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[Ronda Jackson] La Grande Bardot
#11
ANGIE
(3 di 3)


Una giovane avvolta da un abito pesante e coprente rincasa al tramonto in una squallida camera di locanda. Le pareti sono sottili e si sente distintamente il tipico frastuono di osteria provenire dal piano di sotto. Stanca e infreddolita sbuffa mentre, dopo aver liberato la chioma castana dal cappuccio, comincia a togliersi di dosso la mantella ancora umida di pioggia. Butta sul letto la borsa tintinnante, dando un colpo alla porta con il piede, ma si stranisce non sentendola chiudersi. Appena si gira, un'espressione sorpresa e atterrita le attraversa il volto: uno sconosciuto alto e corazzato ha intercettato la porta con una mano.

"Quindi è qui che vive adesso l'erede dei Mitchell" annuncia con tono tranquillo nonostante l'intromissione. Senza aspettare invito, si chiude con calma l'uscio alle spalle e comincia a guardarsi in giro. "Mi ci è voluto un po' per trovarti... Angie Bextor, come ti fai chiamare da queste parti" recupera un consunto portacandele dalla mensola sopra il camino e lo rigira tra le mani. "Immagino che non ti saresti mai aspettata di finire così in basso. Ma è la regola che chi frequenta i vicoli dovrebbe conoscere: non può andare sempre tutto bene."

La ragazza occhia l'attizzatoio poggiato alla parete e, mentre lui parla di schiena, lentamente se ne avvicina per prenderlo senza far rumore. In un attimo però l'uomo le si volge contro e afferra la presa sull'arma improvvisata: "No" sorride "se io avessi voluto combattere, saresti già morta" e con un cenno cordiale ma risoluto le sfila di mano la sbarra di ferro per rimetterla a posto.

"Cosa vuoi" chiede lei senza enfasi stringendosi nelle braccia conserte, arresa al dovergli sottostare.

"Sai chi mi manda?" fa dondolare una catenina che sfila dalla manica.

Lei ne guarda il simbolo, e un breve istante è sufficiente: "Sì."

"Bene, immaginavo che fossi una ragazza sveglia. Ora" recupera una sedia e ci si siede a cavalcioni in senso opposto, poggiando i gomiti sullo schienale per guardarla meglio annuendo con fare critico "mi hanno mandato qui a dirti che è un vero peccato che un talento come il tuo vada sprecato per compiere borseggi da due soldi."  

Lei lo guarda con disprezzo senza dire nulla.

"Giusto, hai ragione, mi merito l'occhiataccia" guarda per un attimo altrove allargando le braccia. "Tu pensi che sia colpa nostra se le cose sono andate così, ma non siamo noi i cattivi della situazione: sono stati i tuoi compagni a voltarti le spalle nel momento del bisogno."

Al lieve sollevamento di sopracciglia di lei, lui si dimostra consapevole: "Sappiamo anche che hanno fatto un errore a mandarti via. Vedi, noi abbiamo solo approfittato di un'occasione, ed è questo che ci rende i più influenti della città: sappiamo riconoscere le opportunità quando ne vediamo una. E crediamo che anche tu possa essere dello stesso avviso."

"Di che stai parlando?" chiede lei, irrigidita e a disagio.

"Sto parlando di lavorare per noi. Avresti nuovamente uno scopo e una protezione. Te ne serve una per andare in giro a derubare i passanti" fa un cenno indicando la borsa di lei sul letto "o prima o poi attirerai attenzioni non gradite."

"Grazie di essere passato" risponde con distacco, "me la caverò."

"Vuoi davvero che i tuoi cari continuino a vivere degli spicci che la figlia riesce a racimolare?"

Lei rimane in piedi a fissarlo.

"Come preferisci" dice lui alzandosi e rimettendo a posto la sedia "vorrà dire che dovremo far visita anche a loro."

