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[Sturm Greif] Come Folgore dal cielo.
#21
XXI

Mistledale.

La serata non si poteva dire non fosse stata movimentata e ricca di sorprese.
Il piano di intrufolarsi nella festa privata di Majuk era ben riuscito, giusto Darsa sapeva chi c'era sotto quella lunga e larga tunica rossa.
Sturm si era divertito ad osservare i partecipanti lasciarsi andare alle delizie offerte dal Velo.
Persino persone rette come Aldric od Isabel alla fine avevano assunto un comportamento nettamente più rilassato.

Senza parlare della festeggiata. Di Majuk.
Era vero che Darsa l'aveva aiutato ad intrufolarsi nella festa, ma da brava istigatrice era stata furba nel mettere Sturm in una scomoda, scomodissima posizione: fungere da schiavo per la festeggiata.
E la festeggiata era l'icona per antonomasia del vizio e dell'altezzosità.
Non furono poche le volte che Sturm fu tentato di liberarsi di quel ruolo e assestare una cinquina dietro l'invitante collo bruno della tiefling. Volle però resistere e vedere dove la festa sarebbe arrivata. Assistere alle conseguenze del tocco della perdizione.
Majuk era una pazza invasata. Drogata e alcolizzata. Abituata ad una vita di comodità e sfrenatezze.
Sturm ne ebbe conferma quando gli fu ordinato di preparare una portata di vino molto particolare, miscelato a più sostanze stupefacenti.

Era curioso.

La pazienza fu premiata con uno spettacolo che Sturm avrebbe ricordato per sempre.
Quasi tutti i partecipanti erano collassati, con la faccia sul tavolo o afflosciati sui loro scranni. La stessa Majuk era caracollata a terra, in preda ai sintomi delle sue stesse droghe.
Sturm capì che il senso di pesantezza e svenimento venne meno quando cominciò ad udire flebili e costanti rantoli di piacere provenire da chi aveva ceduto al vino corretto di Majuk.
Sturm aveva possibilità di agire!
Avrebbe fatto qualcosa, sicuramente, se non fosse stato per una domestica del Velo che era sopraggiunta per rinsavire i commensali del teatrale festino.

Sturm aveva rivalutato il Velo. Davvero un posto interessante.

Alla fine il ragazzone ruathen si limitò a cibarsi e a bere, senza freni, gustandosi le svariate prelibatezze rimaste sul desco.

Majuk si era salvata da un colpo al cuore che Sturm voleva farle prendere quando anche lei si sarebbe ridestata dallo stato comatoso in cui si trovava. Dannazione a Lore e al contratto che lo vincolava alla tiefling.

Quella stessa sera tuttavia Sturm potè bearsi di ben altro spettacolo.
Non che fosse accaduto chissà cosa ma per lui quello era stato uno spettacolo a cui avrebbe voluto partecipare più e più volte, quasi per sempre.
Era come una falena attratta dalla luce, le donne pericolose avevano un ascendente troppo forte su di lui, attirandolo in un vortice da cui non riusciva a sottrarsi. O da cui non voleva proprio. 
Pericolose. Schive. Risolute. E ovviamente affascinanti.

Avvertiva ancora il suo profumo nelle narici.
Le belle gambe ancora impresse nella sua testa.


Femme Fatale, come dicevano nel Cormyr.

Sturm indugiò ancora un poco nella sala della mescita della locanda. Voleva stordirsi per poter riuscire a dormire. Pensieri impetuosi e tempestosi gli scuotevano l'animo.
Bevve osservando ed ascoltando un giovane avventuriero dall'aria poco curata, seduto su uno sgabello poco più in là. Suonava uno strumento molto simile a quello usato dall'affabile Dyane. Altro motivo per cui Sturm voleva abbandonarsi all'alcool: cominciava a pensare troppo anche alla mezzelfa.
Nonostante la notte fosse inoltrata già da un pezzo e alquanto tranquilla, nonostante suggerisse un motivetto più rilassante, il giovane musico strimpellava con foga e trasporto.

Sturm aveva l'alcool. Quel giovane, forse suo coetaneo, aveva la musica:

«Quando io sono solo con te
sogno immerso in una tazza di thè
ma che caldo qua dentro
ma che bello il momento

Quando io sono solo con te
non so più chi sono perchè
crolla il pavimento
e mi sciolgo di dentro

Quando penso a te
miii sento denso perchè
io ti tengo qua dentro di me
io ti tengo quaaa dentro con me

Meeee soooo'mbriaaaacato! De 'na donna
quanto è bbono l'odore della gonna
quanto è bbono l'odore der mare
ce vado de notte a cercà le parole.
Quanto è bbono l'odore del vento
dentro lo sento, dentro lo sento.
Quanto è bbono l'odore dell'ombra
quando c'è 'r sole che sotto rimbomba.
Comme rimbomba l'odore dell'ombra
come rimbomba, comme rimbomba.
E come parte! E come ritorna!
Come ritorna l'odore dell'onda!

Quando io sono solo con te
io cammino meglio perchè
la mia schiena è più dritta
la mia schiena è più dritta.


Quando sono con te
io mangio meglio perchè
non mi devo sfamare
non mi devo saziaaaare con te.

Meeee soooo'mbriaaaacato! De 'na donna
quanto è bbono l'odore della gonna
quanto è bbono l'odore der mare
ce vado de notte a cercà le parole.
Quanto è bbono l'odore del vento
dentro lo sento, dentro lo sento.
Quanto è bbono l'odore dell'ombra
quando c'è 'r sole che sotto rimbomba.
Comme rimbomba l'odore dell'ombra
come rimbomba, comme rimbomba.
E come parte! E come ritorna!
Come ritorna l'odore dell'onda!»*

[*Mannarino - Me so'mbriacato]
[Immagine: Webp-net-resizeimage.png]
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#22
XXII

«Sicuroh?!» Otto singhiozzò subito dopo aver posto la domanda, incredulo.
Ffolk annuì profondamente.
«Jau, possiamo confermare tutti e tre» Sturm diede credito a Ffolk, Erlend si limitò ad annuire con espressione vissuta, ma anche un poco divertita.
«Quindi questa awewa un occhiuo di wedro mh? Interessante»
«No, non di vetro. Aveva un rubino con qualcosa dentro»
«Ci è una canzuone dalle nuostrue puarti per quelle come lei...»

I tre ruathen si tenevano dietro al corpulento Otto, camminando per la via più grande di Neverwinter.
Il sole era sorto da poco e Otto, o signor Rotto, era già ubriaco lercio. Aveva uno stretto rapporto con l'alcool, qualsiasi esso fosse. Tuttavia riusciva a mantenere abbastanza lucidità da poter sostenere un discorso o addirittura un ragionamento.

Ora camminava tenendo le mani grassocce, intrappolate dentro un paio di stretti guanti di cuoio - le dita ricordavano dieci belle salsicciotte pronte per essere messe allo spiedo -, intorno al cinturone che sosteneva fosse troppo largo per il suo immenso ventre prominente.
Sturm aveva già visto dei numeri, glieli aveva mostrati Denim del Cormyr, trascritti sul proprio diario personale, per tener conto dei giorni o delle questioni economiche.
L'otto se lo ricordava bene, un numero buffo a vedersi, cicciotto. Si chiese se Otto fosse il vero nome del loro momentaneo anfitrione, sicuramente la corporatura ricordava quel numero.
Anche se grasso all'inverosimile sotto quegli strati infiniti di ciccia c'erano dei muscoli, anche piuttosto allenati. Lo testimoniavano le spalle larghe, ben piazzate.

Procedeva Otto. 
Doveva essere più vecchio di Ffolk, di qualche anno, ma l'animo sembrava quello spregiudicato di un giovane adolescente.
Uno Sturm più vecchio e grasso.
Avanzava Otto, cantando a squarciagola un motivetto stonato quanto irriverente.

«...Aaawewa un occhiou di weeeeedro! 
Ed una gwuamba di geeeeesssso!
Ma a me piuacewa lo shtessssho
Perchè shapeva baciaaaar!

E la mamma al balcòn!
E la figlia al filàr!
Shenti che beli baci
Shenti che beli baci!

E la mamma al balcòn!
E la figlia al filàr!
Shenti che beli baci
Che mi vuoi daar...*»


Dopo averli trascinati via dalle carceri della città Otto aveva detto loro di seguirlo. Aveva in serbo un lavoretto con cui lo avrebbero ripagato.

«Di che si tratta esattamente?»
«Di una caccia!»
«Jau? Mi piacciono le cacce. Che si caccia?» Ffolk s'era fatto largo accostandosi ad Otto, strofinandosi le grosse mani callose.
«Un orsho»
«Oh»
«Ma non un orsho qualsiasi eh! Un orsho nuero! Non bruno, no, nuero!»
«Oooh» fu l'ironica riposta impressionata di Erlend.

