meno.
Le scaglie dorate che incorniciavano il fisico bestiale di Areskahan lanciavano bagliori dorati che a Sturm ricordavano il baluginio di un mucchio di monete d'oro.
Il fisico di Sturm si poteva considerare scolpito, con una muscolatura ben sviluppata e scattante. Il corpo di Areskahan sembrava invece essere stato scolpito direttamente nell'acciaio liquefatto, intagliato finemente da mano esperta, adagiato sul suo corpo e lì lasciato raffreddare. Uno spettacolo osceno ma allo stesso tempo meraviglioso.
Sturm stava per battersi con un mezzodrago!
Da quel che sapeva, di tutti i ruathen, solo Aslaug Baciata dal Fuoco si era scontrata con un mezzodrago. Sempre Areskahan.
Il grosso ruathen sperava di fare meglio della rossa cacciatrice.
Illuso.
Areskahan lo aspettava, in guardia, mani chiuse a pugno davanti al volto.
Sturm prese un bel respiro, inspirando profondamente, gonfiando l'ampio petto. Sapeva già cosa fare.
Jaeth gli fece segno di venirle incontro con aria di sfida e sorriso beffardo. Sturm caricò, slanciandosi per portare a segno un gancio che avrebbe dovuto colpirla allo stomaco.
La donna ruathen rimase ferma, come una statua, in attesa. Fino all'ultimo.
Poi scartò di lato, scostando con la mano aperta il pugno del figlio che proseguì la sua carica, sbilanciato.
Subito Sturm sentì sotto di sè una superficie scivolosa. Tra l'intero paesaggio innevato Jaeth si era piantata su di una pozzanghera ghiacciata. I piedi nudi di Sturm scivolarono, le gambe si tesero e poi si piegarono in un goffo tentativo di equilibrio.
Fu Jaeth a metterci una pezza. Con un vigoroso calcio dietro le cosce fece definitivamente carambolare a terra Sturm, che si sollevò in aria prima di cadere con un tonfo secco, crepando la superficie ghiacciata.
«Equilibrio Sturm. Conosci il tuo avversario. Conosci il campo di battaglia. Un nemico a terra sarà più facile da abbattere».
Il pugno al mento fu doloroso e di chiaro esempio.
Sturm caricò fintando un colpo diretto al capo.
Sfruttando lo slancio del colpo però si piegò impattando con la spalla contro il duro addome del mezzodrago, in un violento e vigoroso placcaggio, intrecciando subito le forti braccia intorno alle gambe del gigante. Grugnendo per lo sforzo lo sollevò aiutandosi con la rincorsa.
Il gigante dorato cadde a terra di schiena, con un tonfo sordo. Sturm colpì con mano chiusa, dall'alto verso il basso. Fosse stato un normale avversario forse il pugno sarebbe andato a segno ma in quel frangente il bersaglio era un esemplare che aveva ereditato dei tratti da drago, per di più d'oro.
Areskahan, pienamente lucido e cosciente della situazione, ruotò su se stesso, scattante, schivando il colpo del grosso ragazzo ruathen. Rimessosi in piedi con una mezza piroetta sfruttò quel movimento rotatorio del busto per dar ancor più potenza al suo pugno che si schiantò come un macigno sul volto di Sturm, facendogli rinculare la testa all'indietro.
Berrion arretrò di qualche passo dopo aver inferto al figlio un colpo vigoroso in piena faccia.
Prese a camminargli di fronte, da destra a sinistra, da sinistra a destra, le braccia massicce contratte ma distese lungo i fianchi. Dal muscoloso e segnato busto scoperto si alzava una leggera coltre vaporosa. I capelli lunghi, castani, trattenuti in una pratica coda. La folta barba sfoggiava cristalline perline di sudore. Gli occhi gelidi fissati su i propri.
«COLPISCI!!!»
E Sturm colpì.
Digrignando i denti, con un occhio già gonfio e semichiuso sferrò un montante che si infranse contro la mascella del gigante dorato, spaccandogli il labbro.