Viene attraversata da un lampo di severa preoccupazione e lui, accorgendosi che ha compreso, le dà un buffetto sulla guancia. Immobilizzata dalla stizza, il disdegno e la frustrazione, lo lascia fare non riuscendo a opporsi.

"Se accetti continueremo a ignorarli" le riavvia con calma i capelli dietro l'orecchio. "Se non accetti, ti libereremo del fastidio di doverli mantenere" il tono si fa improvvisamente freddo, fissandola. "Tu sarai presente quando accadrà, e non potrai fermarmi."

Si avvia verso la porta e lei lo segue con lo sguardo rimanendo immobile quasi trattenendo il fiato. Le lancia un'ultima occhiata consapevole prima di sparire dietro la porta, contro cui dopo qualche secondo si infrange un bicchiere scagliato per frustrazione dalla giovane. Una voce assonnata dall'altra stanza intima di fare silenzio, è questo fu tutto il sostegno che lei ricevette quella notte.
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#12
ILENIA
(3 di 3)


La musica festosa risuona nella locanda portuale, coprendo a malapena gli schiamazzi dei molti uomini presenti che incitano le tre giovani donne mentre ballano sul palco vestite di abiti appariscenti. Un vecchio seduto in prima fila fa un cenno discreto a una di loro, che subito trova il modo di piroettare e poi cadere in ginocchio a tempo di musica, rovesciandosi all'indietro in modo da portare la testa oltre il bordo del palco.

"Ci sarà un po' di confusione" annuncia lui facendo finta di pulirsi gli occhiali. "Assicurati che tutti continuino a guardare voi."

Lei annuisce senza nemmeno guardarlo, e alzandosi con movenze aggraziate sembra fare un gesto particolare verso le sue colleghe, che evidentemente complici ritirano dalle quinte due grossi ventagli e un lungo telo colorato. Le donne proseguono così nella loro danza, ognuna armeggiando gli oggetti in modo vistoso mentre all'altro capo della stanza la porta che conduce al solito ufficio viene spalancata e un uomo di mezz'età ne viene tirato fuori a forza, livido e sanguinolento, da tre buttafuori che puntano a trascinarlo all'esterno nel disinteresse generale del pubblico, troppo occupato a guardare altro. Riconoscendo colui che l'ha assunta svariato tempo prima e ghiacciata da quello che sta per accadere, la giovane dai capelli rossi incespica uno dei ventagli facendolo cadere a terra. Una delle sue colleghe, sventolando il grosso telo, rapidamente distrae l'attenzione coprendo la visuale parandosi davanti, mentre l'altra raccoglie il ventaglio.

"Ilenia che combini?" le chiede porgendoglielo.

"Se la stanno prendendo con..." riesce solo a balbettare.

"Lo so" lancia anche lei un'occhiata al fondo della sala. "Ho sentito che l'hanno sorpreso a essere troppo generoso. Falsificava i libri contabili per cancellare i debiti."

Lei rimane qualche istante immobile mentre tutt'attorno il mondo sembra fatto solo di fischi ed esclamazioni maschili. "Che facciamo?" chiede poi con un filo di voce mentre la collega di fronte, che sta oscurando la scena con il grosso telo, fa cenno a entrambe di affrettarsi.

"Quello che facciamo sempre" annuisce l'altra sistemandole il ventaglio tra le dita mentre la guarda, "ci giriamo dall'altra parte" conclude eloquente facendo cenno di togliere il velo, riprendendo la danza e costringendo tutte a fare altrettanto.

Più tardi, a fine spettacolo, le tre sono nel camerino a rivestirsi. Lei si cura con calma le unghie, la testa ancora fasciata in un turbante, mentre le altre due raccolgono i propri averi, indossano la borsa e si avviano all'uscita: "Noi andiamo, tu non vieni?"

"Ho quasi finito. Non vi preoccupate, chiudo io. A domani."

