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[Maragorn Fennec] Diario e appunti di viaggio
#21
Cosa accade quando un pericolo minaccia un’intera valle? Quando questo pericolo ti “sceglie” e gioca con la tua vita, quasi sfidandoti? Senza dubbio c’è da aver paura ma c’è anche da tener presente che non bisogna tirarsi indietro in quanto una mancanza potrebbe portare alla condanna di tutti.
Questo sta succedendo a me e ai miei compagni a causa di questo pericolo ultraterreno. Ma andiamo con ordine.
 
Mi ero dato appuntamento con Graster in locanda, avevamo entrambi bisogno di un poco di riposo e il “Cervo” sembrava il posto più adatto, se non altro per l’ottimo stufato di cinghiale e la birra di Glen. Stavamo attraversando il ponte quando sentimmo qualcosa, come un brivido lungo la schiena seguito da un tonfo. Ci sembrò subito chiaro che qualcosa si era tuffato in acqua, come se venisse dal cielo. Entrambi provammo a controllare in acqua, cercando qualche segnale tra le placide acque dell’Ashaba. Era come un pesce, velocissimo risaliva la corrente senza creare scompigli nel piattume del fiume, ma decisamente più grosso. Ci guardammo e senza aggiungere nulla ci muovemmo rapidi verso la zona nord della città. Costeggiammo i bastioni fino a che la mia attenzione non venne richiamata da un canale di scolo dell’acqua piovana. Avevo una strana sensazione e chiesi a Graster di prepararsi al peggio. Sicuramente lui era quello meglio attrezzato ad affrontare un pericolo “fisico”, vuoi per via della sua corazza che per il suo addestramento. Mi misi dunque in posizione pronto a sollevare la grata non sapendo cosa poteva aspettarci là sotto.
 
Oltre il fetore lo spettacolo fu dei più degradanti: lo scolo era letteralmente strabordante di uova, immerse nell’acqua e nel loro liquido cromatico. Sembravano appena deposte ma di quell’essere al quale davamo la caccia non c’era la minima traccia. Mentre decidevamo il metodo più rapido per distruggere quella terribile incubatrice un’anziana del posto fece capolino dalla sua abitazione  chiedendoci che cosa stessimo facendo nelle vicinanze di quello scolo.
Usando le giuste parole riuscimmo a scoprire che qualche giorno fa, proprio in prossimità di quello scolo, si trovava la giovane nipote del vecchio Thomas, il padrone della fattoria fuori città nonché il primo a venire colpito da quella, chiamiamola pure malattia. La descrizione della donna, che era amica del vecchio e che conosceva bene Charlotte, questo il nome della ragazza, non faceva presagire niente di buono. Secondo il suo racconto questa era provata fisicamente, con lo sguardo spento e i capelli arruffati, come se non dormisse da giorni o se non fosse in pieno possesso delle sue facoltà mentali. Questa non le aveva rivolto la parola ma si era limitata a fuggire non appena la donna l’aveva chiamata per chiederle cosa stesse facendo in prossimità dello scolo, un po’ come ha fatto con noi. Ci informammo su dove abitava e sulla sua famiglia scoprendo che viveva a Peldan’s Helm con un padre, Ronald, e una madre, Romilda: congedati dalla signora tornammo a dedicarci alle uova.
 
Decidemmo di prenderne un campione e di conservarlo in una scatola di piombo (per inciso, dannato Multhimmer, 30 pezzi d’oro per quella scatola manco fosse d’argento, spero che possa spenderli in rimedi contro la dissenteria!) e di distruggere tutto il resto. Quest’ultima operazione fu alquanto semplice, il liquido multicolore è altamente infiammabile e bastò accostare semplicemente una torcia per far avvampare tutto quello schifo in pochi istanti.

Dopo aver controllato il ponte, avevo infatti il dubbio che quell’essere si fosse tuffato dall’arcata e non che fosse piovuto dal cielo, decidemmo di aggiornarci dopo aver consegnato le uova campione ad Eitinel per studiarle. Per questo mi misi subito in cammino verso Elven Crossing, passando dapprima per la sede della Rosa dei Venti, che purtroppo era desolatamente vuota, fino ad arrivare alla sua abitazione personale. Per fortuna la maga era in casa e potei consegnarle la scatola di piombo con le uova assicurandomi che si sarebbe messa subito a studiarle.


*A concludere la pagina del diario, compare un disegno del canale di scolo*

[Immagine: 8O8pKQN.jpg]

- Dm Nyx-
Una vita da mezzadro, anni di fatica e zappa per poi prendere una spada.

PG: Maragorn Fennec  Diario / Portrait
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#22
Finalmente era arrivato il giorno in cui avrei incontrato Cordelia Roman, la nobildonna di Neverwinter, giunta dalla grande città per scombussolare le vite degli abitanti delle Valli. L’appuntamento era all'Opale d’acqua e da lì, con un gruppo di avventurieri scelti da Urdo, ci saremo mossi in una “passeggiata” per le vie di Mith Drannor. Ero assolutamente consapevole che tutti i componenti maschili del gruppo avrebbero voluto solo portarla a letto e, da quello che si diceva in giro, a lei non sarebbe affatto dispiaciuto. Sinceramente avevo poco interesse in questo aspetto, ero stato ingaggiato per farle un ritratto in una scena bucolica e quello avrei fatto, semplicemente speravo che le fregole degli altri accompagnatori non interferissero con il mio lavoro.

 Il primo impatto con la donna non fu dei migliori. Certo, Urdo aveva commesso una leggerezza conducendo il gruppo alle porte della sua stanza senza farsi annunciare ma a mio parere la donna dava troppa importanza a questo particolare; fece una piazzata niente male all'hin che pareva davvero costernato. Effettivamente non l’avevo mai visto così e, per la prima volta da quando lo conosco, ho provato una certa empatia nei suoi confronti.
Riunito il gruppo, del quale facevano parte oltre me e Urdo, Leonides, Darsa, Cristopher, Eitinel, Haidar ed Anthony, ci mettemmo in marcia per Ashabenford dove prendemmo una carovana per Elven Crossing. Già, una carovana per non fare qualche passo, per gli dei, credo che al carovaniere sia venuto un colpo quando mi vide comprare un biglietto per così poche leghe!
 