I ruathen erano abituati a cacciare qualsiasi tipo di creatura, molte delle quali anche piuttosto pericolose. Un orso era una di quelle, nulla di impossibile ma sarebbe servita molta cautela.

«Quindi dove stiamo andando?»
«Fuorih città ihc! Ah dannuato singuozzo ihc! Al Bosco. Ihc!»

«R...otto ma esattamente tu cosa fai?» Sturm gli si era avvicinato, dall'altro lato.
«Cuome cosa fuacciuo?! Raguazzone guarda qui» il corpulento Otto frugò con la mano nel suo colletto, estraendo poi un pendente appeso intorno al suo largo collo da rospo.
Mostrò il pendente a Sturm con sguardo fiero e sorriso sbieco, a trentadue denti.
«E' un orecchio Rotto. Che vuol dire?»
«Cos...un orecchio?» Otto parve riacquistare la più completa lucidità mentre guardava incredulo l'orecchio mozzato che pendeva da quella sua rozza collana tribale. Se lo rigirò per le dita più volte come se aspettasse che da un momento all'altro quell'oggetto potesse mutare d'aspetto e forma.
Era sbiancato tutto d'un botto.
«Per le abbonduantih ruotondità di Tymorah ihc! La scuommessa! Quella bal...» gli occhioni marroni di Otto si posarono alternativamente sui tre ruathen che si erano fermati a guardarlo con un cipiglio perplesso «... balbuzziente. L'ha winto lei shi»
«Chi? Cosa?»
Erlend s'era avvicinato d'un passo. Il suo sguardo grigio inespressivo gli dava un'aria spettrale.
«Teera. Poi la conoscuerete, sicuramente. Ora pensiamo all'orso. Poi Grandeh Unow Rossoh! Se sopravvivereteh eh ich!»

Il Grande Uno Rosso. 

Big. 
Red.
One.

Una svolta sensazionale.

[*Roppoppo - Occhio di vetro]
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#23
XXIII

Le Valli.

Chi aveva detto che la costrizione di vivere lontano da Ruathym dovesse per forza essere considerata un'esperienza negativa?
Certo, Sturm aveva perso tutto.
La casa, gli amori, gli amici, la patria. Se stesso.
Ma non i nemici, quelli no, anzi, se possibile erano aumentati a dismisura proprio a causa dell'ingiusta condanna subita.
Il soggiorno forzato su Faerun non era del tutto da criticare, c'erano molte cose con cui potersi arricchire sia materialmente che moralmente.
Ciò aveva avuto un impatto non indifferente su Sturm che aveva avuto l'opportunità di vedere il mondo sotto un'altra prospettiva.
In quel che era il suo popolo vigevano molte tradizioni che condizionavano un ruathen, non che sul continente si fosse più liberi. Le leggi che vigevano sui territori erano molte, complesse, e cambiavano spesso a seconda del luogo, o della città. Un limite anche quello che però teneva un alto margine di libertà, sia di pensiero che di azione.
Sturm non avrebbe mai dimenticato quelle tradizioni che lo avevano reso quel grosso omaccione che era diventato, infondo era nato e cresciuto secondo i dettami ruathen. Anche se di fatto, per la sua gente, non lo era più lui riservava ancora un sano orgoglio personale, ed uno smisurato ed impetuoso spirito battagliero.
Gradualmente il grosso ruathen aveva fatto sue alcune abitudini continentali, anche il modo di pensare si era adattato alla nuova vita senza però perdere l'identità precedente. Stava accumulando un bagaglio culturale non indifferente di cui però ne era totalmente ignaro.

Queste sfumature rendevano Sturm dissimile da quelli che erano suoi compatrioti. Soprattutto dal valoroso Fjolnir figlio di Bjorful, il Biondo Orso, o la Montagna come era solita riferirsi a lui Dyane.
Fjolnir seppur in terra straniera manteneva un legame indissolubile con Ruathym. Seguendo le tradizioni era come non fosse mai distante da casa, e ciò lo portava spesso a cozzare con uno Sturm non più vincolato da quegli ormai lontani costumi.
Differente era Aslaug Baciata dal Fuoco.
Più in linea con Sturm manifestava una più ampia tolleranza verso tutto ciò che la circondava. Non sembrava particolarmente legata a chissà quale tipo di vita, ciò che più sembrava premerle era la propria libertà. Era testarda su quel punto, così testardamente ruathen che spesso si metteva nei guai.
Sturm era convinto che alla Baciata dal Fuoco spettasse un percorso arduo e ricco di insidie, insieme al suo fido e possente guardaspalle Fjolnir, e che alla fine di tale sentiero ci fosse un'estimabile ricompensa ad attenderla.
Era o non era la figlia dell'attuale compagna dello Jarl del suo clan? Il futuro doveva riservarle per forza qualcosa di degno. Lo si denotava dal suo comportamento ardito e determinato, dalla sua cocciutaggine e dalla sua pericolosa furbizia.
In lei Sturm rivedeva un pò quella che era stata l'importante figura di Jarl Froston.
Aslaug, la Baciata dal Fuoco: un nome adatto e dall'epiteto fiero, degno di un capo. Sturm se la immaginava spesso seduta su lo scranno da Jarl, a capo della sua gente, dei suoi guerrieri. Deteneva un portamento innato ed autoritario.
L'indomita, pericolosa e fin troppo sensuale Aslaug Baciata dal Fuoco.
Un grande futuro le si allargava dinanzi, promettente e glorioso.

Non proprio come quello di Sturm.
Il suo di futuro era ancora del tutto incerto seppur molto ambizioso.
L'unica cosa che gli sembrava essere sicura era il suo impiego, ma ultimamente neanche più quello.
Mercenario e combattente di ventura.
Il primo ruolo sembrava solo un vago ricordo. Sin da quando era giunto nelle Valli non si era mai imbattuto in qualche incarico che richiedesse forza bruta, un'armatura o anche una semplice scorta.
I lavori venivano sussurrati e poi persi tra le voci di corridoio del popolino.
Nessuno combatteva battaglie o semplice innocue schermaglie. Nulla di tutto ciò, niente di niente.
L'unica minaccia di cui aveva udito era riguardo un capo goblin di nome Rez di cui però si erano perse le tracce e le notizie.

Doveva compensare, rimanere con le mani in mano lo annoiava a morte, così si era gettato all'avventura.
Ed ogni volta era una scommessa impari: troppo da perdere e non molto da guadagnare. Il guadagno rappresentava sempre un azzardo, mai certo, e se c'era, mai troppo congruo.
Il costo era sempre alto ma non per questo per forza negativo. A Sturm piaceva mettersi alla prova. Le ferite segnavano la storia su di lui. Il sangue, la fatica ed il sudore erano il dazio da pagare per migliorarsi continuamente.

Questo genere di vita lo aveva portato ad imbattersi in una moltitudine di persone che come lui avevano scelto di darsi all'avventura, chi per gloria, fama e ricchezza, chi per riscatto personale o per redenzione. Le motivazioni, come le persone, erano molteplici.

Nell'ultimo periodo si era deliberatamente avvicinato con insistenza alla schiva figura di Sitkah.
Da quel che Sturm aveva capito quella donna doveva provenire dal Nord, o almeno da una terra molto simile a Ruathym in termini di clima e spietatezza.
Aveva delle sfumature che gli ricordavano un pò una ruathen eppure era qualcosa di meno, ma anche qualcosa di più. Di molto di più.
Il suo carattere schivo ed intrattabile avevano dato una prima impressione errata a Sturm, pensava che sarebbe durata poco, che nessuno si sarebbe potuto trovare a suo agio con una figura simile al fianco. E invece s'era dimostrata di tutt'altra pasta.
Non che fosse una sunita che mostrasse le sue bellezze alla gente ma era sicuramente diversa da quel che sembrava a prima vista.
Mantenendo sempre un portamento pacato e discreto s'era dimostrata un'ottima arciera, cacciatrice ed apripista. Cinica e pratica affrontava la situazione con indissolubile realismo, valutando bene ogni possibilità.
Ed era umile quanto bastava, senza ammettere ciò che molti le facevano notare: che aveva guadagnato uno spessore non indifferente tra coloro che la conoscevano, specialmente nel loro gruppo di ventura.
Spessore ed influenza.
Così tanta influenza da poter condizionare diplomaticamente alcune persone altrimenti intrattabili, peggiori di lei in momenti di foga e rabbia.
Ciò le era valso il fiero nomignolo di Domatrice.
Nomignolo che si impuntava di non meritare ma che secondo Sturm non le dispiaceva, non come le invadenti attenzioni che lui le riservava ogni qualvolta ce n'era possibilità.