Areskahan però rimase lì sul posto, neanche lontanamente sbilanciato o sorpreso dal colpo. Aveva una resilienza incredibile, probabilmente altro tratto vantaggioso ereditato dal suo retaggio.
Il pugno seguente che colpì Sturm fu preciso e ancor più devastante del primo. Una montagna gli si era schiacciata sopra la faccia.
Barcollando all'indietro si allontanò dallo Jarl Froston menando colpi alla cieca, deboli ed imprecisi. Lo Jarl rise beffardo:« Dovresti metterci la stessa foga che metti quando sei a letto Sturm, adesso come adesso sei solo un agnellino da scannare. Combatti!!!»
Sturm optò per un dritto veloce, di sorpresa ma Areskahan si era spostato di lato quel tanto che bastava per parlarlo con il suo ferreo avambraccio scaglioso. Di risposta il mezzodrago tentò con un colpo dall'alto verso il basso, a colpire il capo del suo avversario ma Sturm riuscì seppur stordito a piegarsi dal lato opposto e schivare il colpo.
Seguendo il movimento di lato il ruathen pensò bene di colpire l'addome perfettamente scolpito della creatura dorata. Il pugno neanche arrivò a destinazione. Una delle manone artigliate si chiuse con fermezza intorno al suo polso, bloccandogli il colpo. Di contro l'altra manona giunse come un martello sul volto. Di nuovo.
Il mondo intero esplose sul volto di Sturm.
Cadde al suolo sbattendo forte il mento, esausto, respirando a fatica. L'occhio con cui riusciva ancora a vedere era puntato su un paio di stivali di cuoio rinforzati in ferro. Lentamente alzò lo sguardo cercando di focalizzare la calva figura barbuta che svettava su di lui.
Rasten era sopra di lui che si sistemava un guanto imbottito, sorrideva beffardo, i lunghi baffi della barba distorti in una smorfia spietata.
«Abbiamo finito qui con lo scricciolo».
Quando riprese coscienza si ritrovò la grossa mano artigliata del gigante dorato davanti la faccia. Aveva un occhio gonfio che non riusciva proprio più ad aprire. Dallo zigomo sinistro e dalla mascella provenivano stilettate di intenso bruciore. In bocca il sapore metallico del sangue.
Sturm riuscì a sfoggiare un sorrisetto soddisfatto e malconcio prima di afferrare la mano del mezzodrago.
Areskahan era stato di parola:« Ci batteremo secondo le mie condizioni. Ci sarà del sangue e tu perderai» mai previsione fu più vera.
Se non si contava anche quella di Renfri del Rashemen ovviamente.
Renfri. Areskahan.
Due sonore sconfitte.
«Quel che non uccide fortifica» ma Sturm sapeva che se avessero voluto lo avrebbero spezzato a metà.
Il tocco delicato di un'attenta Nityalar Occhi d'Ametista fu accolto con un genuino sospiro di sollievo.
La mascella però ancora doleva.
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02-10-2017, 16:50
(Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 02-10-2017, 16:51 da cotoletta.)
XVII
Tra i vicoli di Neverwinter i quattro si persero senza volerlo veramente.
Districarsi tra le viottole di quella grande città e quella nuova realtà si dimostrò più difficile di quanto si pensasse.
Di notte per di più non si capiva un accidenti, la strade erano immerse nel buio più totale e loro sembravano avere tutta l'aria di quattro malintenzionati.
La gente di lì lanciava loro occhiate ostili e diffidenti: chi era il pazzo che poteva dare loro anche solo un briciolo di fiducia?
Giusto un pazzo per l'appunto.
O dei disperati.
Trascorsero giorni da quando si erano lasciati la Maelstrom alle spalle. Le notizie galoppavano veloci ed erano venuti a sapere che il brigantino era ripartito per il mare di gran lena. Evidentemente il Capitano Morgan non voleva farsi sfuggire una ghiotta preda.
Il pericolo dei pirati era sventato ma ora tutto il gruppo doveva far fronte ad una nuova e più pressante incombenza: sfamarsi.