Dopo il solito scomodo viaggio e un giretto per la città elfica, la destinazione era il portale magico per Mith Drannor. Una volta arrivati alla città del canto, Cristopher si improvvisò guida turistica portandoci alla scoperta degli angoli più nascosti della capitale del regno elfico del Cormanthor dato che li risiedeva da diverso tempo. Finita la visita alla città, lady Roman sembrava molto colpita dalla maestria architettonica e soprattutto dal potere del mythal che, tra stupore e risate, le permise di buttarsi dalla cima della torre del castello Cormanthor chiaramente senza farsi del male. La visita continuava tra i posti più suggestivi della città finché non giungemmo alla radura degli amanti.
La donna, davanti al lago e alla grande statua, decise che era lì che voleva la ritraessi e, senza troppi convenevoli, si spogliò senza il minimo pudore davanti a tutti. Inutile dire che la cosa mi lasciò quantomeno interdetto ma alla fine ero lì per questo. Mi avvicinai a lei e cercai di metterla nella posa migliore possibile così iniziai a ritrarla. Ero intenzionato a fare solo uno schizzo e fare poi il vero quadro in un secondo momento. Mi concentrai molto sulle luci che filtravano tra i rami della foresta e sui riflessi dell’acqua, prendendo nota dei colori. Durante il tempo in cui disegnavo, sia Cristopher che Leonides passarono all'azione. Non solo non le toglievano gli occhi di dosso ma decisero di farsi una bella nuotata completamente nudi pavoneggiandosi davanti gli occhi, per nulla infastiditi, di lei. Dietro di me sentivo i commenti degli altri membri del gruppo, che poco a poco, salutavano per andare alla locanda, segno che si stava facendo tardi. L’unico che tenne un comportamento assolutamente inappuntabile fu Haidar che, per rispetto (o per paura di Ariah), passò tutto il tempo in cui la donna stava nuda, seduto di spalle. Devo ammettere che la cosa mi ha impressionato in maniera positiva!
Dopo appena un’ora avevo concluso il lavoro e aiutai lady Roman a rivestirsi accompagnandola in locanda per la notte. Il giorno dopo la riaccompagnammo all'Opale d’acqua e, tornato ad Ashabenford, mi misi subito a lavoro per completare il quadro. Il lavoro durò cinque giorni ma devo ammettere che il risultato mi soddisfaceva parecchio.
 
*Di seguito lo schizzo base che ha fatto da modello per il quadro*

[Immagine: Qd6pZun.jpg]

*... e infine il quadro consegnato da Maragorn a lady Cordelia Roman*



Show ContentV.M. 14:

- Dm Artemis -
Una vita da mezzadro, anni di fatica e zappa per poi prendere una spada.

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#23
Porre la parola fine a questa minaccia era l’imperativo categorico che ci eravamo posti alla vigilia della partenza per Peldan's Helm. Il nostro gruppo di partenza, che vedeva Eitinel, Xenia, Graster e Lilnuviel, aveva perso quest’ultima ma si era arricchito di qualche elemento: Ariah, Haidar e l’elfo Thaemir su tutti. Come detto il nostro obiettivo viveva a Peldan's Helm e li ci recammo con la carovana, per risparmiare tempo prezioso. Dopo una breve ricerca in città riuscimmo a trovare la casa della famiglia Acherflow e li ci recammo immediatamente.

La piccola abitazione, che si trovava subito fuori le mura, fu facile da trovare ma, quello che trovammo ben più complicato, fu guadagnare la fiducia della signora Romilda; anzi, diciamo che non ci riuscimmo affatto. La donna era sotto l’influenza di una di quelle lische deformi che, i nostri “esploratori”, riuscirono a vedere posata sul tavolo della piccola e povera abitazione e, forse per questo, non riuscimmo a convincerla della bontà delle nostre intenzioni. Continuava a ripetere che la figlia era partita con il padre per portare le pelli dei maiali che allevavano alla breccia di Tilver e che, solo lo spedizioniere, poteva sapere dove si trovavano in questo momento. Dovevamo si raggiungere la figlia, ma era nostro dovere liberare la madre dalla malefica influenza di quell'entità.
L’aiuto in questo senso ci venne dall'abilità di Eitinel che, sfruttando un incantesimo di invisibilità e uno di evocazione, fece apparire un enorme topo dentro la casa che fece scappare a gambe levate la donna permettendoci di recuperare quel feticcio. L’unico problema era che questo topo, decisamente fuori controllo, devastò letteralmente le povere cose della famiglia: un inconveniente non da poco che però sarebbe potuto essere risolto solo in un secondo momento.
Recuperata quell'aberrazione, fummo lesti a recarci dal carovaniere per chiedere informazioni. Quello che ci disse non fu molto rassicurante. Pareva infatti che la ragazzina avesse convinto il padre a passare per la via nord, per accorciare diceva. Peccato che la via che va a nord è decisamente più lunga e impervia; sicuramente questo era avvenuto a causa dell’influenza della lisca o peggio. Ogni minuto era prezioso e non potevamo sprecarne altri. Ariah, guidando un gruppo di noi, si spinse per la normale via che conduce alla breccia, nella speranza di anticipare la carovana.

Il grosso di noi decise di seguire le tracce del carro che, grazie alle piogge abbondanti, risultavano ben visibili. Poco dopo trovammo il carro distrutto, attorno vi era sangue e, sparso lì attorno, il carico. Questo significava che non erano stati attaccati da dei volgari banditi ma da qualcosa di ben diverso. Iniziammo a cercare e rovistare in cerca di indizi fino a che, sotto alcune tavole trovammo uno strano pozzo, proprio accanto al gretto del fiume. Alla sola vista le mie gambe si paralizzarono, non potevo pensare di calarmi là sotto, in quell'oscurità ma, per fortuna, Haidar si offrì di fare da apripista con una torcia.