[Immagine: 2n6c7qu.jpg]

Attenzioni che aveva anche riservato per una nuova aggiunta alla cricca che andava sempre più arrotandosi: Dyane la Skald.
Sturm era stato catturato sin da subito dall'aspetto di Dyane, affascinante di natura per il suo retaggio meticcio, e caratterialmente, decisamente più aperta e affine al ragazzone ruathen, diametralmente opposta a Sitkah.
Sturm aveva notato gli sguardi e le reazioni degli altri e non gli era sfuggito un certo senso di competizione che si era ridestato tra le donne del gruppo.
Fosse stato un altro momento lo avrebbe fatto notare a tutti, ma si ravvide dal farlo.
Ciononostante la presenza di Dyane aveva creato un certo scalpore, come giusto che fosse, ma il motivo principale risiedeva nel fatto che fosse una Skald, una cantastorie. E non c'era nulla di più inebriante per un ruathen avere al proprio seguito qualcuno che potesse raccontare con talento le gesta da lui compiute.
A Ruathym chi raccontava per sè e chi si autoproclamava epiteti veniva screditato o deriso al più. Il valore di un ruathen veniva enfatizzato se era qualcun altro a parlare, a testimonianza degli eventi accaduti.
I racconti nella cultura ruathen detenevano un gran potere, in grado di elevare ad eroe un uomo o, in casi peggiori, di affossarlo e dannarlo per l'eternità.
Dyane s'era subito dimostrata interessata a loro, per nulla preoccupata di far trasparire il suo interesse famelico per dei racconti degni di nota. Ed i ruathen, e non solo loro, non vedevano l'ora di dispensare i loro più svariati ed infiniti aneddoti.
Sturm l'aveva inquadrata un poco. Gli piaceva il suo modo di fare e di pensare. Era una persona a cui piaceva sporcarsi le mani così da poter vivere al meglio ogni avventura e raccontarla, se possibile, con più particolari e realismo possibili.
Dyane poteva essere la loro più grande fortuna: era come se in mezzo ad una fitta coltre di nebbia si fossero stanziati i profili sfocati dei cancelli per il Campo della Gloria Eterna. Dyane era la luce che li avrebbe guidati fin là, ed era anche la chiave che avrebbe loro aperto i cancelli.
Il tutto stava nel compiere qualcosa degno di un racconto. A Ruathym il tutto veniva tramandato oralmente poichè l'atto della scrittura era considerato blasfemo e disonorevole. Ma in quel momento non erano sulla fredda ed inospitale isola di Ruathym.
Si trovavano su Faerun, dove libri, inchiostro e parole vergate avevano un grandissimo valore: parole che avrebbero formato racconti, che sarebbero poi divenuti leggende, ed infine miti.
Non pensava ad altro Sturm.
O forse sì, pensava anche ad una Dyane che fuoriusciva dalle acque termali in tutta la sue seducente femminilità meticcia. Luccicante d'acqua.
Senza veli.

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Come quei tre che più in là nella stanza, dati i grugniti vigorosi e i promiscui gemiti di piacere, dovevano darci dentro di santa ragione.
Se la stavano spassando alla grande.
Sturm imprecò a denti stretti.

Quanto li invidiava.
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#24
XXIV

Mistledale.

Lo aveva capito ormai, di essere un cucciolo in mezzo ad un branco di predatori vissuti.
Le prove le riportava sul corpo, livido in più punti.
Nulla che non avesse già sperimentato su pelle: Ffolk era solito dirglielo sempre «Tu Sturm hai forza, tanta forza ma ti manca una cosa essenziale, la tecnica. Sei prevedibile. E chi è prevedibile è facile da raggirare. Sei grosso, jau, puoi resistere ma non all'infinito. Sai qual è la miglior difesa?»
«No, il muro di scudi?»
«No, no. L'attacco. Chi mena per primo, mena due volte!»

All'inizio Sturm non aveva capito ma dopo svariate risse da cui ne era uscito malconcio aveva compreso quel che volesse intendere Ffolk. Un'azione compiuta prima degli altri aveva un maggior effetto di una compiuta invece di riflesso, per reazione.
La sfilza di sconfitte andava sempre più dilungandosi.
Non una novità.

«Vuoi imparare?! Allora cadi e impara ad alzarti!» le parole di Berrion risuonavano frastornanti nelle orecchie. Rialzarsi. Sempre.
L'autostima e l'orgoglio giocavano un ruolo fondamentale: avesse ceduto alla depressione il baratro dell'alcolismo lo avrebbe atteso al varco, pronto per accoglierlo e farlo cadere, sempre più giù.
Si riteneva contento e fortunato di essere cresciuto a Ruathym. Lì si era formato non senza subire svariate batoste. Per un guerriero come lui era essenziale menare forte, sì, ma anche subire e rimanere in piedi.
Molti di coloro che ultimamente lo accompagnavano reagivano sempre in maniera esagerata alle ferite, ma il mondo reale era così alla fine e si poteva riassumere in una piccola regola di vita: le botte si danno, le botte si prendono.
Il tutto appunto, stava nel riuscire poi a resistere.

Non ricordava più quanti pugni, calci e manate avesse preso e da chi. Era tutto un oblio.
Suo padre.
Sua madre.
I suoi amici.
I suoi compagni d'arme.
Le sue compagne.
Rasten.
Denim.
Persino lo smilzo Finn, così rachitico e dall'aspetto floscio.
Tapper, che insieme a Ffolk e a Jarl Froston era stato uno dei peggiori.
E poi tanti altri.

«Quel che non uccide, fortifica. Le ossa torneranno più forti di prima. I muscoli, bè, quelli dovrai lavorarci su anche se non mi pari messo male in quel senso eh?» Erlend dispensava perle di saggezza. Ma anche lui era nella lista dei vincenti. Ed era stato l'unico a stenderlo con un sol colpo ben mirato.

Gli ultimi ad inserirsi con una certa facilità nella lista erano stati Fjolnir e poi Aslaug, in questo preciso ordine.
Sturm lo ammetteva a se stesso, aveva peccato di superbia: era convintissimo di far meglio, di rivelarsi una sorpresa che non si aspettavano.
Vani sogni illusori.
La dura realtà fu un'altra.
I due si vedeva viaggiassero da tanto tempo insieme, le tecniche seppur dissimili un pò richiamavano qualcosa dell'altro. Come per le schivate: erano riusciti entrambi ad eludere la presa di Sturm, chi scartando semplicemente di lato, chi sgusciandogli da sotto le grosse braccia.
Poi erano arrivate le percosse: forti, precise e veloci.
Lo avevano pestato come una zampogna, se qualcuno gli avesse camminato sopra avrebbe sicuramente potuto spremergli il colpo per farne uscire un pò di polpa.
Si sentiva esattamente come l'uva in tempo di vendemmia.

Fjolnir si era scatenato in una raffica di colpi, deciso e concentrato. Aveva confermato le aspettative di Sturm, forse anche troppo. In lui risiedeva il tipico animo del guerriero semplice e spontaneo. Combatteva se doveva o se gli interessava farlo, per il resto pareva voler condurre una vita pacata, se si escludevano i fumanti colpi di rabbia che lo accendevano.

Aslaug se possibile era stata più strafottente. Con tutto che fosse ancora ferita per dei precedenti scontri aveva sfidato Sturm che senza pensarci due volte l'aveva accolta.
Il risultato fu il medesimo che per Fjolnir, soltanto con più velocità.
L'ultimo colpo in particolare gli aveva quasi spaccato la mascella. Sturm la sentì scrocchiare pericolosamente e quasi istantaneamente un forte bruciore andò a conficcarsi violentemente come una lancia fino al cervello.

Due sonore sconfitte, come se nulla fosse passato lungo il cammino di quei due ruathen. Era stata una semplice foglia che Fjolnir e Aslaug avevano calpestato procedendo sul loro sentiero.

La rabbia per la sconfitta c'era, quella non mancava mai. Il rodimento alimentava sempre più l'animo impetuoso.
E forse qualcosa, pensieri mai tratti prima, stava prendendo forma.
L'oscura consapevolezza di dover far qualcosa, qualsiasi cosa: sarebbe stato disposto a far di tutto pur di migliorarsi.

Ora risiedeva nella sua camera di locanda, seduto a terra poggiato con l'ampia schiena al bordo del letto, la testa piegata all'indietro.
Aveva sborsato non ricordava neanche lui quanto per acquistare dei grossi pezzi di carne fresca da applicare sul corpo livido.
L'oste l'aveva ridestato nelle terme, dove si era appisolato scompostamente, appeso al bordo della vasca, ancora stordito e affranto fisicamente per le lezioni subite.
«Ehi! Ehi! Dannazione! Svegliati!» gli aveva tirato su con insistenza il grosso braccio.
«La....
do...
ve...
te..!
Pian...
ta...
re..!
Di..! 
Com..
bat...
te...
re...
QUI!»
Per ogni sillaba era corrisposto uno schiaffo dietro il capo ciondolante di Sturm. Ma alla fine, seppur a fatica, riuscì ad alzarsi e a tornare barcollante nella propria stanza, ignudo, con la propria roba arraffata alla bell'e meglio tra le grosse braccia.