Le scorte che erano riusciti a trafugare dal brigantino erano finite in men che non si dica, troppo poche perchè riuscissero a soddisfare il fabbisogno dei quattro voraci guerrieri.
Ffolk, come Sturm, mangiava come non ci fosse un domani. In qualche maniera dovevano pur sostentare i corpi massicci che si ritrovavano.
I morsi della fame e l'aspetto trasandato li spinsero a gravitare intorno al quartiere malfamato della città: lì, in gruppo, avrebbero potuto accaparrarsi qualcosa con l'aiuto della forza e dell'intimidazione. Un pò di sana violenza non guastava, infondo non era brigantaggio ma una sfumatura di razzia.
Il quartetto non ci mise troppo a farsi notare. Stavano marcando il posto sbagliato, al momento sbagliato.
«Ecco i cani di Luskan!»
Sturm, Ffolk e Genker andarono direttamente su di giri. Provavano per Luskan e i suoi abitanti furfanti un'innata ostilità quasi alla stessa stregua dei pelleverde. Quindi, automaticamente, odiavano visceralmente essere accostati a spazzatura del genere.
Ad apostrofarli era stato un omuncolo rachitico, basso, dal viso smunto e il naso incredibilmente adunco. Aveva gli occhi grandi slavati e due enormi occhiaie nerastre a circondarli. I denti, quelli rimasti, erano di un giallo accesso, nel migliore dei casi. Nel peggiore presentavano un nero marcio.
Vestiva abiti larghi e logori, probabilmente sottratti a qualcuno meno fortunato di lui.
Ciò che sorprendeva era che un individuo del genere fosse seguito da un nutrito gruppo di brutti ceffi dall'età più disparata. Ragazzi malfamati e uomini adulti dal volto indurito, lo sguardo torvo.
«Smammate immediatamente cagnacci bastardi o useremo il bastone per mandarvi via»
«Ah, jau? Fossi in te starei attento alle zanne di questi cagnacci sporco verme di letame!» la risposta irata di Sturm fu rapida mentre avanzava impugnando lo spadone.
Ffolk grugnendo di rabbia lo seguiva dappresso imbracciando con entrambe le mani il suo martellone.
Genk si era armato di scudo e ascia.
Erlend... Erlend li fissava con braccia conserte. Calmo. Pacato. Lo sguardo sinistro si alternava tra il gruppo e i tre suoi compagni di fuga.
«Ragazzi questi cercano rogna, capiscono solo le cattive. Spolpateli prima che arrivi il bersaglio, forza!»
Lo scontro che ne seguì fu violento e sanguinario.
Non sapevano il nome dei loro nemici, neanche chi fossero o da dove provenissero.
La battaglia era tutto ciò che cercavano.
Il sangue, la morte, la distruzione.
Vivevano nient'altro che per quello.
Forza bruta e valore.
Le urla, i grugniti, il cozzare metallico di armi contro armi avevano fatto scappare via chiunque si trovasse nelle vicinanze. Ma aveva attirato l'attenzione di un improbabile omaccione dal ventre prominente e barba folta.
Ubriaco lercio.
«Feeehhhermui! Fuerrrrhmui!»
Sturm abbatté il suo avversario spappolandogli la faccia con lo stivale.
Quando si rialzò per riprendere velocemente fiato vide quell'improbabile e goffa figura. La vide solo per qualche istante tentare di correre, o di caricare la mischia, infilare il piede cicciotto in una buca, perdere l'equilibrio e sbilanciarsi, cadere e rotolare di lato, sparendo con un gran fragore di casse e barili schiantati in un altro piccolo vicolo laterale.
Lo scontro continuò finchè non sopraggiunse la milizia cittadina, i Manti Grigi, a riportare l'ordine con altrettanta violenza.
Gran parte del gruppo nemico era stato fatto a pezzi. Diversi cadaveri erano riversi a terra, in pose innaturali o irriconoscibili. Ffolk si era beato di una piccola mattanza.
Sturm era stato ferito in vari punti del corpo ma era riuscito a rimanere in piedi e abbattere molti dei suoi avversari.