Loro annuiscono e lei fa finta di niente, ma appena si chiudono la porta alle spalle butta via la limetta e si toglie il turbante, rivelando di aver applicato non vista una tintuta scura che ha trasformato la lunga chioma rossa in una cascata corvina. Recupera un paio di forbici dal ripiano e si piazza di fronte il grosso specchio della postazione da trucco, dove stende una ciocca tra le dita cercando una lunghezza ideale. Quasi le trema la mano quando recide i primi capelli subito sopra le spalle, e si ferma immediatamente sull'orlo del ripensamento. Poi rivive la scena del suo unico confidente venir trascinato via dai buttafuori, e allora accorcia lentamente un'altra ciocca, poi un'altra e un'altra ancora, e infine senza più esitazione continua a tagliare con foga sino a che quasi le manca il respiro che riprende affannata scoprendosi gli occhi lucidi mentre contempla il risultato finale, una sé stessa dai capelli corti e sbarazzini.

Si scuote dal torpore ricordandosi una cosa importante, e allora recupera da un cassetto della carta da lettere e rapidamente scrive qualcosa, accertandosi di lasciare il messaggio in bella vista sul ripiano così che l'indomani non possa non essere notato. Indossa il soprabito facendo bene attenzione a nascondere la chioma sotto il cappuccio, spazza via i capelli tagliati in terra, spegne tutte le lanterne, lancia un ultimo sguardo alla stanza e si chiude la porta alle spalle uscendo nel corridoio. Rimane qualche istante con le mani ancora sul pomello mentre lancia un'occhiata all'altra porta in fondo, quella dell'ufficio in cui si è presentata tante volte. C'è ancora l'impronta di una mano sanguinolenta sullo stipite, evidentemente causata mentre i tre buttafuori tiravano via l'uomo di mezz'età. Sospira lungamente nel vederla, poi è percorsa tutt'insieme da una consapevolezza che le cala dall'alto come una verità rivelata e imbocca la direzione opposta verso l'uscita. I suoi passi rimbombano nel corridoio deserto, poi si affievoliscono fino a sparire.
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#13
RONDA
(3 di 3)


"E sappi Ronda" dice un giovane cantore ben vestito durante l'abbraccio "che facciamo tutti il tifo per te."

"Grazie" sorride la ragazza dai corti capelli neri ricambiando l'abbraccio, e da oltre le spalle di lui nota la donna sovrappeso e di mezz'età a guida della carovana che si avvicina. "Uh, meglio che torni a caricare i bagagli prima che qualcuno ti sgridi."

"Corro!" si defila lui percependo l'occhiataccia del suo capo.

La giovane ridacchia alla scena, e poi si prepara a salutare anche colei che, per due anni, è stata come una seconda madre. 

"Allora" chiede con apparente disinteresse l'eccentrica imprenditrice. "Pronta ad andare per la tua strada, zucchero?"

"Prontissima" lei lancia un'occhiata all'ingresso di Ashabenford reggendo un volantino in mano. "Tra pochi giorni ci sarà una festa delle arti, è l'occasione perfetta. Si tratta solo di ripetere il copione."

"Già, il copione" la guarda con l'aria di chi la sa lunga.

"Che c'è...? Non ti sembra una buona idea?"

"Dico solo che sei sempre in tempo per tornare a bordo e dimenticarti questa vicenda. Se è una questione di soldi..."

"No" mette le mani avanti "cioè, sì, è una questione di soldi, ma non solo di soldi. Lo sai."

"Lo so bene" la guarda da capo a piedi. "E perché non ti impegni di più?" 

"Come...?"

"Senti zucchero" si accerta che nessuno sia troppo vicino per sentire "da quando ti sei unita a noi ti ho sempre sentita pianificare il momento in cui ci avresti lasciato, mentre non ti ho mai sentita parlare di quello che ti sarebbe piaciuto fare dopo. Sembra che non ci provi nemmeno a ritagliarti uno spazio per te stessa."