Unica amara e mera consolazione? Avevano combattuto completamente nudi.
E Sturm s'era distratto un poco. Non per Fjolnir ovviamente.
Ma per la Baciata dal Fuoco.

Rise infine, isterico, sommessamente.
Rise, sì.
Per non piangere.
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Cita messaggio
#25
XXV

Mistledale.

Sturm non si considerava un uomo, un ragazzo, dall'animo buono e gentile, men che meno un illmaterita. L'altruismo per lui aveva uno strano significato che affossava nell'opportunismo: c'era da mostrarlo solo per quelle persone che reputava degne o utili, che potessero contribuire alla sua causa in qualche maniera, o che potessero rivelarsi ottimi alleati.
Non era certo tipo da porgere la mano a chi che sia, anzi, la sua indole da ruathen gli imponeva di lasciare i deboli alla mercè della vita: avessero trovato la forza si sarebbero rialzati per affrontare di petto il loro destino.
Un continentale lo aveva definito un ragazzone dallo spiccato spirito di cameratismo. Ovviamente Sturm dovette farsi spiegare cosa volesse dire e solo dopo potè concordare: non c'era legame migliore e ferreo di coloro che combattono fianco a fianco, a lungo, per una causa comune.
Sturm aveva combattuto a fianco di molti uomini e donne. Di nani, e persino  alfar. Mezzelfi e addirittura mezzidrow. Ma non con tutti aveva sviluppato un legame tale da spingerlo a fare di più, a sacrificarsi, per proteggere la vita dei propri compagni.
Il più delle volte si trattava solo di cinico opportunismo o brutale istinto di sopravvivenza: se fosse caduto il fianco, durante una battaglia, sarebbero stati aggirati e fiancheggiati; se fossero caduti in troppi il numero esiguo avrebbe permesso al nemico di circondarli.
Le situazioni estreme tiravano fuori il lato peggiore dell'uomo, o di qualsiasi altro essere vivente: e questo a Sturm non dispiaceva, anzi piaceva alquanto.

Nel gruppo a cui si era ancorato vigeva la stessa situazione presente durante i suoi viaggi nel continente. Con alcuni, almeno da parte sua, sentiva di avere o di star formando un forte legame. Nonostante gli attriti e altri vari asti c'era del cameratismo che quasi si poteva percepire al tatto.
Sturm lo vedeva nei gesti, nelle parole e nelle attenzioni.
Sicuramente tra alcuni di loro c'era un più piacevole affiatamento ma l'intesa generale andava sempre crescendo.
Soprattutto in uno specifico caso che aveva completamente disorientato Sturm.

Senza accorgersene s'era ritrovato a compiere un favore per un membro di quel gruppo. Un favore che aveva mascherato per una propria necessità personale.
Il tutto era scaturito da una maliziosa curiosità che era poi mutata in una presa di coscienza nettamente più reale, che aveva toccato Sturm nel profondo.
Capiva il disagio di quella persona poichè anche lui provava ancora una cosa simile su pelle, ogni tanto nella notte, che lo ridestava di soprassalto spingendolo a boccheggiare in cerca d'aria.
Aveva avanzato una proposta. Il rifiuto che ne seguì non aveva scalfito Sturm più di tanto, era abituato a tante cose negative, ma la sua cocciutaggine l'aveva portato comunque a compiere un gesto di cui più in là si sarebbe meravigliato.
Altruismo?
Cameratismo. Se lo ripeteva spesso, come a convincersene.
Si trattava di un membro del gruppo che andava sempre più affermandosi per le sue doti, sia in territorio ostile che in quello diplomatico, tra di loro. Una sorta di paciere. 
La fitta brina, gelida, che cala placida sulle fiamme ardenti, soffocandole ed infine estinguerle.
Ormai era un dato di fatto che le sue parole avessero un peso non indifferente, prove concrete e strabilianti ne erano la testimonianza.
Era essenziale che una persona del genere avesse una mente libera e che potesse soprattutto riposare come si deve. Stanca e distratta non avrebbe portato altro che intoppi all'intero gruppo.

Contro ogni aspettativa, che per Sturm era andata ormai persa, il ragazzone ruathen si era ritrovato a condividere la stanza in locanda. Quello di troppo ovviamente era lui.
Aveva preparato un giaciglio sul pavimento legnoso, rispettando quanto aveva proposto in precedenza giorni prima.
«Non fare fesserie. Dormi sul letto anche tu, è abbastanza grande da poter far entrare entrambi, senza stare uno sopra l'altro»
Lo sguardo di Sturm fu evidentemente troppo esplicito poichè venne richiamato all'attenzione.
«Sturm, senza stare uno sopra l'altro». Il ragazzone borbottò ma già che non gli toccava più dormire a terra era qualcosa.

Il bicchiere con la tisana era stato completamente svuotato. Sturm, come colei che era con lui, non nutriva chissà quante speranze ma sarebbe stato ad osservare la reazione di lei.
Si addormentarono sul letto, tutti e due, uno di fianco a l'altro, ma separati.
Sturm era disteso in tutta la sua lunghezza con indosso un completo molto blando, di lana, senza maniche. Aveva le braccia piegate, le manone congiunte dietro la testa, e le gambe incrociate all'altezza delle caviglie.
Per un attimo fu tentato da quella curiosità che lo aveva acceso fin dall'inizio ma poi scosse leggermente il capo.
I pensieri andarono al planetario.
Era stata lei a mostrarglielo dopo che era stata condotta lì da Renfri.
Chissà perchè pensava che sarebbe piaciuto a Sturm?
Chissà perchè aveva preso la decisione di mostrargli quel posto così fantastico?
Sturm ci si era perso completamente, tornando quel bambino dagli occhi stralunati e la bocca spalancata mentre ascoltava le leggendarie storie dei più grandi combattenti ruathen.
Stava guardando l'immensità che li circondava, che circondava tutto Faerun. Come era possibile? Chi era l'uomo che era riuscito a salire fino al cielo per poi scovare ogni angolo di quello spazio infinito e a ricrearlo in scala? 
La casa degli Æsir.
C'era la pallida Selune seguita dalla sua fitta schiera di lacrime. E più in là la Luna Nera, sua sorella. Sturm ipotizzò potesse essere la dimora della Morrighan. Sembrava adatta.
E poi le stelle e altri miriadi di astri, sospesi nell'aria, fluttuando.
Si era sentito tutto un fremito e quindi aveva deciso di togliersi un sasso dallo stivale.

Romantico l'aveva definito.
Ma quando mai? Uno come lui era tutto fuorchè romantico. Poteva esserlo certo, ma non lo era in quel momento. I continentali erano complicati e anche facili alla confusione.
Evitò di smontarle l'impressione che aveva avuto di lui per un semplice commento degli occhi.
Evitò di dirle quanto poco romantica fosse la scena che aveva in testa: armatura e abiti sparsi a terra mentre due corpi nudi andavano intrecciandosi, invasati, tra loro, circondati dall'intero astro magico ricostruito con estrema fedeltà.
Sarebbe stato un amplesso letteralmente spaziale.
Ma Sturm evitò di esporle quanto la sua mente perversa aveva partorito.


Era da considerarsi proprio un ammasso di muscoli e testosterone col dono della parola. Dyane l'avrebbe descritto così, ne era sicuro.

Dovevano essere trascorse delle ore quando Sturm si accorse che la vicina di letto stava agitandosi nel sonno.
La tisana aveva avuto poco effetto, serviva qualcosa di più potente e duraturo.
La osservò un pò agitarsi non perchè potesse godersi lo spettacolo ma perchè era indeciso sul da farsi.
Doveva svegliarla? Era meglio farle preparare un'altra tisana con quelle erbe?
Quanto odiava quelle situazioni di incredibile indecisione, lui che faceva della propria risolutezza uno dei suoi punti forza maggiori.

Sospirò indugiando sulla testa della ragazza.
Capii e il ricordo del tocco della sua mano sulla propria tornò più vivido che mai.
Era una situazione che per altri sarebbe stata semplicissima, ma per Sturm era un vero e proprio enigma, un azzardo.
Tuttavia giunse comunque ad una decisione.
Al mattino era sicuro che lei avrebbe fatto storie, infuriandosi. Valeva la pena tentare.

Era rannicchiata, tremante, l'espressione corrucciata e sofferente.
Decise di tentare di darle conforto nell'unico modo che gli era possibile fare.
La cinse con fermezza, con le proprie braccione, circondandole le spalle, accostandosi a lei.
Sturm ne inalò la fragranza di menta ed eucalipto che tanto la contraddistingueva.
Premeva nel suo abbraccio di marziale conforto, come si fa per un compagno in preda al pianto più scrosciante o all'incubo più peggiore.