Una volta sotto lo spettacolo fu a dir poco macabro. Cadaveri e pezzi di cadaveri ovunque, il tanfo era quasi insopportabile e, in ogni angolo, tra le parti dei corpi mutilati, quel liquido colorato si mischiava con l’acqua che filtrava dalle pareti della grotta e che gocciolava dal soffitto. Era palese che eravamo sulla pista giusta.
Nella mia testa rimbombava quella voce che continuava a ripetere le parole sconosciute che mi avevano privato del sonno. Più ci addentravamo nella grotta, più l’atmosfera si faceva pesante e cupa. Infine udimmo le urla di quella che sembrava una bambina: forse era la piccola Charlotte per cui non potevamo perdere nemmeno un istante.
I cunicoli si snodavano davanti a noi, una scia di sangue ci aiutò a seguire la giusta via fino a che non arrivammo in una stanza più ampia, completamente tappezzata di uova e liquido caleidoscopico al cui centro c’era una figura umanoide ma molto diversa da qualunque cosa abbia mai visto prima.
Un essere con la carnagione grigia, come quella delle grandi balene, e con dei tentacoli posizionati a incorniciare quella che doveva essere la bocca: in tutto e per tutto, se non fosse stato per il corpo umanoide attaccato sotto quella orrenda testa, sarebbe potuto essere scambiato per un polpo. La sua voce veniva direttamente dalla piccola Charlotte che, a capo chino e con aria assente, dava corpo ai pensieri di quell'alieno. Ripeteva con voce cantilenante le sue farneticazioni, dando forma umana a quelle parole che fino a quel momento avevano risuonato solo nella mia testa, nell'empia lingua che gli era propria.
Era come se ci fosse un legame tra loro due, qualcosa di ben più forte del semplice controllo mentale e che dovevamo spezzare a tutti i costi, ogni istante poteva essere l’ultimo. Non vi era tempo di ragionare e concordare un’azione combinata. Bisognava agire senza perdere un solo istante e la possibilità ce la diede l’elfo. Silenzioso e non visto si avvicinò alle uova con la torcia in mano, quanto bastò per distrarre il nostro obiettivo: come questi si girò verso di lui, in rapida successione venne raggiunto da un potentissimo incantesimo di Eitinel, dalle freccie mie e di Haidar e da una vigorosa spadata di Graster. Non ebbe nemmeno il tempo per reagire e Charlotte cadde a terra priva di sensi. Respirava, era viva, ma era in condizioni critiche. Quando stavamo decidendo chi dovesse trasportarla fino in superfice la ragazzina si rianimò. Aveva sempre quello sguardo spento e dalla sua bocca usciva solo una parola

"Padre"

Ma il padre di quella sventurata era morto, e non poteva riferirsi a lui dato che, sempre come se fosse in uno stato di incoscienza, si alzò e iniziò a camminare, diretta nei profondi cunicoli di quell'antro. La seguimmo fino a una grossa porta chiusa che, con la sua sola imposizione delle sue piccole mani si spalancò. Al suo interno non sembrava esserci nessuno, solo una grande sensazione di opprimente disagio che proveniva dall'oscurità. Passati alcuni istanti a osservare il buio, ci era chiaro che la si celava qualcosa di ben più pericoloso di quello strano polipo umanoide.
Una coppia di terribili occhi luminescenti fece capolino, gli stessi che avevano reso insonni tante mie notti fino a quel momento. Erano fissi su di noi, scrutandoci fin dentro il profondo dell’animo lasciandoci consapevoli di non poterlo affrontare ma anche che avremo dovuto fare tutto ciò che era in nostro potere per fermarlo.
Charlotte era attirata da quella creatura. Era chiaro che fosse in suo completo potere e che quell'essere alieno che avevamo affrontato facilmente pochi minuti prima, altro non era che il suo tirapiedi o, come si era definito, il suo araldo. Questo che stava prendendo corpo davanti ai nostri occhi era il grande male annunciato, colui il quale avrebbe dominato il nostro tempo.

In capo ad alcuni momenti la sua figura si rese completamente visibile. Un enorme essere dalla forma allungata, simile a un verme, un male antico quanto le fondamenta del mondo. Non so dire se parlasse o se la sua voce veniva proiettata nelle nostre teste; ricordo solo che, una volta che questi ci caricò, io e Graster provammo a rallentarlo. Eravamo l’avanguardia e dovevamo proteggere i nostri compagni, dando loro la possibilità di fuggire e avvisare la regione del pericolo imminente. In più c’era Charlotte, dovevamo occuparci di lei e doveva essere una nostra priorità. Nessuno dei nostri compagni però la pensava così e, una volta chiuse le pesanti porte in faccia a quella minaccia, si prepararono per affrontarla. Non appena la porta, che non consisteva in una vera e propria difesa, saltò via sotto un singolo colpo del nostro nemico, ci scagliammo su di lui. Graster guidava la carica affrontandolo a viso aperto, le mie frecce rimbalzavano sul suo carapace ma nonostante questo continuavo a tirare cercando di spedirne qualcuna in direzione degli occhi, unico punto definibile debole a me visibile. Lo scontro fu molto meno duro di quello che ci aspettavamo. Ci accorgemmo che i suoi attacchi perdevano via via di intensità e, quando pensavamo che la battaglia si sarebbe presto conclusa a nostro vantaggio questi, in un ultimo disperato attacco si getto contro di noi, mancandoci e sparendo nella parete alle nostre spalle. Lo avevamo momentaneamente sconfitto ma ora, forse a causa della battaglia, la grotta stava franando su di noi.
Eitinel afferrò la ragazzina e si teletrasportò all'esterno mentre noi cercavamo di guadagnarci l’uscita evitando i blocchi di pietra che ci cadevano sulla testa.

Una volta fuori in noi regnava solo il sollievo per averla scampata, ma la preoccupazione per le condizioni di Charlotte tornò presto a bussare ai nostri cuori. Il tempio di Sune fu l’unico posto che ci venne in mente, forse la sacerdotessa poteva fare qualcosa per lei. Eitinel percepiva che l’ombra di quella creatura era ancora densa sulla piccola e l’unica speranza che avevamo era il potere della Dama dalla Chioma di Fuoco.
Lasciammo la bambina alle cure dell’amorevole sacerdotessa, chiedendole di farci sapere se ci fossero state novità. Ora non mi restava che mettere assieme qualche moneta da far avere alla madre, per riparare i danni causati dal topo e per aiutarla ad andare avanti ora che il marito non c’era più.
 