Genker.
Genker giaceva a terra, sotto almeno sei corpi di quei briganti. Gli occhi vitrei rivolti verso il cielo.
Erlend non aveva una maschia di sangue, non aveva preso parte allo scontro e Sturm si arrovellava la mente chiedendosi il perchè.
In ginocchio, mani legate dietro la schiena, i tre ruathen, tumefatti, attendevano il loro nuovo giudizio. In mezzo alla via fangosa e insanguinata. Sorvegliati dal manipolo di Manti Grigi.
«Vedi a nominarla sempre che succede eh Sturm?» Ffolk brontolò, borbottando.
Sturm in risposta imprecò la Morrighan, a denti stretti.
Ma fu Erlend a spiazzarli, interrompendo quel momento così penoso.
Si rivolse a Sturm, fissandolo con i suoi occhi grigi metallici.
«Chi sei tu?»
«Che ti prende Erlend, sai chi sono, non hai preso nessuna botta in testa»
«Rispondimi» replicò pacato «Chi sei? Come ti chiami?»
Sturm sospirò spazientito ma accontentò il suo compagno: «Sturm Greif, figlio di Berrion Greif, il Grifone, e di Jaeth Fischio di Sangue»
«E tu?»
«Gjorgul, il Ffolk» aveva omesso la famiglia a cui apparteneva, aveva tralasciato tutta la sua dinastia e la sua discendenza.
Erlend annuì solenne verso Ffolk, quindi si voltò verso Sturm.
«Io sono Erlend»
Sturm capì.
Era terminato un ciclo.
E a quanto pare stava per concludersi anche quello nuovo, dentro qualche cella fredda e umida, o sopra un patibolo ammuffito con una corda intorno alla gola.
Non un granchè.
Ma Sturm rispose, lo stesso.
«Io sono Sturm. Solo Sturm».
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XVIII
Mistledale.
I primi dissapori erano spuntati come speroni di ghiaccio che nascondevano sotto di loro un immenso iceberg.
Alcuni atteggiamenti Sturm non li aveva mai sopportati e continuava ad esserne insofferente, soprattutto se poi provenivano da gente che reputava degna di stima e rispetto.
Ognuno a modo suo cercava di marcare il proprio territorio come una massa di cani rognosi che cercano di accaparrarsi l'unico osso rimasto a disposizione.
E Sturm sapeva chi era l'osso, lo puntava anche lui.
Quello stesso osso che era capace di tenerli uniti tutti, ma che allo stesso tempo mandava in tumulto i loro animi, con piaceri e dispiaceri.
Era toccato a Fjolnir figlio di Bjorful incaponirsi per una questione che nessuno a parte la Baciata dal Fuoco aveva inteso.
E non c'era cosa peggiore di un ruathen testardo. La testardaggine di un mulo a paragone era niente.
Quella folle risolutezza più tardi per poco non lo strappava via dal loro gruppo, ostacolato da un nemico più ostico del previsto.
Fu a quel punto che Sturm si frappose in quell'assurda situazione esprimendo il suo cinico pensiero.
Si era formata una catena di parole ed eventi che stava per degenerare.
E così fù.
L'orgoglio di un ruathen è prezioso quanto la figura della propria madre, intaccarlo in qualsiasi maniera avrebbe scatenato la furia del ruathen.
Se poi a criticarlo era un raugh ruathen si poteva raggiungere l'apoteosi dell'ipocrisia e del disonore.
Sturm si era spesso cacciato nei guai a causa della sua parlantina. Sia Berrion che Jaeth gli avevano insegnato a far valere i propri pensieri, a dire ciò che pensava, a riflettere però, prima di dire qualsiasi cosa.
Quell'ultima parte Sturm non doveva averla appresa granchè.
Amava parlare a sproposito e Renfri, Renfri la Volpe, glielo aveva fatto notare.
Quelle sue stesse parole, dettate questa volta da un pensiero ben razionale e lucido, erano state pronunciate nel momento sbagliato.