"Ci sono troppe cose che non vanno, Larissa. Un periodo concentrata sul mio dovere mi farà bene."

"Ti farà male invece" scuote il capo quasi rassegnata. "Lo vedo in Viktor ogni giorno. Non voglio che anche tu finisca a dedicare tutto il tuo tempo a un obiettivo come il suo."

"Ma" sbatte gli occhi perplessa "sei stata tu a farmi parlare con lui, proprio perché è riuscito nel suo intento."

"Affinché ne vedessi il prezzo" annuisce gravemente. "Anche molto tempo dopo aver portato a compimento il proprio piano, lui non parla d'altro, perché ormai non ha altro."

La giovane fa per rispondere, ma poi è percorsa da una bieca consapevolezza e guarda in terra silenziosa.

"Più aspetti e più perderai di vista tutto il resto" mormora la capocarovana. "Dovrai essere tu a fare tu la prima mossa per passare oltre."

"Io... adesso non posso" la ragazza ammette con un filo di voce. "Sono troppo arrabbiata."

"Zucchero, un giorno non lo sarai più" le stringe le mani con calore e poi fa per voltarsi per tornare dagli altri, lanciandole un'ultima occhiata. "Spero che tu non faccia niente di cui possa pentirti."
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#14
EPILOGO
(1 di 3)


A mattina inoltrata la ragazza stiracchiò le braccia alzandosi seduta nel letto percependo subito la presenza dell'uomo con cui aveva passato la notte che ancora le dormiva accanto. Stropicciandosi gli occhi e passandosi le mani dalle unghie smaltate di nero tra fronte e nuca per riavviare all'indietro i capelli sbarazzini, decise di concedersi l'ozio che solo chi sa di non essere visto può concedersi e scivolò nuovamente nelle coperte calde girandosi sul fianco opposto a lui, piegando un gomito sotto il cuscino e sbattendo le palpebre con espressione pensierosa.

Ciò su cui aveva lavorato di recente doveva averla costretta a rivedere molte sue decisioni, pensò rannicchiandosi ulteriormente tra le lenzuola in un brivido, se adesso stava davvero permettendosi di frequentare qualcuno. Allungò un braccio verso il comodino per recuperare dalla borsa lo specchietto circolare incrinato in più ponti e il riflesso le restituì l'occhiata severa della verità: si stava pericolosamente avvicinando troppo alla trasgressione della regola principale del vivere di espedienti, il fare in modo che nessuno la conoscesse davvero. Lei sapeva infatti che continuare a cambiare identità fosse un rimedio temporaneo al suo problema, ma in qualche modo poteva dirsi soddisfatta dei risultati: da quando era arrivata nelle Valli nessuno aveva capito quali fossero i suoi veri scopi. Alcuni si erano accorti della sua natura ambigua e la tenevano a distanza per questo, a lei andava bene così perché era cosi che doveva essere.

Ogni tanto però non poteva far a meno di guardare, non vista dietro gli angoli cittadini, gruppi di persone che mostravano un certo sodalizio l'un con l'altro, e in più di un'occasione aveva invidiato la loro libertà, ma poi aveva sempre scelto di prendere un ampio respiro e continuare la recita. Ci era abituata alle recite, perché era stata molte persone diverse nell'ultima decina di anni. Quando si era ritrovata prigioniera di un'educazione castigata, era diventata Angie per potersene andare in giro liberamente. Quando con Angie era finita in qualcosa più grande di lei, aveva radicalmente cambiato taglio di capelli diventando Ilenia per far sì che nessuno la riconoscesse. Quando vivendo la vita di Ilenia aveva capito che fosse il momento di tagliare la corda, si era reinventata come Ronda per cercare una soluzione altrove.

