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[Dyane A.] Sinfonie mutevoli
#10
[Immagine: mask.jpg]

Credo fosse un giorno d’inizio autunno, il sole pomeridiano era ancora abbastanza forte da scaldare la pelle con i suoi raggi, e il palcoscenico allestito all’aperto brillava di sgargianti colori che tanto piacciono ai mediocri.

Preparavamo uno spettacolo fuori dalle mura della Città dei Duchi, in una zona di passaggio poco distante dalla via principale. Io ero ancora l’ultima arrivata, così mi toccavano i compiti più ingrati nella preparazione della recita, ma non ne facevo lamentela e lasciavo che i giorni scorressero lenti, nell’attesa del tempo in cui il mio talento li avrebbe scavalcati tutti.

Erano passati pochi mesi da quando avevo lasciato Calimport, ed ero ancora troppo impegnata a prendere in mano la mia vita per accorgermi che la lontananza dalla mia mentore stava scavando dentro di me una crescente voragine.

Ho un ricordo vivido di quel pomeriggio, e di quella donna il cui nome era scritto a caratteri colorati sui manifesti.
Rabbrividisco ancora al pensiero dei suoi terribili gesti così chiari e solenni da far dimenticare l’assenza della sua voce. Come una marionetta sapeva elevare alla massima intensità un solo sentimento per volta sul suo viso, e sembrava che potesse svuotarsi totalmente, per poi riempirsi di volta in volta di tutto ciò che il copione le richiedeva.
Mi domandavo se vi fosse qualcosa di intimamente suo, dentro quell’involucro, o se invece la perfezione del nulla l’avesse invasa.

Provavano una scena cardine dello spettacolo che avevo intuito essere una tragedia d’amore.
Lei lo guardò, cadde a terra e gli posò il capo sulle ginocchia. Stette in silenzio, e rimase a lungo così, senza muoversi. Le parole di lui mi scivolarono addosso come inutile fumo disperso dal vento. Non riuscivo a togliere gli occhi da lei e dal suo silenzio angosciante.
Quando la spinse via, lei cadde a terra dinnanzi a lui, in un torcersi spasmodico di tutto il corpo. Fu come se le articolazioni le si fossero spezzate in quel preciso istante. Era atroce a vedersi.
Ad un tratto parve irrigidirsi sempre di più, come chi sopporta una sofferenza fisica suprema; ma poi, con un nuovo impeto, le sue membra si ravvivarono e, come se in lei fosse scattata una molla, gli si gettò al collo.
Non c’è parola che possa dire la potenza di quelle lacrime. Temetti che stesse per disfarsi colando tra le sue braccia e che nulla sarebbe rimasto di lei.

Solo oggi comprendo a fondo il motivo del turbamento che mi provocò quella donna.
Non avevo l’ardire di avvicinarla o di parlarci, né tantomeno di sbirciare in quello sguardo da vicino, per il terrore irrazionale di poterci cadere dentro.
Non avrei mai pensato di arrivare a somigliarle così tanto.


* * * * * * * *

Peldan's Helm

[Immagine: liuto.jpg]

Apatia stagnante come l’aria di una fredda stanza illuminata dalla debole anima di poche colonne di cera. Sembrano danzare i loro barlumi prima di spirare e morire in una pupilla incandescente.
Un gambo di fumo si solleva sbocciando avido di esistenza, asfissiante, costretto sull’abisso di sé stesso.
Il silenzio dell’attesa rimbomba tra le pareti rivestite di dozzinali arazzi che hanno assorbito l’odore di così tante vite avvicendate notte dopo notte.

Siedo vicino al caminetto e imbraccio il liuto, accarezzando il legno scuro levigato e poi le corde tese, cercando nel silenzio il punto esatto in cui si nasconde la melodia perfetta per questa notte.
Osservo le fiamme consumare un ciocco di legno scarno, ma l'essenza dei miei pensieri è calma e densa come acque scure d'un lago paludoso.

Chiudo gli occhi e mi concentro sulla perfetta oscurità delle mie palpebre chiuse. Nel nero c'è così tanto da vedere.
Lentamente la melodia giunge, come un soffio di vento inaspettato che si insinua tra i capelli portando sensazioni lontane, simili a brividi sotto pelle.



"E’ il bagliore di un illusorio riflesso
che tesse trame nei tuoi occhi.
E’ l’ossessione di una rabbia passata
che sgretola i secondi mentre scivolano via.
La risacca è venuta a prendermi,
costringendomi a sopportare un sole ardente.
Guarda ciò che abbiamo attorno,
guarda quel che abbiamo fatto.

Hey, c’è nessuno?
Non credo di potermi salvare.
Sto affogando qui.

C’è uno spiraglio, una finestra socchiusa,
sciami di locuste colmano il cielo.
Forse semplicemente scomparirò
se non riesco a mantenermi a galla contro la marea.

Per favore, c’è nessuno?
Non credo di potermi salvare.
Sto affogando qui."


Quando riapro gli occhi è come riemergere dal fondo degli abissi, affiorando sulla superfice ferma e densa di acque nere, ma senza possibilità di riprendere a respirare.

- Tratterrai il fiato con me? -

L'eco della sua voce prende il posto del silenzio che è nuovamente calato nella stanza. Scivolo sulla sedia e osservo le ombre che danzano sul soffitto. Ce n'è una diversa. Mi volto di scatto e lui è lì.