*Non avendo il cuore di disegnare quel mostro, si limitò a uno schizzo del suo tirapiedi, in bianco e nero, senza troppi abbellimenti, mosso più da una sincera rabbia che da altro.*

[Immagine: Y1DQHzn.jpg]

- Dm Nyx -
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#24
Dopo l’ultima avventura ero più che intenzionato a prendermi qualche giorno di pausa dalle esplorazioni, avrei avuto il tempo di finire di studiare il mio libro sulla società elfica e sulla fondazione di Mith Drannor. Studiando quel libro avevo trovato molte informazioni interessanti sulla presunta “stranezza” degli elfi identificandola, in verità, come semplice diversità di punti di vista tra noi e loro. La maggior parte di queste diversità sono ascrivibili alla estrema differenza delle aspettative di vita tra le nostre razze.

Gli elfi infatti, avendo molto più tempo a disposizione per vivere in questo mondo, sono abituati a prendere tutto con una lentezza e una cura impensabili per un umano che, d’altro canto, mira a raggiungere più obiettivi nel minor tempo possibile non potendosi permettere “perdite di tempo”. D’altro canto il popolo ha sviluppato, nel corso della sua plurimillenaria storia, anche una saggezza che nemmeno il più venerabile sacerdote umano potrebbe mai nemmeno immaginare.
Questa consapevolezza ammanta gli elfi, agli occhi di noi umani, di un alone di boria e paternalismo che mal sopportiamo. Ma come dar torto a loro per un simile atteggiamento? La loro cultura è infinitamente più vasta della nostra, gli antenati degli elfi che oggi conosciamo camminavano su questa terra ben prima degli umani e hanno raggiunto, in tutti i campi dello scibile, vette impensabili per noi.
Anche la loro società rispecchia questa presunta superiorità. Una collettività vera, che condivide e si fa carico di tutti gli individui comprendendo che, la loro forza non è superiore a quella dell’individuo più debole.

Tutto questo, a mio avviso, ha portato la società elfica a una sorta di immobilismo, di apatia, come se tutto ciò che meritasse di essere fatto, fosse stato effettivamente già fatto e nulla di nuovo potesse venire aggiunto. Questo si rispecchia nei formalismi esasperati, nella codificazione di ogni aspetto della vita e del complicatissimo cerimoniale che li contraddistingue. Ma anche parlare di elfi è sbagliato. Tra quelli che conosciamo oggigiorno, solo gli elfi selvaggi facevano parte della prima colonizzazione del mondo. Gli elfi della luna (teu-tel quessir) e quelli del sole (ar-tel quessir) giunsero nel nostro continente solo in un secondo momento, accompagnati da quelli che noi oggi conosciamo come drow, prima che si macchiassero dei crimini durante la guerra e venissero banditi nel sottosuolo. Già solo questi ultimi tre gruppi sociali, nonostante facciano parte della "razza elfica", annoverano un numero sconfinato di differenze sia nel modo di porsi con le altre razze, sia nel loro ordinamento interno.

Perché sto scrivendo questo nel mio diario? A causa di quello che è successo mentre mi trovavo in locanda, al Cervo. Ero seduto a leggere ad un tavolo nel cortile, godendo delle prime vere giornate di sole dopo il gelo invernale quando arrivò Graster. Iniziammo a parlare di quello che stavo facendo dopo la nostra avventura e, notando il libro, mi ha spiegato che aveva un progetto, portare la sua compagine militare a stanziarsi ad Alberi Intrecciati. Aveva ottenuto il terreno dove costruire la sua caserma dalla Coronal ma era preoccupato dai recenti fastidi creati dagli elfi più oltranzisti, gli isolazionisti, che erano una vera e propria spina nel fianco per il regno del Cormanthor. Temeva che la sua presenza potesse in qualche modo nuocere alla Coronal, indebolendola nel fronte interno e mi confidò che avrebbe avuto bisogno di qualcuno che parlasse la loro lingua e che conoscesse la loro storia e cultura. A quel punto mi propose di dargli una mano e io non mi tirai indietro, in fin dei conti, chi viene dal Gate si deve aiutare no? Per questa ragione presi molto sul serio lo studio, per poter onorare al meglio questo mio “incarico”.

*Uno schizzo distratto e non finito, ritrae Sinaht Irithyl, terzo Coronal del Cormanthor*

[Immagine: Oc8k9Ay.jpg]
Una vita da mezzadro, anni di fatica e zappa per poi prendere una spada.

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#25
Non credo che sia sbagliato impegnarsi per sbarcare il lunario, soprattutto quando non si fa male a nessuno.
Cosa dire a riguardo? In molti mi additano come “il ritrattista” pure se non è esattamente quella la mia principale occupazione e, battutine su ritratti di nudo a parte, la cosa inizia a non dispiacermi più.

Questa mia occupazione collaterale mi ha portato a un nuovo ingaggio. Si tratta di fare dei quadri di paesaggi per Darsa che vuole riarredare la sua bottega di Essembra, recentemente restaurata e riaperta al pubblico. Le richieste sono abbastanza particolari, desidera paesaggi di zone remote, luoghi che lei chiama romantici ma che per chiunque altro sarebbero definibili macabri e mortiferi. Come esempi ha citato i tumuli, le zone inondate dalla lava nei pressi della “colonia” degli elementali del fuoco.
Si è raccomandata, poi, di non ritrarre luoghi freddi: niente ghiaccio, vette innevate e paesaggi lacustri e soprattutto di evitare eventuali ostili troppo al di fuori delle mie possibilità che, per questo, non devono venire necessariamente inseriti negli scorci stessi. Per questo ha stanziato una parte del compenso per pagare una scorta per accompagnarmi in queste escursioni.
Ho subito pensato ad Haidar, Edie e possibilmente un arcanista e magari un altro sacerdote per supportare la sacerdotessa di Chauntea.

Non ho un limite di tempo per questa consegna ma sono decisamente spinto a portare a termine la consegna visto che la paga è decisamente ottima. Manca solo di sistemare gli ultimi particolari e fare acquisti di provviste.



*A seguito il disegno realistico di una cornice vuota*

[Immagine: mKZCreJ.jpg]
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#26
Ma quindi è vero che fai ritratti?