Ma ultimamente aveva dovuto ammettere che ci fosse qualcosa di piacevole nell'idea di non dover essere sempre due passi avanti l'interlocutore per prevederne le reazioni. Rimettendo a posto lo specchio intravide il profilo dell'uomo addormentato dietro di lei e fu colta tutt'insieme dal dubbio che lo scopo di interpretare Bardot, il personaggio che l'imprenditrice Larissa le aveva creato su misura per farla esibire nei due anni che aveva accompagnato la carovana viaggiante, forse non sarebbe stato quello di permettere a lei di evolversi tanto da fuggire indisturbata un'altra volta come inizialmente creduto, ma per permettere a lei di evolversi tanto da accettare che qualcuno potesse entrare nella sua vita. Rimase qualche istante perplessa dalla gratitudine inaspettata che provò per la lezione impartita a scoppio ritardato da colei che fino a pochi mesi prima era stata il suo capo e lentamente tirò le coperte fino al naso, come faceva da ragazzina quando rientrava di nascosto all'alba, mordendosi un labbro per non sorridere a quanto davvero sarebbe potuta divenire grande, la Grande Bardot.
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#15
EPILOGO
(2 di 3)


Erano passati quasi tre anni da quando era arrivata ad Ashabenford. I suoi propositi erano sempre rimasti secretati alla coscienza di chiunque l'avesse incontrata, perché l'obiettivo era alto e ambizioso e valeva bene il non poterne parlare liberamente con nessuno. C'era stato un momento, quando ancora Aslaug razziava nella terra delle bestie, che si era sentita partecipe di qualcosa tanto da farsi cullare per qualche tempo dall'idea di come sarebbe stato non doversi più preoccupare del futuro una volta accolta nel clan. Ma poi Aslaug era dovuta tornare dalla madre e quando nessun messaggio parve tornare con una risposta sembrò chiaro che la cosa non si sarebbe mai materializzata e che dovesse nuovamente ricominciare a guardarsi le spalle. Era rimasto solo Derek del gruppo originale, e pensò bene di affiancarlo nei suoi piani di conquista perché dopotutto era meglio guadagnarsi da vivere come consulente invece di scampare la vita in qualche cunicolo sotterraneo. Derek era sempre stato un punto fermo per lei: sapeva che ci fosse così come sapeva che non ci potesse contare. Sapeva che avrebbero potuto passare notti intere a parlare di affari, e sapeva anche che difficilmente il discorso sarebbe mai slittato in argomenti troppo personali. Non era intenzione di nessuno dei due abbassare la guardia sui propri intenti, e fu terapeutico scoprire come la geometria del non detto valesse come sottinteso accordo di non belligeranza. Accadevano tante cose orribili ogni giorno, ma fintanto che entrambi si fossero limitati alla propria parte non ci sarebbero stati pugnali alle spalle da temere.

E non ce ne furono, la collaborazione si rivelò piuttosto fruttifera, tanto che si ritrovò a doversi scusare quando la relazione ormai consolidata con Beltran l'aveva portata lontano dalle Valli per qualche tempo. Era ora che uscisse di scena, e si sentiva pronta per farlo, ma aveva scelto di tornare a Mistledale per concludere gli affari rimasti in sospeso e assicurarsi che nessuno l'avrebbe cercata quando se ne fosse andata definitivamente. Sarebbe stato un azzardo sparire mentre ancora in debito con certi individui, perché un domani avrebbero potuto rintracciarla, e poiché questo non poteva permetterlo decise che sarebbe stata Ronda un'ultima volta e rientrò nei ranghi per recitare il copione di chiusura. Non aveva considerato però che il periodo di lontananza assieme a Beltran le aveva quasi fatto dimenticare come fosse solita vivere prima di incontrarlo. Erano tante le cose che adesso non la lasciavano indifferente, il suo repertorio in qualche modo c'era ancora ma ormai aveva perso il ritmo e doveva faticare il doppio per non darlo a vedere.