Avevano attirato l'ira del Biondo Orso e poco più tardi quella della Baciata dal Fuoco.
Sturm aveva inteso perchè Aslaug fosse intervenuta.
Non l'avesse fatto da lì a poco Fjolnir avrebbe caricato e fatto a pezzi un accigliato e iracondo Sturm.
Ma pur essendo un raugh ruathen Sturm possedeva un gran senso d'orgoglio personale. Bastava una parola con tono un poco più imperativo per far scattare in lui una rabbia impetuosa.
Con Aslaug era successo.
Si era lasciato sopraffare da quella rabbia e le aveva risposto, gettando combustibile su un fuoco che ardeva già abbondantemente.
Tutta la situazione stava degenerando.
Sturm se ne accorgeva ma era come fosse diviso in due, da una parte lo spettatore che osservava beffardo l'evolversi della situazione. Dall'altra l'orgoglioso raugh ruathen iracondo che doveva far valere la sua posizione a tutti i costi.
Il pugno che arrivò sullo zigomo lo colse impreparato.
Fu un pugno dato d'istinto e con rabbia furente che tuttavia non causò tanto danno ma fruttò l'effetto sperato: zittire Sturm.
Il corpo era pronto a rispondere.
Non con le mani o il guanto ferrato. Ma con lo spadone infilzato a terra, lì vicino.
Lo sguardo gelido si era posato sull'osso da spolpare.
Ma poi la lucidità ebbe la meglio, forse il non sentire le proprie parole l'aiutava a ragionare di più.
Che stava facendo? Perchè stavano per scannarsi per una follia?
Toccare la Baciata del Fuoco voleva dire inimicarsi Fjolnir figlio di Bjorful, e probabilmente anche Renfri la Volpe.
Tre ottimi alleati e compagni d'armi.
Non ne valeva la pena, proprio no.
Sturm ingoiò un boccone amaro dal sapore del sangue. Lo zigomo pulsava ma null'altro. Più tardi sarebbe apparso un livido nero e violaceo.
Capiva l'intervento di Aslaug Baciata dal Fuoco.
Capiva l'astensione dalla faccenda di Renfri la Volpe.
Capiva il furore di Fjolnir figlio di Bjorful. Alla fine stava sempre facendo un enorme sforzo nel tollerare uno come Sturm.
Non accadde nient'altro.
Sturm doveva imparare la lezione: bastava un niente per morire.
Fortunatamente il rientro non fu burrascoso.
A Ruathym cose del genere accadevano spesso. Risse violente o addirittura scontri con vittime venivano seguite poi da riconcilianti bevute intorno ad un tavolo e tanta birra, ritrovando e suggellando un'amicizia ancor più salda.
Era così anche per loro? Sturm non sapeva dirlo, ma nel profondo sperava di sì, alla fine ci si trovava bene con loro.
Ma lo zigomo livido pulsava ancora.
E lui bramava famelico quell'osso.
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XIX
Ffolk sembrava ormai rassegnato.
Seduto a terra con le spallone ricurve e la testa calva, china, borbottava, stanco.
«Tanta fatica per cosa? Per venire giustiziati qui? Sto perdendo il conto delle volte in cui Hel viene ad avvolgerci per portarci con lei»
«E' qui anche adesso, jau»
« Jau. Due giorni...».
Ffolk borbottò ancora, questa volta facendo denotare una punta di rabbia repressa, di fastidio.
«... e saremo suoi».
Fu il commento sentenzioso di un lugubre e fin troppo pacato Erlend.
In realtà i tre ruathen non sapevano proprio cosa aspettasse loro.
Era prevista la pena di morte?
Sarebbero stati giustiziati con il cappio al collo o avrebbero dato loro l'opportunità di combattere e morire con un'arma in mano?
Oppure li aspettava una lenta, inesorabile e anonima morte tra le fredde e umide celle?
Oppure erano previsti strazianti lavori forzati?
Proprio non lo sapevano.
Tutti e tre erano inquieti. Persino Erlend faceva trasparire un'espressione sfiduciata e a tratti terrorizzata. Non sapevano proprio cosa fare.