Nasce così, da una semplice domanda posta distrattamente da chi davvero non ti aspetti. È stata Ariah a farmi questa domanda. Dapprima non capivo dove volesse andare a parare, pensavo volesse aggiungersi alla schiera di coloro che trovano divertenti le facezie sulle donne nude ma così non era (anche se mezza battuta l’ha piazzata comunque).
In realtà era interessata ad un ritratto, nulla di sconveniente, ma qualcosa di… bello. Aveva già in mente un luogo da usare come teatro della pittura.
Mancava solo da definire il compenso. Denaro? Neanche per sogno, non è il tipo di cose che si fanno per denaro, soprattutto quando vengono richieste a quel modo, e poi avevo la possibilità di “approfittare” della migliore nel suo campo. Mi sarei accontentato anche di accompagnarla in qualche esplorazione per scoprirne i segreti del mestiere ma, visto il mio rifiuto ad accettare del denaro, fu lei stessa ad offrirmi la sua guida. Il pretesto era semplice, arrivare alla zona che aveva scelto come teatro del ritratto stesso.

Come prima cosa mise alla prova le mie doti da guida e apripista. Mi diede un luogo di arrivo e alcune zone che avrei dovuto toccare nel viaggio. Per mia fortuna mi erano note praticamente tutte, tranne forse una o due dove però ho sopperito alla mancanza con il senso dell’orientamento. Nulla di troppo difficile: scovare le tracce di creature ostili, guidare un gruppo tutt'altro che silenzioso tra sentieri non tracciati… ordinaria amministrazione! Certo, per lei forse, ma per me era una vera e propria novità. Sono abituato a viaggiare da solo, in modo da potermi concentrare solo sugli eventuali pericoli attorno a me, senza preoccuparmi ed occuparmi di incauti accompagnatori. In ogni caso credo di essermela cavata discretamente, almeno in questa parte.
Ben più difficile invece fu tentare di calmare degli animali selvatici che ci attaccarono. Solo allungando una mano verso queste bestie lei riusciva nell'impresa di calmarle, facendole sembrare quasi creature addomesticate. In alcune occasioni questi combatterono addirittura al nostro fianco contro alcuni banditi comuni convinti di far bottino con le nostre scorte. Inutile dire che non ho la minima idea di come abbia fatto. Provò a spiegarmelo ma il massimo che ottenni fu far scappare uno scoiattolo che si era avvicinato a noi durante un passaggio in una foresta: pare proprio ci debba lavorare parecchio.

Dopo un intero giorno di cammino, poco prima dell’imbrunire, giungemmo a destinazione. Una radura con tanto di specchio d’acqua montano alle pendici della breccia di Tilvert. Come ho detto prima conoscevo quella zona, mi ero intrattenuto con i ranger di confine durante le mie esplorazioni ma mi mancava del tutto quell'anfratto riparato.
Iniziai subito a darmi da fare, approfittando della distrazione dei nostri compagni di viaggio che per l’occasione erano Haidar, il fido compagno di vita della ranger, l’elfa Althimara e Realgar, un genasi della terra che pare sia stato lontano dalle valli per tanto tempo e che infatti non conoscevo.
La scelta del luogo era stata perfetta e la nostra ora di arrivo amplificò questa perfezione regalandoci una luce del tutto particolare e, credo irripetibile.

Finito il ritratto montammo un campo per la notte: il giorno dopo avremo tentato la scalata al passo fino all'accampamento dei cavalieri del Cormyr. Devo ammettere che la cosa mi disturbò non poco il sonno, non ero mai stato in cima al passo e provavo una certa eccitazione per visitare un luogo così pericoloso e pieno di mistero. Forse consapevole del mio stato d'animo, prima di ritirarci per la notte, Ariah stessa si raccomandò più volte di evitare le rovine della città; ero conscio del fatto che si trattava di uno dei luoghi più mortali delle valli, ma è anche vero che la mia anima da esploratore fremeva alla sola idea di avvicinarsi a quel luogo maledetto dalla piaga della non morte.

Al mattino seguente, assieme ad Haidar ed Ariah, ci dirigemmo in cima al passo. Gli altri due nostri compagni preferirono tornare indietro a causa di certi affari urgenti che li impegnavano ma, nonostante questo. proseguimmo come da programma.

L’ascesa fu davvero impegnativa. Venimmo attaccati da delle bestie di dimensioni più che ragguardevoli: cinghiali talmente grossi che non ne avevo mai visto prima di uguali. Provai ad ammansirli seguendo le indicazioni di quella che, in quel momento, potevo considerare la mia maestra ma ogni mio tentativo sembrava quasi sortire l’effetto opposto. Più tentavo, più questi si infuriavano, più questi si infuriavano, più la loro aggressività nel cercare di respingerci aumentava. Come dicevo, l’ascesa fu davvero impegnativa ma infine riuscimmo. Era passata un’altra giornata e ormai al tramonto bussammo all'accampamento in cima al piano. Soprattutto Ariah aveva riportato diverse ferite e il cerusico dell’accampamento si prese cura di lei con impacchi di arnica e altre erbe officinali. “Nulla che un buon sonno non possa guarire” disse, e ci offrì l’ospitalità del campo. Come molti cavalieri ripetevano, non era sicuro piantare una tenda fuori dalla protezione delle palizzate e al campo vi erano diverse tende vuote proprio per questo.

Non chiusi occhio per buona parte della notte tanto che, poco prima dell’alba, decisi di uscire dal campo nella maniera più silenziosa possibile. Ero conscio del fatto che probabilmente stavo facendo una cosa molto stupida ma non potevo davvero farne a meno. Puntai dritto nella direzione indicata dalle vecchie insegne consunte dal tempo: un “Tilvert” appena leggibile mi guidò attraverso la boscaglia che si era quasi ripresa il sentiero fino a che, davanti ai miei occhi, non apparvero i resti di imponenti mura di cinta.
L’aria tutta attorno era immobile, sembrava quasi opporre resistenza al mio passaggio. Il sole iniziava a sorgere da dietro gli alberi ma sapevo perfettamente che, all'interno della voragine, i primi raggi si sarebbero visti non prima del mattino ben inoltrato.