Quando le venne assegnato Gram fu molto contenta di lavorarci insieme: lei lo prendeva in giro, ma lui sapeva perché e anche di fronte a tutti la lasciava fare. Lei lo adorava di un'ammirazione sconfinata, un uomo di quell'età che era giunto indenne a fare la vita di nascosto poteva significare solo una cosa, ovvero che non tutto nei vicoli fosse destinato a lasciare un segno indelebile nell'animo come graffi su un vetro. Significava che si potesse sopravvivere anche in quel caso, questo era importante per lei perché in un angolo del proprio cuore aveva cominciato a chiedersi cosa sarebbe stato di lei, di Beltran e della sua famiglia un domani che non fossero riusciti a rimettersi in piedi. La presenza di Gram era la risposta che la sollevava d'animo: non sarebbe importato, se ci fosse stato bisogno lei avrebbe ripreso i guanti dal chiodo e sarebbe tornata a fare quello che sapeva fare meglio pur di sostentarli tutti. Ma poi Gram non ce l'aveva fatta, lui doveva essere la sua luce fuori dai bassifondi, ma quella luce si era spenta.

Pochi giorni dopo fu poi raggiunta dalla notizia che anche Derek non c'era più. Si vergognò di aver preso accordi per vendere Derek ai suoi nemici. Non voleva farlo davvero, perché comunque c'era interesse che lui rimanesse il suo socio in affari, quindi si era sentita piuttosto orgogliosa e furba di aver trovato una soluzione mediana che mettesse tutti d'accordo: lo avrebbe convinto a sufficienza per farsi intestare la sua attività commerciale dicendogli che se ne sarebbe occupata lei mentre lui pensava a far depositare il polverone che da un po' di tempo circondava il suo nome, avrebbe rifilato un contentino agli altri e, il tempo di incassare guadagni leciti e illeciti, avrebbe restituito la bottega al proprietario per defilarsi definitivamente dalle Valli e raggiungere Beltran con risparmi assicurati. La notizia della sua scomparsa però le si riversò addosso improvvisa come acqua gelata. Non aveva nemmeno pianto, si era recata ugualmente alla bottega di Hap per carpire una briciola da rivendersi sentendosi un avvoltoio tutto il tempo del tragitto. Scoprì sul posto che Derek aveva pensato a lei nel suo testamento, non c'era nessun altro nome, solo il suo. Lei che si era sempre data tanto da fare per assicurarsi un guadagno alla fine ci aveva guadagnato, poteva essere soddisfatta e invece provò risentimento e colpa verso le proprie azioni, comprese che Derek nelle sue ultime volontà aveva pensato a lei credendola meritevole, e quella fu la cosa che la ferì più di tutte.
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#16
EPILOGO
(3 di 3)


C'era una volta una bambina bella e aggraziata, con tutta la vita davanti. I genitori l'amavano molto e per questo decisero di tenerla lontana dalle strade di Luskan pagando un'insegnante privata che la seguisse tutto il tempo. Sarina, questo il nome dell'insegnante, accettò di buon grado il lavoro perché era meglio badare alla marmocchia di due benestanti signori piuttosto di monetizzare le molestie dei bevitori in qualche locanda del porto. La piccola non brillò mai nella cultura o nella magia, che pure aveva provato a insegnarle, quindi a un certo punto si accontentò di farle da balia ed educarla come poteva.

