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[Dm Ignem] Thraxata, la fine di una secondogenita
#1
"AVETE DISTRUTTO I MIEI SERVI" 
"ORA DIVENTERETE IL MIO SPUNTINO" 


Dopo essersi fermata a riprendere fiato con un po' d'aria elfica, sotto gli occhi delle guardie la genasi attraversava l'Albero delle vie diretta a Essembra. Del tutto incurante del suo aspetto e di chi incrociasse, sporca dai capelli svolazzanti alle gambe tremanti, gli abiti malmessi e uno strano sorriso fossilizzato sul viso e gli occhi brillanti. Le orecchie ronzavano ancora chiudendola in un limbo personale mentre percorreva meccanicamente la strada verso il Tempio.

"Hey Harald com'è andata la giornata? Io ho ucciso un drago!"

Voleva parlare con lui, voleva buttarsi su un letto, voleva mangiare un cinghiale, urlare e dormire per due ere, ma invece, senza neanche rendersi conto, giunta davanti all'altare continuò a camminare verso le stanze sul retro. Come ogni madre era attratta magneticamente dal figlioletto. Qualunque cosa il piccolo stesse facendo, lei lo prese a sè baciandolo vigorosamente. Caranthir gatttonava già da tempo ormai e, a giudicare da un bernoccolo recente, probabilmente aveva tentato il bipedismo con scarso successo. Agli occhi di Darsa però, lui sarebbe stato sempre la stessa meravigliosa piccola fiammella. Forse ora un po' meno carino, scalcitante e insozzato dalla presa della madre. Portandolo in braccio, Darsa tornò dalla Fiamma Eterna e come se niente fosse riprese a parlare.

"Oh Harald..."

Come in una strana favola per le orecchie del figlio, Darsa narrò della battaglia che avevano appena vinto contro la fortezza drow, servi della dragonessa Thraxata. Minimizzando su quel "piccolissimo dettaglio" del "Dito della morte" che si era presa in pieno, quando con Ethan avevano squarciato la palizzata dei drow. Tappando le orecchie del genasi mentre imprecava contro quei "piccoli" bastardelli abissali che le saltavano addosso in ogni corridoio della fortezza, dalle stanze intrisae di sangue e bradelli di elfi orrendamente trucidati. Sicuramente enfatizzò con troppo entusiasmo le "sublimi e letali fiammate" che si erano presi distruggendo i cristalli di un qualche rito di evocazione demoniaca. Per non parlare delle "Tempeste di meteore" che aumentavano di numero ogni volta che le citava a caso, rompendo la cronologia della narrazione.

"AHIA! Zakhar Caranthir Nietzen: lasciami subito!"

Come ogni pupetto che si rispetti, doveva strappare un po' di capelli alla madre, specie se gli ondeggiavano sotto il suo naso ipnoticamente. Una balia accorse subito in soccorso dell'imbranata madre, portandolo via da quella storia truculenta per "fare il bagnetto". Perchè si anche le genasi di tanto in tanto devono lavarsi, sebbene dagli strilli lungo il corridoio, forse il pargolo aveva intuito il suo triste destino. O più semplicemente non stava da troppo tempo con la sua mamma. Succede quando si ha una madre incapace di fermarsi, sempre intenta a rincorrere imprese, talvolta impossibili e quindi senza riuscire a portarle a termine, ovviamente. Darsa approfittò per sedersi sulla prima panca, riprendendo la narrazione con toni più adulti ma non necessariamente sensati.

"E niente.. poi ho tempestato di dardi un Balor degli Abissi e poi la dragonessa, due volte"

Parlò di come quel sacerdote si fosse ucciso per evocare il balor, tralasciando di come questo esplose in faccia ai combattenti più vicini, morendo contro l'ultimo dardo. La morte che Darsa aveva sempre sognato per se stessa, quella del balor, non degli scoppiati. Poi parlò di come primo drago, ucciso dopo tanta fatica, in realtà si era rivelato un simulacro di pietra. Confidò ad Harald le perplessità sue e degli altri che ne capivano, in quanto non era certo cosa "da draghi". Si ripromise di parlarne al maestro Amalyth ricordandosi delle sue sparizioni a "fiocchi di neve". Poi gli raccontò della bellissima donna che applaudì loro dopo aver ucciso Vizar puntandogli un dito. Colpevole e quindi meritevole di aver dato il colpo "mortale" al simulacro. Parlò di quanti erano caduti ancora sotto i suoi colpi tremendi, di come Davian resisteva mentre lei scaricava tutto ciò che le era rimasto di una bacchetta di Tempeste di dardi. Non che gli altri combattenti fossero da meno, intendiamoci, ma tra fedeli..

"Ora sono davvero molto stanca e affamata, se non ti spiace vorrei ritirarmi"

E lo fece davvero, portandosi nel letto, la sua piccola creaturina linda e pulita ma sempre scagazzante. Solo al mattino seguente si ricordò di citare ad Harald l'arco ammazzadraghi che però non era riuscita a vedere in azione così distante dall'elfa. E della cerca di draghi metallici intrapresa da altri. Disse che era ancora stanca ma impaziente di avere notizie, dunque avrebbe ripreso l'Albero delle vie passando per Myth Drannor. Oh si giusto, le avevano finalmente concesso il passaggio "fino a nuovo ordine". Darsa sorrise di come riguadagnava la città elfica una zolla alla volta, scherzando, chiese ad Harald quanto fosse grande la Città del Canto. Incurante di come lui non comprendesse il suo desiderio di liberarsi dal bando.
"Come ti chiami?" "Echo" "Echo?" "Echo"
[Immagine: d74f984f6804a4af70519c18280b3419.jpg]
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