La morte in persona era l’unica che potesse definire casa quel cumulo di macerie. Mi avvicinai alle mura in un silenzio quasi irreale, non un uccello né un qualunque animale selvatico pareva intenzionato ad avvicinarsi. Una zona crollata offriva un buon appiglio per passare oltre le rovine, lo utilizzai e lo spettacolo che mi si parò davanti fu… desolante. Non ho altri aggettivi per descrivere ciò che i miei occhi videro, ma ne ho per il vento freddo che mi investì una volta arrivato in cima. Era come se il gelo più totale risiedesse nella fossa. Ero a disagio nello stare lì, non riuscivo a pensare ad altro che non fosse un “vattene immediatamente” mentre i miei occhi passavano in rassegna il macabro spettacolo delle rovine. Erano pochi gli edifici ancora parzialmente in piedi ma era chiaro che, tra quelle vestigia di una città che non vi è più, si aggirassero ancora gli spiriti dei suoi vecchi abitanti, strappati alla vita in un solo unico e tremendo istante.
Dovevo andarmene al più presto, scesi giù dai bastioni quasi rotolando per la foga e, senza voltarmi una singola volta, mi diressi verso la carovana dell’accampamento.

*A completare la pagina lo schizzo preparatore del ritratto di Ariah. La tela definitiva sarebbe stata consegnata alla donna il mattino seguente*


[Immagine: Q6D3g8O.jpg]
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PG: Maragorn Fennec  Diario / Portrait
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#27
Ero appena arrivato in piazza ad Ashabenford ed ero assolutamente intenzionato a passare una giornata tranquilla. Avevo infatti passato tutta la settimana accampato nel Cormanthor e, per il mio ritorno alla civiltà, volevo solo rilassarmi. In piazza c’erano Wren, Realgar e Haidar e ne approfittai per informarmi sugli ultimi avvenimenti.

“Nulla di nuovo”

In genere i discorsi che iniziano così preannunciano sventure e apparizioni per lo meno di demoni abissali. Questa volta era un drago! Pare infatti che non mi sia accorto di un’invasione di lucertoloidi e di un drago nero nella foresta dove mi ero rintanato. Ascoltavo attentamente quando sentì un colpo alla gamba. Riversa ai miei piedi vi era una ragazzina, con i capelli biondi, eccezionalmente pallida e denutrita e con i vestiti lisi. Haidar provò a darle una mela ma, non appena questa la prese una voce ci apostrofò intimandoci di lasciare la ragazzina e che era pericolosa.
Conosco fin troppo bene gli sfruttatori di bambini e conosco ancora meglio gli effetti della denutrizione sui piccoli. Non potevo lasciar correre così, volevo vederci chiaro e, dal tono dell’uomo, mi sembrava tutto tranne che un suo vero parente. Come se non bastassero questi sospetti, al solo suono della sua voce quella piccola sventurata sbiancò ulteriormente, era chiaro che era terrorizzata da quell'uomo, afferrò la mela e fuggì tra i vicoli dietro la banca.
Mi avvicinai a lui e alla donna che era con lui, quanto bastava per sentirgli dire: 

“Inseguila, io mi occupo di questi tre”

Qualunque cosa potesse dire era chiaro anche a un idiota che non vi era alcun grado di parentela tra i tre. I due adulti sembravano provenire dall’Anauroch: carnagione scura, capelli scuri e un forte accento di quelle zone mentre la bambina… bhé, l’ho già descritta, sembrava quasi Michaela!
Gli chiesi delucidazioni, devo dire decisamente a muso duro. Non avevo nessuna autorità per farlo ma non sopporto nemmeno l’idea che qualcun altro possa sopportare ciò che ho vissuto io. Il tizio era piccolo di statura, almeno in confronto a me, e nonostante questo mostrò tanto coraggio quanta stupidità. In pochi istanti era circondato: volevo una risposta da lui, la più convincente possibile, anche se in cuor mio speravo mi desse anche solo un pretesto per fargli saltare tutti i denti dalla bocca.
La faccenda tutta puzzava di marcio. Vistosi alle strette iniziò ad urlare come un ossesso, chiamava le guardie, stavo per rifilargli una testata per fargli perdere i sensi ma in quel momento arrivò la paladina Annette. Troppi spettatori autorevoli e mi sarei messo senza dubbio nei guai. Di lì a poco arrivarono anche dei gendarmi che, giustamente, ci ammanettarono e ci portarono in caserma al cospetto del capitano Mikhail Walerts.

La storia dell’uomo, che scoprimmo chiamarsi Levi, faceva acqua da tutte le parti e confidavo che nessuno con un minimo di cervello abboccasse a quella strampalata storia. In risposta alle sue accuse non negai di averlo minacciato, né di averlo afferrato saldamente né, tanto meno di aver avuto l’impulso di spaccargli la faccia: era la verità e contavo che mostrarmi più sincero possibile bastasse per convincere le guardie ad indagare. Fortuna volle che avessi ragione. Le sorti di una piccola innocente fanno ancora breccia nei cuori non induriti dalla vita della metropoli e per tanto, il capitano, rinchiuse in gattabuia lo straniero per accertamenti. Ciò che accadde poi invece non potevo minimamente prevederlo. Dopo avermi levato le manette, mi consegnò una pergamena nella quale vi era segnato il mio nome e quello dei miei compagni: era un'autorizzazione ad indagare per conto della milizia. Questo permesso speciale sarebbe durato due giorni, al termine dei quali avrebbe dovuto liberare il prigioniero. Lo ringraziammo per questo attestato di fiducia e ci dirigemmo immediatamente all'esterno per indagare.