Rimase sveglio per tutto il resto della notte, fino all'alba.

Stupido sciocchino romantico altruista.

«Solo cameratismo».
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#26
XXVI

Sturm punzecchiò con la punta dello stivale il grosso cadavere che era riverso a terra, nel mezzo di una larga pozza scura di sangue che aveva arrestato la sua espansione.
Puzzava. Per gli dei se puzzava e Sturm ne aveva sentiti di odoracci ma quello, per tutti Æsir, per Hel e per la Morrighan era il peggiore che avesse mai sentito.
«E comunque questo di orso nero ha solo la pelliccia addosso Rotto. Volevi farci scannare come dei vitellini eh?»

Prima di lasciare Neverwinter il signor Otto, o Rotto che dir si voglia, aveva concesso ai tre ruathen di equipaggiarsi per la caccia. Il bersaglio era un grosso orso nero, per cui, consci di vecchie esperienze di caccia, acquistarono reti, rampini e tanto cordame, lungo e resistente.
Usciti dalla prigionia non era stato dato loro il permesso di riprendere i loro effetti personali. In fin dei conti quella che avevano era attrezzatura che apparteneva al Capitano Morgan e alla sua Maelstrom.
Dovettero riarmarsi e con gran perplessità di Otto, che ovviamente rimaneva sempre molto alticcio, optarono tutti per delle picche, abbastanza lunghe per tenere a distanza il nemico. Ne acquistarono almeno tre per cranio. Presero dei rostri ben appunti e tagliole da piazzare in punti strategici qualora avessero trovato il luogo ideale dove spingere o attirare la preda e quindi combatterla. 
Poi vennero le armi a distanza.
Ffolk e Sturm scelsero delle pratiche e numerose asce da lancio. Utili e più maneggevoli per dei forzuti come loro.
Erlend invece scelse una macchinosa ma devastante balestra pesante.
Otto perse il conto delle monete d'oro che dovette sborsare, piagnucolando sul fatto che gliene sarebbero rimaste molte poche per pagarsi da bere se non fossero riusciti ad abbattere quell'orso.

Lasciata la famosa Neverwinter a cui spesso a Ruathym si faceva riferimento, col nome di Eiggerstor, per future ed eventuali gratificanti razzie, il trio ruathen guidato da Otto, sopraggiunse ad un modesto campo stanziato al limitare di quello che conobbero come Bosco di Neverwinter.
Lì ad attenderli c'erano un folto gruppo di persone e dal baluginare che riuscirono a scorgere, i tre capirono che c'era la presenza di armi ed armature. Che però ovviamente non erano riservate a loro.
«Otto, ce ne hai messo di tempo. Chi sei riuscito a trovare mh?»
A farsi avanti era un uomo adulto, sulla quarantina, dal portamento marziale. Aveva i capelli corti e il volto deturpato da una brutta cicatrice riportata sicuramente durante qualche scontro armato. Indossava un'armatura munita di numerose piastre inframmezzate da una serie di bande.
L'espressione sul viso, seppur critica e distaccata, tipica di chi comanda e non vuole abbandonarsi a legami di sorta, malcelava un certo sprezzo generale.

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«Siuor Erik, cuome puodete vuedere ecco altre fuorti bruaccia» la mano cicciotta di Otto si mosse in un gesto teatrale a mostrare i tre ruathen rimasti in linea, impalati e perplessi.
Sul petto, all'altezza del cuore, Sturm lo notò solo dopo, colui che rispondeva al nome di Erik aveva fatto saldare una banda verticale, spessa, di un rosso acceso, a mo di medaglia decorativa, o forse di riconoscimento.
Erik parve valutarli e mosse il labbro. La bocca gli si distorse in una sorta di smorfia colma di disprezzo.
Ma era l'effetto dovuto alla cicatrice? Sturm non lo chiese. Erlend lo guardò di sottecchi, eloquentemente, assestandogli una gomitata nel costato. Doveva stare zitto.

Sopraggiunse poi anche una mezzelfa dal portamento vispo, ed andatura decisa. Era mora ed un paio di trecce le scendevano oltre le spalle di lato, sobbalzando lievemente ad ogni passo. Due occhioni accesi, colmi d'attenzione ed ovviamente un paio di orecchie che terminavano a punta, caratterizzando così il suo sangue meticcio.
«Tenente Erik siamo pronti?»
Vestiva abiti leggeri, di cuoio borchiato, comodi e pratici. Gli stivali talmente sporchi da far intendere fosse una gran viaggiatrice. Anche lei sul busto, sulla marroncina livrea di lana che le ricopriva il torace e la protezione di cuoio, era ricamata una grande banda rossa.
«Si Giggle. Riunisci gli altri e guidaci».
Giggle ridacchiò furba e trotterellò via, ancheggiando.
Tre ruathen, sei occhi. 
Tutti fissi su quella vita stretta e quei fianchi ondeggianti.

A partecipare alla caccia in tutto dovevano essere almeno una dozzina. V'era un altro uomo in armatura pesante che si accompagnava al Tenente Erik, anch'esso riportante una banda rossa sull'usbergo, all'altezza del cuore. C'era Otto, c'era Giggle che li guidava attraverso il bosco. E poi altri cinque figuri. Tutti uomini dal fisico prestante.


La mezzelfa condusse quella banda così malamente assortita nei meandri del Bosco di Neverwinter, facendo tappa in alcuni piccoli villaggi che trovarono sul percorso.
Procederono in fila da due, Sturm affiancava un Otto il cui alito lo stava uccidendo.
Quasi esultò quando Giggle informò il gruppo di essere arrivati a destinazione.

Era una radura nel bel mezzo del bosco con una grossa caverna piazzata là al centro, come fosse caduta dal cielo. Possibile fosse così facile cacciare sul continente?
Un ruggito disumano strappò Sturm dalle sue riflessioni.
Otto singhiozzò, sobbalzò e per poco non si strozzò da solo con la sua stessa saliva, cominciando a tossire forte, assumendo sempre più un colorito violaceo sul cicciotto e barbuto volto rubicondo.

Il Tenente Erik quindi parlò, autoritario: «Voi otto, posizionatevi avanti e circondate l'ingresso. Preparatevi a scagliarvi contro qualsiasi cosa esca di lì!»
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#27
XXVII

Peldan's Helm.

Il soggiorno nelle Valli stava facendosi sempre più ostico.
Fin dal giorno della condanna Sturm era stato portato a rassegnarsi alle peggiori ingiurie che un uomo potesse lanciargli. L'adattamento era stato difficile, soprattutto per uno come lui che era abituato a rispondere pan per focaccia.
Troppo e stupidamente orgoglioso non era proprio avvezzo a soffermarsi sulle conseguenze delle proprie azioni.
Uno smacco subito richiedeva una lezione che in molti dei casi si traduceva in una furente rissa.
Risse da cui non sempre usciva vincitore e che anzi, come gli faceva notare Renfri, ultimamente e in maniera petulante tanto da farlo irritare all'inverosimile, riservavano un esito sempre fallimentare.


L'ultima onta era giunta da Lore.
Sturm lo aveva nel proprio mirino, voleva misurarcisi ma quella sera a legarli era stata la provocazione ed una rabbia reciproca.
Cane contro cane.
Ma per chi marcavano il territorio?
Sturm non voleva di certo apparire tollerante davanti a insulse insinuazioni nei suoi confronti. Ronda lo aveva ripreso spesso, e gli aveva consigliato di non ribattere ad ogni osservazione che non coincidesse con la sua. Il fatto era che non si trattava di osservazioni ma di sottili critiche beffarde o velate minacce. E questo Sturm ancora non riusciva a gestirlo.
Gestire la rabbia furente che montava ogni volta. Il prurito alle mani. Il respiro più veloce e vigoroso.
S'era innescata una rissa, poi sedata dal repentino intervento magico di Mikael.
Due soli cazzotti, e tanta agitazione.
Per qualche istante Sturm aveva respirato di nuovo l'aria pungente di Ruathym.

Ma cosa c'era alla radice di tutta la situazione?
Lei.
Quel vortice oscuro.
Di rabbia omicida e fervente desiderio.
C'era la sua mano nel mezzo di tutto. Dove c'era lei, c'era scompiglio, la caoticità più totale.
Era qualcosa di inevitabile. E persino Darsa, che sicuramente tranquilla non era, ne veniva risucchiata via di tanto in tanto.

Sturm non era un codardo ma non per questo non provava paura.
Durante la sua breve vita ne aveva avuta tanta, molte volte - soprattutto se scaturita da incantesimi magici che lo paralizzavano del tutto gettandolo nel terrore più assoluto -.
Quando non era la magia a suscitare una paura estrema Sturm riusciva a mascherarla sempre con un forte istinto di sopravvivenza che lo portava a fare di più. Odiava e adorava al tempo stesso quella sensazione: quella frenesia che gli si irradiava per tutto il corpo, acutizzando tutti i sensi, mostrandogli il mondo sotto un'altra più chiara luce.
Ma quella sera si dovette ricredere.