"Non ti ho sentito rientrare."

"E io non ti avevo mai sentita cantare."

"Già...Lo faccio solo per me stessa, solitamente."

Metto a tacere la mia mente per un po’, e mi gusto il vino che lui ha portato per ammazzare il tempo in questa lunga notte. Assaporo il gusto dell'attesa che riesce a cullare la mia angoscia con la promessa di una consolazione che è ormai vicina.
So che con lui accanto posso spingermi sull’orlo del baratro senza paura di non far ritorno, e qualsiasi tormento annega in un abbraccio d’oblio che lentamente invade i miei pensieri e mi scorre addosso, lasciandomi inerme e docile ad attendere l’antidoto.

Guardo verso il fuoco che va spegnendosi, ma i miei occhi incontrano i suoi appena mi si para davanti costringendomi ad oscillare in bilico tra la calma di un estremo controllo e la follia dell'istinto che mi percorre la schiena come un brivido troppo a lungo represso.
Lo osservo e mi perdo volutamente nel suo sguardo, assaporando la dolce consolazione di saperlo vicino, così vicino come nessun altro aveva mai osato andare.
Ascolto le sue parole, e la mia gola si fa arida mentre una sete inestinguibile cresce e mi invade, espandendosi a dismisura in concomitanza col desiderio di condividere con lui un rischio troppo grande per entrambi.

Riprendo a bere il vino, ma è solo un insulso liquido che non placherà nemmeno un briciolo della mia sete spropositata, e continuo ad osservarlo al di là delle increspature trasparenti del calice, chiedendomi se anche ora riesca a vedere oltre la mia maschera come ormai gli ho concesso di fare, senza che quest’invadenza mi dia dopotutto fastidio.

Siamo a un passo dal distruggere tutto, basterebbe così poco per far franare la terra sotto i nostri piedi, l'equilibrio è tremendamente precario. Lotto con tutta me stessa contro i miei demoni: non posso rovinare una notte come questa. Che domani crolli pure il palcoscenico, ma adesso ci siamo solo noi due contro il mondo intero.

[Immagine: dyane_lein.jpg]


* * * *


Il piano procede come previsto ma a stento riesco a controllare la rabbia che lentamente scava solchi dentro il petto togliendomi il fiato. Se non colmo i vuoti l'equilibrio vacilla, e sto rischiando molto ultimamente.
Sono gelosa? O semplicemente incazzata con me stessa per le mie debolezze?
Attendo nell'altra stanza in mezzo a decine di persone ma sola. Divorandomi il cuore e affogandolo nel vino.

A furia di ferirmi per avere risposte, nel corso degli anni che mi hanno portata ed essere ciò che sono, è rimasta solo l'ombra di un'anima vuota. Potrei giurare di averla vista talvolta, uscire da me, scendere dall'altare e incamminarsi in giro, fuori controllo.
Ho provato a resistere al richiamo languido di una perfetta oscurità, ma continuavo ad inciampare, persa tra le ombre, ingannata dalle voci. Terrorizzata dall'ignoto, intrappolata in un mondo di delusioni, più cercavo risposte e più andavo in pezzi.
Solo una volta prostrata in ginocchio ho capito che stavo indirizzando male le mie preghiere.
E' tutto così diverso adesso.

- Controllati -

Sono ancora in locanda. Sturm si avvicina porgendomi un pacchettino: è la distrazione di cui ho più bisogno in questo momento. Lo seguo in stanza cercando di focalizzare le mie energie in modo meno distruttivo, e scarto il regalo ritrovandomi tra le mani un vestito di seta nera di pregevole fattura.

"Era di quel folletto dal sangue di ninfa, una creatura meravigliosa e pericolosa. Mi ha ricordato qualcuno che conosco."

Scorro le dita sulla seta leggera e sfuggente, la morbidezza del tessuto mi riporta per un attimo agli immensi mercati esotici della Perla, e la mia mente si rifiuta di tornare al presente per qualche lungo istante.
Lui continua a parlare, mi spiega l'incanto di cui è intessuta la veste, l'anima nera che gli è stata impressa, l'utilità di quella magia. 

"Chiedi l'oscurità, ed eccotene alcuni doni, Dyane."

Sto ancora cercando di riflettere su come avanzare in punta di piedi sul sentiero pericoloso che mi sto scavando verso quest'uomo tanto violento quanto malleabile, quando lui si avvicina, troppo, e mi invade una strana sensazione di fastidio. Ma ricambio le sue attenzioni e gli sorrido stando al gioco, recitando la parte che abbiamo deciso e che dopotutto mi calza a pennello.

“Ricordati, la coppa è vuota.”

Ci usiamo a vicenda, e lo sappiamo entrambi. Ma la febbre che scava dentro di me mi rende insofferente, e a volte non sopporto più l’attesa, né le sue mani, né i suoi sussurri. Ma li desidero nuovamente l'istante dopo.

Ingannami ancora, cambia i miei pensieri, uccidi i sogni e governa tutti i miei sensi. Le preghiere in questa notte potrebbero confortare il più antico dei pianti.

[Immagine: Dy_sturm.jpg]
[Immagine: firma_dy_2.png]
Dyane Alfarham
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