Non avevamo molti indizi dai quali iniziare ma quello più significativo riguardava il carro con il quale Levi, la donna che lo accompagnava e la bambina erano giunti in città. La rimessa dei carri era quindi la prima tappa del nostro viaggio. Li, i miliziani a guardia della banca, ci diedero le informazioni che cercavamo, ci indicarono quello che doveva essere il carro della coppia e a quello ci avvicinammo.
Era un carro completamente chiuso, tutte le finestre erano sbarrate e a prima vista non pareva ci fosse la possibilità di penetrare al suo interno. Nel retro però, chiusa da pesanti catene e da un grosso lucchetto, vi era la porticina che permetteva di accedervi. Grosso lucchetto, piccolo ostacolo. Mi aspettavo che non sarebbe stato complicato aprirlo e infatti non dovetti usare nemmeno degli arnesi adatti, bastò la punta del mio fido pugnale a far scattare quel mastodonte metallico. Ciò a cui non ero preparato però era l’interno. Dalla completa oscurità del carro si propagò un olezzo nauseante: deiezioni, odore di putrefazione e gli dei solo sanno cos'altro. In mezzo a quel putridume, all'interno del carro, vi era imprigionata una bambina. Piccola, spaventata, denutrita e completamente sporca. Con due cornini sulla sommità del capo e il moncherino di quella che doveva essere una lunga coda mozzata: era una piccola tiefling. Raelgar aiutò la bambina a scendere dal carro degli orrori. Aveva sopportato la prigionia ad opera dei drow e credo che lui, meglio di noi altri, potesse capire come poteva sentirsi quello scricciolo impaurito. Diceva di chiamarsi Pal ed era palesemente scioccata. Continuava a ripetere di essere buona, di non aver fatto nulla di male: era chiaramente terrorizzata, presumibilmente si sarebbe portata dietro le sevizie fisiche e psicologiche per il resto della sua vita. Ora aveva solo bisogno delle cure e dell’affetto che dovrebbero comporre il mondo di chiunque, a quell'età. Ma non era la bambina che avevamo incontrato la mattina: carnagione, capelli, corna e coda non combaciavano per niente!

Avvisammo le guardie del ritrovamento e ne inviammo una dal comandante. Bisognava decidere come procedere ma prima di ogni cosa era necessario portare al sicuro la bambina al tempio di Ilmater.
Avrebbero pagato il prezzo della loro malvagità, chiunque essi fossero. Avevamo ancora un giorno e ci sarebbe bastato.

*Il volto spaventato della piccola Pal*

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#28
Una probabile soluzione al problema venne da Realgar. Di sua spontanea volontà si offrì come esca; propose di farsi rinchiudere dentro al carro per tendere un’imboscata alla compagna di misfatti di Levi. Bisognava avvisare il capitano del piano e poi organizzare gli appostamenti. Chiudemmo così dentro il carro il nostro compagno e ci dividemmo attorno alla piazza in modo da osservare senza essere notati ma purtroppo il nostro piano non funzionò. Qualcuno diede fuoco al carro tramite una bottiglia incendiaria e, a malapena, riuscimmo a salvare Realgar da morte certa.
Dopo alcune rilevazioni nella zona, trovammo una pista utile per arrivare a quei torturatori. Era infatti assai probabile che l’attentatore aveva acquistato il liquido incendiario presso l’erborista che si trovava a pochi passi dal rogo. Fummo fortunati, era così. Lo speziale ci diede una serie di preziosissime informazioni, soprattutto una descrizione dettagliata del suo aspetto fisico che mi permise di scarabocchiare un ritratto. Quindi, con questo ritratto tra le mani, iniziammo a cercare tracce in città di questo uomo: i luoghi principali erano le due locande. Chiaramente al cervo bianco non trovammo nulla mentre, ai sei scudi, ritrovammo le tracce di questo sfuggente gruppo. Le notizie che riuscimmo ad apprendere “interrogando” il locandiere non furono per nulla positive. Sfortunatamente il gruppo era ben più numeroso di quello che pensavamo, oltre a Levi chiuso in galera, la sua compagna e il tizio con il turbante di nome Abdul vi erano almeno altre 9 persone che dovevano gestire altri 8 carri oltre quello che avevamo visto incenerirsi qualche ora prima. Sapevamo quindi che erano tanti, che gli altri carri erano stati fermati fuori città, che erano ormai tutti partiti in direzione Sembia e che, il loro capo spedizione Abdul, si sarebbe fermato per porre rimedio ai problemi creati dal prigioniero.

Avevamo saputo abbastanza, ora dovevamo interrogare Levi e, a qualunque costo avremmo dovuto strappargli più informazioni possibili.
Una volta al comando, chiedemmo alla sostituta del capitano di interrogare il prigioniero e, in maniera del tutto fortuita (è mia convinzione che questa casualità fu un tantino pilotata) questa ci lasciò campo libero dandoci trenta minuti di tempo. Inutile dire che l’interrogatorio non fu esattamente ortodosso ma è anche vero che non avevamo tempo da perdere. Saggiamente Realgar entrò nella cella del prigioniero per ammorbidirlo un po’in modo da renderlo più ben disposto a rispondere alle nostre domande. Da lui avemmo il nome della sua compagna di viaggio (Amigdala) e la conferma del numero di carri diretti verso la Sembia. Fu terribile scoprire che avevano predisposto tutto, anche una via di fuga, in caso di problemi. Strade separate per raggiungere l’obiettivo comune, modi per depistare eventuali inseguitori e completo riserbo, anche con i membri della spedizione, su percorsi alternativi e identità degli altri membri del gruppo. Era inoltre chiaro che Levi non conoscesse esattamente il destinatario di quello che lui chiamava “merce” e che non era altro che un trasportatore. Il vero fulcro di tutto era quell'Abdul ma, anche solo a sentirlo nominare, questi si irrigidiva, palesemente impaurito. Come ultima cosa, prima che scadesse il tempo a nostra disposizione, più mosso da un desiderio irrefrenabile di togliersi di dosso la possente mole di Raelgar che da rimorso, ci fece un’ultima confessione. La bambina che stavamo cercando era fuggita verso sud e, molto probabilmente, avremo dovuto cercare in luoghi umidi, magari sotterranei e vicino a corsi d’acqua dato che più volte aveva dato prova di apprezzare quel genere di posti, magari in fughe precedenti e, visto che non avevamo altre piste da seguire, decidemmo di seguire quest’ultimo consiglio.