Catturato da quei due pozzi scuri non potè distogliere lo sguardo. Non subito.
In quei due buchi neri vide solo un oblio senza fine, mortale, fautore di sofferenza inimmaginabile.
Era uno sguardo diverso quello di lei, normalmente sprezzante e sufficiente.
In quel momento era fin troppo deciso e serio, capace di instillare alla tiefling un'aria diversa, minacciosa.
Così minacciosa che alla fine Sturm non riuscì più a sostenere lo sguardo.
Deglutì chinando la testa per liberarsi di quell'oscurità che gli aveva annebbiato anche la mente.


Per qualche fugace istante si era come sentito circondato da almeno trentadue paia di occhi neri che parevano sondarlo a fondo, sollevandogli la pelle, squarciandogli le carni, violandogli i più profondi antri della mente.
Non s'era mai sentito così vulnerabile davanti uno sguardo, così scosso ed impaurito.
"Dove sei Sturm?! E' solo una cagna con le corna, rialza quello sguardo. Spezzale il collo. Lo hai già fatto altre volte, non ti costa niente rifarlo"
"Trentadue. Li vedi? Trentadue! Non riesco!"

Trentadue sguardi determinati, accesi da una luce di follia ed eccessi, che continuavano a conficcarsi dentro di lui come tanti spilli, martoriandogli corpo e animo.

Sturm ci mise un bel pò a riprendersi e il burrascoso diverbio avuto con Lore lo aiutò a smaltire quella brutta sensazione che lo attanagliava.
Ma mentre che litigava, che imprecava e subiva l'ennesimo duro cazzotto sullo zigomo, i suoi pensieri erano rivolti a lei, alla tiefling.

Majuk.
Majuk Zarhkath.

Sturm aveva provato nei suoi confronti un viscerale timore che gli aveva fatto annodare le interiora.
Tuttavia confermò quello che stava ricercando in quella pericolosa ed odiosa figura.
Era la persona giusta, l'unica forse, che poteva sottoporlo all'addestramento - o tortura, se si voleva vederla con occhio più realistico - che andava cercando.
Doveva armarsi di molta pazienza e di molto coraggio che sperava di trovare neanche lui sapeva dove.
Intanto, prima di tutto, era necessario capire se fosse stata anche solo disposta ad avercelo di fronte.
Alla meglio, non l'avrebbe riconosciuto, come sempre. Alla peggio avrebbe fatto uso dei suoi singolari poteri magici.

Trasse un bel respiro che a nulla valse per scrollarsi di dosso quella sensazione assordante.

Trentadue.


R
E
N
T
A
D
U
E. 
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#28
XXVIII

La mostruosa creatura uscì dall'antro oscuro.
L'orso nero uscì dalla grotta.
Ysgithr l'Orso Nero, proruppe ruggendo mostruoso dalla sua tana.

Ysgithr era una parola dal forte idioma illuskan, a Ruathym veniva utilizzato per indicare quegli animali dagli istinti particolarmente violenti ed omicidi, o per la forgiatura di temibili spade lunghe destinate a quei ruathen che avevano conquistato tanta gloria da potersene permettere una.
Ysgithr: Zanna in lingua comune.
Ed effettivamente Ysgithr possedeva due zanne veramente lunghissime, affilate, giallastre, che emergevano all'insù, minacciose e fiere, dalla sua mascella butterata.
Sul capo da cui si riuscivano a distinguere oltre che le vistose zanne anche due piccoli occhi maligni cremisi, era agganciata l'estremità dello scalpo peloso di un orso nero, che ricadeva in avanti a dar l'impressione di star a fronteggiare un vero e proprio orso, mastodontico, dalle letali fauci perennemente aperte in un ruggito senza fine.
Il manto di pelliccia poi continuava a scendere, appiccicato alle spalle di quello che alla fine era un grandissimo troll e quindi lungo la sua ampia schiena.
Uno spettacolo terribile ma allo stesso tempo glorioso.

Giggle, dopo lo scontro, raccontò loro la breve storia di quella creatura bestiale: Ysgithr doveva essere migrato recentemente dalla Frontiera Selvaggia, da solo, disperso o emarginato dal suo branco di razziatori. Aveva invaso il Bosco di Neverwinter attaccando dapprima la fauna locale e poi gli sventurati che gli capitavano a tiro conquistandosi e marcando un'ingente porzione di territorio che non era passato inosservato ai più. Inizialmente era conosciuto solo come Ysgithr, proprio per le sue enormi zanne che lo contraddistinguevano, poi, da dopo la violenta e schiacciante vittoria riportata su Duh, un grosso orso nero crudele che infestava la zona e che rappresentava per i cacciatori più arditi una preda a dir poco ambita, al troll era stato assegnato l'epiteto di Orso Nero.
Un testimone oculare, un cacciatore anzianotto decrepito, aveva raccontato di come Ysgithr si fosse scontrato con Duh e di come, afferrandogli il muso irto di piccole punte d'osso aguzze, gli avesse allargato le fauci e con forza strappato via la mascella in un'esplosione di sangue.
Ysgithr da quel giorno divenne ancor più temerario, non più limitandosi a difendere il proprio territorio ma recandosi proprio a cacciare qualsiasi cosa potesse ritenere essere un tesoro.
Si macchiò di numerosissime vittime, senza distinzioni di sesso, razza, età o religioni. Sembrava proprio che la natura del troll e quella del grosso orso crudele si fossero fuse a comporre un mostro ancor più bestiale.
Tra le vittime si annoverano due giovani mezzelfi, fratelli, e figli di un nobile di media levatura che, dopo la scomparsa prematura della moglie elfa, morta anch'essa insieme ad un esiguo gruppo di spavaldi avventurieri per vendicare la morte dei figli, sempre per mano di Ysgithr, era riuscito ad emettere una taglia alquanto cospicua che però non parve riscuotere l'interesse previsto.
In zona tutti avevano paura di Ysgithr l'Orso Nero.
Le adesioni alla taglia erano sempre giunte dagli stranieri che tuttavia non tornavano mai per poter riscuotere la taglia. C'era poco da presupporre sul loro destino: o erano fuggiti o semplicemente erano stati brutalmente ammazzati.


Gli ultimi ad interessarsene furono il Tenente Erik con la sua esigua banda. Avevano astutamente circoscritto gente resistente e soprattutto straniera con la mera scusa di una caccia all'orso. E' vero, la caccia ad un orso rappresentava un pericolo non indifferente ma quando ad aspettarti c'era una paga consistente valeva la pena mettersi in gioco. Un alto numero di partecipanti si traduceva automaticamente in più alte probabilità di riuscita ma sopratutto anche di sopravvivenza. Il pensiero comune era " Tra tutti quelli che siamo devo finire ammazzato proprio io"?
Un fatalismo altruistico che metteva da conto delle morti, ma non di certo la propria.

E dunque eccoli là, gli otto sventurati, malamente equipaggiati, posti in prima linea come carne da macello.
All'unisono, con sorpresa di tutti i presenti, i tre ruathen reagirono a quella vista quasi con fragrante gioia: «Ah! Un troll?!» «Un troll!» «Per gli Æsir un troll, ah!»
«Attaccatelo per amor degli dei! Fatevi avanti e colpitelo!» il Tenente Erik sputò autoritario l'ordine di avanzare.
I tre ruathen non se lo fecero ripetere due volte: caricarono con appresso gli altri cinque, che, troppo intimoriti da quella gigantesca presenza avevano lasciato che fosse qualcun altro a fiondarsi per primo contro quel mostro.
Ysgithr però non era certo un troll stupido. Nel suo sguardo rilucente e spietato si poteva leggere una sottile furbizia di comprensione.
Brandendo un'enorme mazza di legno a cui aveva legato componenti acuminati d'acciaio di ogni tipo il gigantesco troll vibrò un colpo laterale volto a spazzare via in una sola volta tutti i suoi nemici. Riuscendoci.
Tutti, nessuno escluso, volarono via, chi in un modo, chi in un altro.
Erlend era riuscito a rimanere in ginocchio con una picca già fuori uso, spezzata a metà. Ffolk, poco più a lato di lui si era già rimesso in piedi dopo aver sputato un grumo di sangue, riprendendo la carica.
Sturm s'era ritrovato dalla parte opposta alla loro, sdraiato di schiena ancora disorientato, di fianco al grosso troll che si preparava a fronteggiare di nuovo quello che aveva individuato come bersaglio più pericoloso: Ffolk.
Si tirò in piedi aggrappandosi alla picca e imprecando tornò alla carica anche lui.
La spazzata del troll aveva sparso gli attaccanti tutti intorno alla radura, di fatto, in parte, facendosi circondare.