Tentare la fuga?
Non se ne parlava proprio. Non conoscevano il territorio, ne tanto meno la struttura in cui erano.
Tre come loro, di nuovo fuggitivi, avrebbero dato sicuramente nell'occhio.
L'indomani giunse lentamente, il tempo dentro quella cella sembrava essersi dilungato. Un minuto pareva un ciclo di stagioni intero.
I tre avevano dormito poco. O troppo. O troppo poco.
Erano visibilmente agitati e irrequieti, intrattabili, facili all'ira. Dalla loro cella si poteva udire un frenetico brusio scaturito dal loro continuo borbottio.
«Ma siete sicuro?»
«Shi shi! Vi duigo di shi!»
Sturm drizzò la testa, attraversato dall'immagine di un corpulento barbuto intento a caricare con in mano un boccale e poi sparire caracollando in un vicolo. Riconosceva quella voce.
«E sono vostri dipendenti?»
«Eshattamende mio buon difenshore della leggggie. Quei shette shono la mia scorta personual... perso...per...» il discorso fu inframmezzato da un rotto piuttosto sonoro « persuonale, shi»
«Sette?» l'altra voce, più matura e decisamente più lucida e autoritaria faceva trasparire delle chiare note di scetticismo e perplessità.
«Non shono... mh... erano... in quanti shono rimashti eh?!»
«Sono tre. E sembrano tre grossi morti di fame. Di Luskan o di Ruathym persino».
«Shi shi shignuore, shono pruoprio loro. Di Luskym shi shi. Shono muiei dipuendenti. La...»
«... vostra scorta, sì»
Le voci si avvicinavano sempre più alla cella.
I passi sferraglianti di uno erano accompagnati dalla sbatacchiare di oggetti e roboanti rotti dell'altro.
Poi due figure si fermarono davanti l'entrata sbarrata della cella.
A sinistra un uomo alto e distinto, tratti marcati e capelli brizzolati, corti. Fiero nella sua tenuta da ufficiale dei Manti Grigi.
Di fianco, a destra, un uomo altrettanto alto e largo almeno il triplo del primo. Una cuffia di cuoio sul capo. Viso e ventre corpulenti. Folta barba. Una tunica di lana che sembrava stesse per strapparsi da un momento all'altro, trattenuta da una cinta tirata all'inverosimile. L'espressione gioviale di chi avesse trovato quel che stava cercando da tempo immemore.
«Così siete la sua scorta eh?»
Ffolk e Sturm si scambiarono un'occhiata accigliata «Noi...»
«... siamo la sua scorta milord, mio signore. Sire». fu Erlend a prendere parola, deciso, lo sguardo risoluto.
«Sono un capitano. E conoscete il nome di questo signore quindi?»
«Nuo, non lo conosciono»
«Lo chiamiamo solo Signor Rotto» proseguì Erlend in quel che sembrava una recita preparata da anni.
Sturm e Ffolk lo fissavano con incredulità e piacevole stupore.
Sturm si ricordò che aveva già sentito parlare di Erlend a Ruathym, un tipo di poche parole, sempre cosciente di sè e di quel che gli era intorno, con un forte istinto di sopravvivenza e una mente sveglia quanto forte e micidiale era il braccio che impugnava la sua lunga spada ruathen.
Erlend lo Scaltro.
«A lui sta bene, a noi anche»
«E ditemi quanto vi paga?»
«All'inizio ci siamo accontentati dei pasti e delle birre. Poi oltre a quelli anche qualche moneta d'oro»
«Addirittura d'oro»
«Addirittura d'oro, jau. A lui sta bene, a noi anche».
Il capitano si massaggiò il mento decisamente indeciso sul da farsi.
Il signor Otto s'era presentato in caserma garantendo per quei tre, che all'inizio erano quindici, poi venti, e poi dieci, quindi sette.
Ed era deciso a farsi carico di loro, aveva anche portato con sè la paga consistente della loro cauzione.