A sud di Ashabenford vi sono diversi luoghi che rispondono a queste caratteristiche, avevamo solo l’imbarazzo della scelta. In pochi istanti fummo fuori città e, una volta in aperta campagna fu molto semplice per me trovare le tracce di un folto gruppo di persone (presumibilmente i mercenari che erano stati assoldati per fare da scorta alla carovana) che si dirigeva verso uno dei posti che avevo in mente. Dopo un paio di miglia a seguire le tracce arrivammo all'imboccatura della grotta, nel piazzale antistante vi erano una serie di cadaveri riversi nel proprio sangue che proseguivamo anche dentro l’antro che ci fornivano una specie di pista fino a che, in una sala della grotta, ci trovammo di fronte ad Amigdala che fronteggiava, armata di tutto punto, la piccola fuggitiva. Non pareva avere intenzione di discutere con noi e quindi ingaggiammo con lei una lotta prima che potesse attaccare la bambina. Questa non era una persona come le altre, era dotata di poteri sacerdotali e affrontarla fu davvero impegnativo. Per fortuna, anche grazie alla nostra superiorità numerica, avemmo la meglio su di lei, recuperammo la piccola e ce ne andammo immediatamente da li. Prima di andare, Edie studiò il cadavere e scoprì che questa era una seguace della divinità della sofferenza, Loviatar, informazione che comunicammo subito al sacerdote di Ilmater assieme a ciò che ci disse Levi sugli esperimenti che venivano fatti sui bambini.
Tra i cadaveri fuori e dentro la grotta, nessuno sembrava simile ad Abdul, il che significa che è ancora a piede libero e che, con un po’ di fortuna, ho ancora una piccola possibilità di trovarlo per fargliela pagare, Sembia o meno.


*Il ritratto di Abdul, disegnato al negozio dello speziale e consegnato alle guardie*

[Immagine: wKYo47L.jpg]

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#29
Era necessario riprendermi in fretta dalla brutta avventura precedente. Per ragionare sul mio futuro c’era tempo, ora dovevo concentrarmi sugli altri impegni presi nei giorni precedenti. Toccava all’ingaggio di Darsa e quindi era necessario riunire il gruppo: sarebbe stato un tranquillo passatempo prima di partire per l’accampamento di Valinor. Sarei sparito per almeno una decade e dovevo mettermi in pari!

Le note erano state inviate a tutti gli ingaggiati: Edie, Haidar, Realgar e il mago di nome Garon e la destinazione era decisa, ovvero i tumuli. Si, non è esattamente un “bel” posto, ma le richieste della genasi erano assolutamente precise (oltre che fuori dal comune).

In nemmeno un’ora di viaggio, e quindi ormai al tramonto, arrivammo presso i tumuli e lo spettacolo era esattamente come me lo aspettavo. Certo, non era un posto rassicurante ma per i miei compagni significava più di un semplice cimitero, soprattutto per l’atteggiamento di Edie ed Haidar che, avendo avuto dei precedenti con il luogo e con le forze oscure che li vi dimorano, contribuivano a rendere l’aria più carica di tensione di quanto naturalmente non fosse. Tra le tombe venimmo attaccati da alcuni spettri disturbati dalla nostra presenza, ma nulla che i miei compagni non potevano affrontare e sconfiggere senza problemi.
Una volta avuta la meglio iniziai a cercare una buona angolazione per fare qualche schizzo ma, mentre cercavo la migliore posizione possibile, mi accorsi di una vecchia tomba con attorno la terra dissodata e la lastra poggiata in maniera grossolana. La indicai ai miei compagni che riuscirono a spostare la pesante pietra rivelando il suo contenuto. Una donna vestita con un’armatura completa e che indossava una tiara finemente lavorata, dalla carnagione e dai lineamenti che tradivano la sua ascendenza celestiale e, chiaramente, il suo decesso non doveva essere antecedente a un paio di giorni al massimo. Mentre ci sprecavamo in congetture per capire chi potesse essere e come fosse finita là dentro, notai qualcosa avvicinarsi a noi. Dico qualcosa perché restai assolutamente sconcertato dalla visione che mi si parò innanzi. Una figura enorme, alta almeno 5 metri e con due grandi ali bianche, la metà superiore del corpo femminile mentre, quella inferiore, spire di serpente. Non avevo mai visto niente di simile e per più di un istante, influenzato dagli avvertimenti dei miei compagni, ho temuto fosse un qualche nemico impossibile da affrontare. Fortunatamente si rivelò un essere celeste, assai irato per la morte della donna nella tomba. Effettivamente non fu subito molto amichevole nei nostri confronti, era convinta che fossimo stati noi ad ucciderla e aveva tutta l’intenzione di farcela pagare. Riuscimmo però a convincerla della nostra innocenza e, a quel punto ci raccontò cosa era accaduto (o almeno cosa sapeva).

La donna nella tomba si chiamava Freyja, era una sacerdotessa di Selune proveniente da Waterdeep che negli ultimi giorni si era fermata a Peldan’s Helm, in attesa di ripartire per Tantras, città del Vast, oltre la Costa del Drago. Probabilmente si sarebbe imbarcata ad Harrowdale per superare il mare, ma quello non potevamo saperlo. Portava con sé un quadro molto particolare, un’opera d’arte entrata nella leggenda che raffigurava la scintillante sala d’argento della dea, Argentil, ai Cancelli della Luna.
Ora avevamo un compito, affidatoci dal celestiale stesso, trovare chi aveva preso la vita della sacerdotessa e, possibilmente, recuperare il quadro trafugato. Il viaggio che ci separava da Peldan’s Helm fu un susseguirsi di ipotesi ed elucubrazioni su chi potesse essersi macchiato di un simile crimine ma su una cosa concordavamo tutti: dovevamo iniziare le nostre ricerche dal tempio di Selune, forse la sacerdotessa avrebbe potuto darci le informazioni adeguate, forse avremo avuto una pista da seguire e così fu. Scoprimmo che la donna di nome Freyja si era fermata nel borgo per un paio di giorni e che stava dando una mano a Nanth che ultimamente si trovava oberata dal lavoro. Poi, scaduto il tempo a sua disposizione, partì come concordato sparendo poco dopo.
Era giunto il tempo delle domande, avremmo rivoltato il borgo da cima a fondo, bisognava solo passare la nottata.

*Un rapido schizzo del celestiale apparso tra i tumuli*

[Immagine: El7svbp.jpg]

- Dm Artemis -
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