Non tutti però rialzandosi avevano ancora la stessa voglia di fronteggiare un mostro simile. In tre tentarono di fuggire a gambe levate. Uno solo di loro venne raggiunto dietro al capo da una freccia scoccata con precisione da Giggle, a mo di monito per gli altri due. Potevano sicuramente morire fuggendo oppure combattere e magari sopravvivere.
I due tornarono indietro unendosi alla carica degli altri.
Otto andò rapidamente ballonzolando con il suo ventre prominente a controllare le condizioni del fuggitivo colpito con micidiale precisione. Era morto e non c'era niente da fare.
Giggle ammiccò e fece schioccare la lingua in una smorfia di soddisfazione, ridacchiando poi.

Lo scontro intanto proseguiva con picche che andavano a conficcarsi nelle carni verde nerastri del troll, con piccozze e martelli che andavano a spaccare e frantumare ossa.
Ma i troll, come avevano insegnato le leggende di Ruathym, erano dotati dell'oscuro potere di rigenerare le ferite subite. Ffolk ed Erlend erano gli unici in grado di assestare abbastanza velocemente colpi che potessero danneggiare realmente Ysgithr, ma non bastavano.
Sturm riuscì a trapassargli una coscia, da parte a parte con tutta la picca che poi si spezzò quando l'Orso Nero si voltò ruggendo colpendolo sul volto e sul torace col dorso della mano.
Il ragazzone ruathen volteggiò letteralmente per aria, schiantandosi con un colpo di schiena contro un tronco. Gli si spezzò il fiato ed una fitta bruciante gli avvampò tutto il corpo. Ricadde a terra boccheggiante, colluso ma ancora vivo. Forse s'era rotto qualche costola, o di nuovo l'anca e la gamba. Non seppe dirlo.

Ysgithr intanto con una violenta mazzata colpì il ginocchio di Erlend, spaccandogli l'osso e facendogli perdere l'equilibrio. Il colpo successivo gli avrebbe sfracellato il capo raso ai lati, privo di barba, se non fosse stato per l'intervento tempestivo di Ffolk ed altri due stranieri che arpionarono il grosso braccio del troll in procinto di assestare il colpo mortale.
In un moto di rabbia selvaggia Ysgithr afferrò Ffolk con presa ferrea sollevandolo da terra. Gonfiò e poi contrasse il braccio e Ffolk urlò come Sturm non aveva mai udito prima, poi si sentì uno schiocco sonoro e sinistro, quindi il massiccio ruathen venne gettato a terra con forza.
Ffolk  era ben lungi dall'essere morto ma aveva una spalla scomposta, con l'osso che fuoriusciva.
L'Orso Nero prese furibondo a mulinare la sua rozza mazza cominciando a mietere vittime. Nonostante tutto i tre ruathen ripresero a combattere, in preda alla rabbia, al dolore e alla frenesia estasiante del combattimento. Stavano compiendo il loro destino.
Ma il numero non li favoriva, ogni colpo di Ysgithr assottigliava le loro fila già poco nutrite.

Fu poi con un prorompente e lungo squillo di tromba, emesso dal corpulento Otto - che doveva avere un diaframma non indifferente - che il Tenente Erik insieme al suo collega d'armi, pesantemente corazzato, entrò in scena mulinando spada e scudo.
Anche Giggle partecipò.
Ed il signor Otto cominciò a salmodiare nenie che parevano proprio essere preghiere, temprando gli spiriti e rendendo più forti e decise le braccia che colpivano la mostruosa creatura.

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Un altro colpo investì Sturm, questa volta all'altezza dei dorsali. Una punta acuminata gli bucò un fianco, spaccandogli al contempo qualche osso. Erlend continuava a combattere da terra: aveva puntellato la terza picca al terreno e l'aveva conficcata all'addome del troll di fatto impalandolo e immobilizzandolo sul posto. Ffolk menava colpi energici col braccio sano impugnando un martellone recuperato da uno dei cadaveri.
Arrivò una freccia infuocata sul petto del troll; questi si infuriò ancor di più e sollevandosi sulla punta dei piedi esplose un colpo verso il terreno centrando in pieno il collega corazzato del Tenente Erik. A terra s'era formata una poltiglia rossa che macchiava il terreno e l'armatura brutalmente deformata di chi l'indossava.


Dai guaiti che Ysgithr cominciò ad ululare era chiaro che fosse allo stremo delle forze. In un ultimo gesto impetuoso Sturm trovò la forza di sollevare la picca e conficcarla dietro le scapole del troll, ricoperte dallo spesso pelo di orso nero. Il colpo trapassò tutto e la picca rimase conficcata, con Sturm appeso sopra, esausto anche solo per rimanere in piedi.
Ffolk si era aggrappato ad una zanna, circondandola col proprio braccione, tenendo la testa del grosso troll sporta in avanti. Erlend da sotto le schifose e puzzolente virilità di Ysgithr colpiva quest'ultimo tagliuzzandogli i legamenti dei piedoni.
Il Tenente Erik parava e schivava con estrema lucidità i colpi del mostro, rispondendogli con ampi tagli di spada tracciati sul petto e sull'addome.

Ysgithr l'Orso Nero tentò il tutto per tutto e si scrollò tutti di dosso, liberandosi di qualsiasi cosa, ruggendo furente e spazientito. Ma non aveva fatto i conti con le frecce.
L'ultima, precisa ed infuocata, gli si conficcò dritta dritta nel naso da cui uscì uno sbuffo di fumo.
Lo sguardo cremisi della creatura sgranò e si incrociò.
Poi Ysgithr l'Orso Nero s'impennò in avanti, rigido, con le braccia distese lungo i fianchi, schiantandosi infine a terra in un tonfo sordo e in uno sbuffo di terra ed erba.

Erlend, scostato il lungo manto nero di pelliccia d'orso sbucò da sotto il cadavere del grosso troll. Tra le sue gambe, la faccia inorridita.
Vomitò anche l'anima.
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#29
XXIX

Il signor Rotto si rivelò essere un praticissimo ed inusuale sacerdote. Non ne avevano mai visto uno così, dai modi trasandati e incredibilmente ebbri d'alcool.
Si prese però cura delle ferite riportate dai tre ruathen con dedizione e praticità, richiamando a sè il potere divino necessario per praticare medicazioni magiche o prodigandosi in fasciature steccate ben salde per una guarigione relativamente rapida.
Dei dodici di partenza erano rimasti esattamente la metà, Ysgithr l'Orso Nero era caduto portandosi dietro altre vittime.
«Hanno detto che possiamo tenerci un trofeo e che ci pagano, pensate un pò»
«E che prendiamo? Le sue zanne? Il resto puzza talmente tanto che il tanfo rimarrà in zona per almeno tre secoli»
«Il pelo, prendiamoci il pelo. Lo faremo acconciare e ne faremo dei manti»
L'idea proposta da Erlend piacque agli altri due ruathen.

Lo stesso pomeriggio dovettero rimettersi in marcia per tornare in direzione di Neverwinter ed incontrare il nobil uomo a cui consegnare la grossa testa di Ysgithr e riscuotere la taglia che aveva in serbo per lui.
L'uomo non era un tipo da annoverare tra le alte personalità di Faerun, era un umano qualsiasi che aveva ereditato sangue blu e che per chissà quale fortuna era riuscito a trovare come moglie un'alfar bellissima. Sturm già dal secondo giorno in cui avevano lasciato nuovamente Neverwinter non ricordava più ne il nome ne le fattezze di quel nobile. Ma ne invidiò comunque la ricchezza che aveva ostentato tra abiti fastosi e gingilli ornamentali impreziositi da miriadi di gocce di pietre preziose.

Il Tenente Erik aveva riscosso la cospicua ricompensa e l'aveva suddivisa tra i presenti, anche tra i ruathen a cui però aveva detratto tutte quelle monete che Otto aveva speso per equipaggiarli. Quindi i tre ruathen non presero altro che una misera manciata di monete d'oro. Una miseria di cui però si accontentarono di buon animo: erano ancora vivi e sicuramente quelle monete erano meglio che di un calcio dietro il deretano o l'umido infinito soggiorno in una cella.