Quindici anni più tardi la bellezza di Sarina cominciò a sfiorire proprio quando il suo lavoro stava per mancare, perché ormai la bambina era diventata una donna e non avrebbe più avuto bisogno di lei. Tentò quindi di ottenere un lauto pagamento di buona uscita, che però gli venne negato dai due genitori perché nel frattempo avevano cominciato a trovarsi in difficoltà economiche per via dell'incessante guerra tra le ciurme di Luskan. Le promisero che l'avrebbero raccomandata ad amici e parenti, ma a Sarina questo non bastava, perché aveva sempre considerato degradante essersi ridotta a fare da tata e sentiva di meritare un premio per essersi abbassata a tanto. Come molti artisti sognava la ribalta e il successo, ma gli anni erano volati e presto sarebbe stata rispedita alle sue avventure senza poter più utilizzare le occhiate di desiderio come trampolino di lancio. Covò il rancore che si cela bene dietro al sorriso e nell'ultimo periodo salariato, che sarebbe culminato con il ventesimo compleanno della ragazza, passò segretamente al soldo di una casata nemica. Grazie ai suoi accordi l'immobile venne occupato con la forza proprio durante la festa di quella che per tanto tempo era stata la sua studentessa, alcuni importanti alleati finirono uccisi o intimiditi, gli affari dei due genitori scivolarono in altre mani e la festeggiata si ritrovò nottetempo sfrattata e povera. Ancora vestita con l'abito elegante della sera prima provò a rivolgersi a quelli che riteneva amici e fidati ma rimbalzò contro un muro di intolleranza e pregiudizio da parte di quelli che aveva considerato virtuosi operanti della legge, che si limitarono a dirsi sorpresi che non fosse successo prima e che anzi quanto accaduto fosse una sorte più che meritata.

Anche se delusa e amareggiata la ragazza però non si diede per vinta, perché di nascosto dalla sua insegnante aveva trascorso l'adolescenza a sgattaiolare fuori dalle mura della sua prigione dorata attirata dalla proibita vita notturna di Luskan, e ricorse ai suoi talenti furtivi per sostentare i genitori con borseggi e manomissioni. Non ci volle molto per finire reclutata controvoglia in una organizzazione malfamata, che lei assecondò pur di vedere i propri genitori al sicuro. Sarina intanto aveva cominciato a vivere in quello che un tempo era stato il suo edificio, e lei la odiava per questo, ma sapeva che così ridotta in miseria non avrebbe avuto l'appoggio di nessuno per fargliela pagare. Si tinse i capelli di nero, promise un'ingente somma di denaro al suo nuovo capo e partì per cercare fortuna fuori da Luskan al fine di accumulare un tesoro abbastanza grande da sbloccare gli averi di famiglia. Dopo un lungo viaggio in continente giunse nelle Valli animata esclusivamente dal principio della vendetta e del guadagno: aiutò briganti, drow e licantropi, strinse alleanze improbabili e girò gli occhi altrove più volte di quello che avrebbe voluto, sposò un criminale per interesse e barattò tutto quello che le era rimasto così che ai genitori fu infine permesso di lasciare Luskan illesi. 

Con la sua famiglia ormai al sicuro non rimaneva che farla pagare alla donna che l'aveva ridotta in miseria: aveva pianificato una punizione esemplare mettendo da parte monili e incanti, aveva chiesto consulto a maghi e stregoni e valutato le opzioni più estreme. Era pronta a prendersi la soddisfazione che anelava da anni, ma l'incontro con una sopravvissuta che come lei si era fidata di una donna che non era sua amica la fece specchiare con gli occhi del futuro su quello che sarebbe potuta diventare se avesse scelto di perseguire quella strada. Le altre persone significative che si succedettero nella sua vita la fecero riflettere ogni volta su quanto buio la vendetta sapesse portare in dote e si sorprese a utilizzare la sua ultima identità, quella festosa de la Grande Bardot, non per commettere ulteriori illeciti ma per riparare a quelli commessi ai danni degli innocenti, come era stata lei un tempo. Sospesa tra il bene e il male realizzò che una vita piena fosse essa stessa la migliore vendetta verso chi aveva voluto la sua rovina, organizzò inaspettatamente i suoi averi affinché potessero essere germoglio per il prossimo e lasciò le Valli per ricongiungersi ai suoi genitori e al suo compagno vivendo altrove il nuovo inizio di un'alba tiepida, sarebbe stata per sempre la Grande Bardot e non avrebbe avuto bisogno di una maschera mai più.
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