«Dunque messere» il Capitano si rivolse al corpulento signor Otto «vi concedo la custodia di questi tre individui. Ma badate bene, se dovesse verificarsi qualche altro disordine che li vede coinvolti, fosse anche solo uno di loro, anche voi verrete perseguito come loro tutore e datore di lavoro. Inoltre dovreste aggiornare i vostri documenti circa i dipendenti che avete a carico. Questa, consideratela un'eccezione per i servigi che avete reso più volte ai nostri Manti Grigi».
Alla fine quei tre, che prima erano quattro, avevano sgominato un gruppo fastidioso di banditi che stava andandosi sempre più ad espandere. Senza dirglielo il Capitano stava ricambiando loro il favore.
«Puodeteh starnueh cuertoh shinor Cuomand... Capit... Tenente! Arh! E oooura, fuori di qwui tuori da montah!» Otto rise fragorosamente stappando una grande borraccia con cui riempì il proprio boccalone.
Era giunto il pazzo che aveva concesso loro un briciolo di fortuita fiducia.
La Morrighan sembrava aver volto lo sguardo altrove.
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XX
Mistledale.
«... così vi ha parlato delle nostre intimità?»
«Mah, è rimasta molto sul vago onestamente»
Sturm ora si chiedeva a quali diavolo di intimità stava riferendosi colei con cui stava parlando.
L'immaginazione galoppò.
Scene sempre più spinte si avvicendarono nella sua testa, velocemente.
Sognava ad occhi aperti, mezzo incantato.
Percepiva il basso ventre entrare in un turbine di scosse.
Ma ritornò al presente.
La sua interlocutrice stava parlando ad un'altra figura ora.
Jon Manolesta.
«Mettiti in pace con Isabel, è accoppiata con Derek. Ci ha già pensato lui»
«Cosa?!»
Sturm non voleva crederci. Isabel se la faceva con il Profumiere ?
Poco dopo i due ripresero a camminare, da soli.
«E da quando vanno a letto insieme eh?»
«Non in quel senso Sturm. Faranno coppia per una festa»
«Ah, bè, allora, tutt'altra storia»
Trasse un sospiro di sollievo.
«Io sarò accompagnata da Aldric»
«Non avevo dubbi. E Majuk? Chi ha avuto il coraggio di prendersela?»
«Nessuno, è la sua festa, siamo stati invitati da lei»
«Ah! E' riuscita a trovare un posto che le andasse bene?» Sturm era incredulo mentre passeggiavano, uno di fianco all'altro.
«Sì, conosci il Velo no? Festeggerà lì. Tutti in maschera»
Nella mente di Sturm stava prendendo forma un'idea malsana.
«E quando sarà?» chiese alla compagna, sorridendole beffardo.
Mancava un sol giorno e Sturm era in ritardo all'appuntamento con il sarto indicatogli proprio da Majuk.
«Messere siete un proprio un ritardatario. Sapete che non ci siete solo voi qui vero?»
« Jau jau, senti... te. Lasciamo perdere l'abito da allargare. Prendetemi le misure»
«E per cosa di grazia?»
«Per una veste larga. E una maschera»
«Cosa?»
«E' per una festa. La festa di, mh, la conoscete, quella con le corna, Majuk»
«Ah, madamigella Zarhkath, certo»
«Mi hanno detto che dovrei essere il suo mh, regalo» Sturm non era proprio bravo a mentire, in realtà era un totale fallimento, lo sapeva, per cui distolse lo sguardo quando lo disse, più borbottando che altro.
«Voi il suo regalo?» il sarto gli lanciò un'occhiata con malcelata disapprovazione. Evidentemente aveva da ridire.
« Jau, insomma, una sorpresa»
«Allora state fermo. Siate paziente. Ci metterò un pò. E visto chi è la festeggiata opteremo per un rosso»
«Rosso?»
«Sì, rosso. E' un colore che va molto in voga nel suo paese»
Sturm ignorava completamente da dove provenisse Majuk ma gli piaceva il rosso.
Fosse stato versato del sangue non si sarebbe poi notato tanto sull'abito.
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