«Ora si torna dagli altri, siamo in ritardo sulla tabella di marcia. Quei Corvi non aspetteranno ancora a lungo e se non ci sbrighiamo Ferdinand ci scuoierà vivi. Giggle, guidaci tu, terremo il passo. Otto, Teera ha ancora il tuo simbolo sacro eh? Devi smetterla di scommettere con lei, finirai per girare anche senza mutandoni. Ammesso tu li abbia là sotto. Acquista un pò di birra, rhum e wiskye, veloce però. E ora a voi tre» Erik alla fine si volse a scrutare i tre ruathen.
«Ho già incontrato gente di Ruathym e il loro sangue ha macchiato la mia lama e la mia armatura. Porto un loro ricordo anche» non fu preciso nel dirlo ma Sturm sospettò si riferisse alla cicatrice che gli deturpava il volto. I tre ruathen però non si scomposero più di tanto, avevano capito che quella del Tenente Erik era solo una constatazione ben mirata.
«Non siamo in periodo di reclutamento ma visto l'operato potremmo fare un'eccezione: unirvi a noi. Paga assicurata con buona probabilità di poter racimolare anche qualche bel bottino. Dovrete sottostare a delle regole e soprattutto ad un capo, che potrò essere io, o Giggle, o anche il signor Otto, o Ferdinand, che forse conoscerete, e che, se lo farete dovrete farvelo andar bene, nonostante le sue forme. E' una furia»
Sturm adocchiò Ffolk che adocchiò Erlend.
Lentamente tutti e tre annuirono.
Sturm stava già immaginandosi un altro figuro in stile Capitano Morgan. Un nome maschile che mascherava in realtà una donna voluttuosa e pericolosa. A quali altre forme poteva riferirsi altrimenti il Tenente Erik?
«Rètt, ci stiamo fintanto che si combatte»
«Sta bene, appena riuniti agli altri svolgeremo l'investitura»
«Diventeremo cavalieri?» Sturm si ricordò dei cavallereschi racconti di Denim il Purpureo.
«Cavalieri? Oh no no. Diavoli Rossi»
«Diavoli RossiFfolk fece trasparire un tono scettico nel porre quella domanda così accigliata.
«Sì, i diavoli rossi del Grande Uno Rosso»

«Big Red One» sia il Tenente Erik che Giggle si irrigidirono fieri, impettendosi, poggiando l'indice destro sulla parte sinistra del petto, sulla grossa banda rossa che risaltava sulle loro tenute, per verticale, all'altezza del cuore.
Lo fece anche Otto che però poi bofonchiò stranito.
«Ah, uh, ho giuocato pure quella, che Beshaba mi tuolga l'alcool puer fuavuore ich»
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#30
XXX

Lo stordimento degli eventi recenti era ancora presente, ben lontano dallo scemare. Sturm non voleva altro che rilassarsi sul letto, bevendo un pò di birra e divertendosi a provocare l'insensibile Sitkah.
Quest'ultima quello stesso giorno aveva deciso di non prendere parte alla spedizione nei dintorni e oltre Peldan's Helm. Troppi sconosciuti, diceva, era una questione di fiducia e affiatamento.
Sturm non disse niente, più volte aveva fatto della necessità virtù, affrontando nuove esperienze in compagnia di perfetti sconosciuti. Tra mercenari era così: poteva esserci qualche nome conosciuto preceduto da una fama e storie conosciute in più posti ma nella maggior parte dei casi si finiva in mezzo ad una massa di persone totalmente nuove. 
Lui non disponeva del lusso di poter scegliere la propria compagnia, si adattava senza fare troppe storie, accettando il sacrificio di combattere a fianco di ignoti compagni d'arme nella speranza però di poter puntare a qualche cospicua ricompensa.
Cinismo ed opportunismo legati intrinsecamente tra loro.

Non era neanche tipo da correre dietro a qualcuno per convincerlo a far qualcosa. Sturm si limitava solo a dire la propria opinione, esprimendo con spontanea freddezza ogni suo punto di vista, che fosse errato o meno. Lasciava poi tutto nelle mani della Morrighan, la Signora Destino, altrimenti conosciuta anche come Beshaba sul continente, attendendo che il fato si compisse.
Per di più davanti a certe scenate che reputava insulse diveniva a dir poco insofferente.

Tuttavia al rientro era sicuro avrebbe dovuto confrontarsi con Sitkah. 
Erano soliti fare così, scambiarsi opinioni, provocandosi a vicenda senza giri di parole. La stava conoscendo in qualità di persona fidata e compagna di ventura molto capace. Lo stesso si poteva di Fjolnir e di Renfri stessa, la quale secondo Sturm aveva veramente deciso di sacrificarsi, esponendosi come aveva fatto tempo prima, concedendo una fiducia immane a chi le stava intorno.
Di quel trio ammirava l'affiatamento in battaglia e la determinazione nell'affrontare le situazioni più impervie, ma in altre comunissime occasioni non aveva che critici rimproveri da elargire. Ma si vedeva bene dal dispensarli apertamente, ci voleva niente ad accendere la miccia della permalosità, inoltre lui non era che l'ultimo arrivato, un elemento che cozzava aspramente con tutta la filosofia del gruppo di cui comunque riconosceva la forza. 
Questo gli dava una sempre maggior consapevolezza dell'affinità che aveva invece con Aslaug. L'affascinante cacciatrice aveva dei difetti come ogni essere vivente, non nascondeva mai il fatto di voler essere al centro delle attenzioni, ma come pochi altri aveva esperienza e valore da vendere che la mettevano in risalto.
Un modo di pensare quello di Sturm e di Aslaug che, come aveva detto più volte Renfri, si accomunava meglio al pensiero intraprendente delle Lame d'Argento.

Le Lame d'Argento, argomento di aspre discussioni e fautrici di dissapori insanabili.
Come dovevano comportarsi loro?
Tra le loro fila c'erano personalità altamente destabilizzanti come Majuk, che invece di saldare il gruppo creava discrepanze senza sosta, quasi ne traesse un piacere personale, dimostrandosi sempre imprevedibile, totalmente fuori dalle righe. Ma doveva avere sicuramente delle utilità affinchè tutto il gruppo continuasse a tollerare la sua provocatoria presenza ostile.
Sturm apprezzava quel tipo di pazienza, poichè, senza volerlo, la tiefling creava un contesto comune in cui tutti i membri della compagnia mercenaria potevano ritrovarsi, paradossalmente aggiungendo collante alla saldatura di tutto il gruppo.
Ne aveva conosciuti di tipi che riteneva antipatici ma che comunque dimostravano una certa validità: essi rappresentavano il primo grande compromesso che si affrontava stando in un gruppo.

Quando Sturm aprì la stanza la trovò completamente a soqquadro. Che qualcuno avesse fatto visita nella stanza nella speranza di trovare qualcosa come era successo con le stanze di Darsa e dei suoi compagni?
Non ricordava di star nascondendo qualcosa che fosse prezioso a qualcuno. Forse Sitkah ma era troppo accorta perchè potesse rischiare un'invadenza del genere.
No, quello scenario era il quadro macchiato da una mano rabbiosa e furente.
Osservando bene la stanza il grosso ruathen riconobbe i segni di uno sfogo potente, di una frustrazione crescente.

"Quanto sono complicate le donne. Dicono di no ma intendono il contrario, dicono jau e intendono jau, ma in maniera diversa" rifletteva accigliato mentre sistemava quel che poteva, con maggior riguardo per il catino e il contenitore con le erbe che davano all'acqua quell'odore di menta ed eucalipto che tanto gli piaceva.
Gli ricordava Jaeth, quando, rientrata dalle sue incursioni di caccia, era solita appendere alla grossa trave della loro casupola folti ciuffi di piante che emanavano fresche e pungenti fragranze che lo svegliavano e allo stesso tempo lo stordivano.
Lo faceva per Berrion, che amava quegli odori. Li amava talmente tanto che nelle notti di passione - cui Sturm ascoltava dapprima con imbarazzo e curiosità e poi con sempre meno meraviglia -, prima e al termine dell'amplesso, era solito cospargerci la pelle della moglie.
Una piccola intimità di cui pochissimi ne erano a conoscenza.

A terra, nella stanza, trovò anche gli abiti che Sitkah aveva indossato le notti precedenti. Sfregò le grosse dita su di essi prima di portarli al naso ed annusare la loro fragranza. L'averli lasciati lì aveva un solo ed inequivocabile significato: se n'era andata e non sarebbe tornata tanto presto.

Sì, Sturm aveva decisamente voglia di bere. Aveva bisogno di distrarsi e sollazzarsi. La sua barbara e animalesca natura faceva sentire il suo forte richiamo scombussolando l'animo e il corpo massiccio.
La breve e meravigliosa, ma pur sempre rischiosa, parentesi con un'Aslaug completamente esanime a causa del troppo alcool, aveva sfamato un poco il famelico Sturm che tuttavia aveva deciso di non spingersi troppo oltre. Rischiava seriamente la vita con la cacciatrice e certe libertà doveva ancora tenersele per sè.

Era ancora più stordito e eccitato di quanto fosse nel rientrare in locanda. Doveva abbattere quelle ardenti emozioni con la birra, bere fino a smettere di pensare e di tenere aperti gli occhi.
Al bancone, dopo aver ordinato, seppe dove si sarebbe dovuto recare per confrontarsi con Sitkah.
«Tieni Sturm e ah, è al Covone Dorato. Mi ha detto di dirti così»
«SKAL!»
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