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[AQ] Come scoglio infrango, come onda travolgo
#11
Su Faerun, sulla terraferma, i ruathen erano considerati barbari alla stregua degli uthgardt o degli uomini delle nevi dell'estremo nord. Consideravano la loro civiltà come arretrata, incivile. 
Bestiale.
Non c'era più posto nel mondo per una cultura come la loro composta da continue guerre e razzie, dove il più forte aveva il diritto di esercitare potere sul più debole, dove la violenza e la brutalità erano pane quotidiano. 
In realtà dietro il sipario c'era molto di più.
La società ruathen si basava su antiche e secolari tradizioni, tramandate di  padre in figlio, oralmente, sin dagli albori. Dalla prima venuta, al primo passo mosso sul continente, alle seguenti razzie.

Le tradizioni rappresentavano per un ruathen una pietra miliare della sua vita.
Scandivano la maggior parte delle sue azioni, dei suoi pensieri, delle sue decisioni.
Ne decretavano l'onore e l'orgoglio.

Un ruathen che non avesse rispettato le tradizioni del popolo tutto, della tribù, del clan veniva ucciso, condannato brutalmente, o alla peggio, esiliato.

Per Sturm era ormai un discorso legato ad un turbolento passato. Erano già diversi anni che si trovava sul continente, e si era trovato costretto ad adattarsi a delle nuove regole di vita - più limitanti e  macchinose che altro - prima di abbracciarne altre che riteneva fossero più convenienti al suo nuovo stile di vita. Ciononostante in natura rimaneva un ruathen: sicuramente nei modi di fare e nella radicale convinzione che il forte aveva il diritto di spadroneggiare sui deboli.
Riguardo le tradizioni, ormai ci aveva messo una pietra sopra. Era stato condannato di un'accusa falsa e ben architettata, la cui verità era impossibile da rivelare ai suoi aguzzini.
L'accusa lo aveva spogliato totalmente del suo essere, e quindi di venir meno alle tradizioni rigide del suo popolo.
In un certo senso Sturm poteva avvertire un nuovo senso di libertà ed elasticità, ma permaneva ancora l'ombra di un'amara tristezza per la perdita della propria casa. 
La rabbia invece, il furore, quelli non mancavano mai.

Discorso ben diverso erano gli altri ruathen che aveva incontrato nelle Valli.
In Aslaug Baciata dal Fuoco vedeva una ribelle il cui animo era alimentato da scoperte, sfide, sangue e forti passioni. Non pareva dare peso alle tradizioni. Il solo fatto che continuava a frequentare un raugh ruathen come lui ne era la riprova.

In Kolbjorn, nel misterioso Kolbjorn, albergava qualcosa di grandiosamente saggio. Non parlava mai a sproposito. Un saggio, che parla perchè ha qualcosa da dire, e non uno stupido, che deve dire qualcosa.
La sua aria profetica e reverenziale sembrava elevarlo dal peso delle tradizioni. Anche lui come Aslaug tollerava la presenza di Sturm, dispensandogli anzi consigli di un certo spessore.

Discorso ben diverso era Fjolnir figlio di Bjorful.
Fino a quel momento aveva dato dimostrazione di essere un ruathen senza pari. Orgoglioso, valoroso, di parola.
In lui le tradizioni di Ruathym ruggivano tutta la loro reverenziale vecchiaia e questo spaventava Sturm, sopratutto dopo che il biondone aveva chiarito la sua posizione riguardo la faccenda dei cinque.
« Se li trovo te lo dirò. Ma non li combatterò, non mi hanno fatto alcun danno quelli. Spetta a te farlo, la vendetta è tua. Combattili tutti insieme, o uno alla volta, muori nel tentativo. Portatene dietro più che puoi»
Sturm non aveva alcuna voglia di morire. Ma di vendicarsi sì, troppo. Soprattutto ora che sentiva di essere vicino ai suoi reali giudici.
« Se li lasci uccidere agli altri non riavrai indietro il tuo onore. Dove finirà il tuo orgoglio?»
Discorsi ruathen, per un ruathen. Ma Sturm non lo era più: invero doveva ancora trovare un spazio in quella stagnante realtà.
Motivo per cui prese l'ardua decisione di rivelare anche a Fjolnir ciò che era realmente e sperare di non incorrere nella sua ira.

Doveva schiarirsi la mente e ripassare gli eventi che lo avevano portato in quello stato, procurandogli tutti i problemi a cui aveva dovuto far fronte.
Doveva esporre la faccenda in modo chiaro, così che Fjolnir potesse capire bene l'intera storia.
Aslaug lo aveva etichettato come Paroliere e Sturm avrebbe fatto della parola, dello scambio orale, l'arma con cui affrontare il Biondo Orso di Ruathym.

Non era più questione di onore o orgoglio.
Ma di vita e di morte.

E parole ben ponderate.
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#12
Un normale ruathen non concederebbe mai attenzione alcuna ad un raugh ruathen.
Un atto del genere avrebbe attirato una maledizione senza precedenti che si sarebbe ripercossa sulle future generazioni.
Al raugh ruathen era riservata solo indifferenza. O insofferenza. O viscerale avversione. O tutte e tre le cose insieme.

Fjolnir figlio di Bjorful, l'Orso Biondo di Ruathym, onorevole guerriero ruathen del clan Rauðurhrafnar, i Corvi Sanguinari. Aveva reagito alla rivelazione di Sturm come quest'ultimo si era esattamente immaginato.
L'aria giovale che aleggiava nella sala termale scomparve lasciando il posto ad una palpabile tensione.
Le solide tradizioni ruathen eruppero in tutto il loro brutale disprezzo attraverso le azioni e le parole del biondo.
Non voleva sentire alcunché da uno scarto vivente.

Sturm lo aveva apertamente sfidato.
Rimanere o andarsene.
Fossero stati soli, e Fjolnir non lo tenne nascosto, l'Orso Biondo l'avrebbe fatto a pezzi. La riteneva una grande offesa che uno sporco esiliato si rivolgesse a lui, che si stanziasse anche solamente dinanzi il suo sguardo.

A giocare un ruolo fondamentale fu Aslaug Baciata dal Fuoco.
La sua presenza, così come quella di Renfri la Volpe, aveva evitato colpi di testa da parte di Fjolnir.
Le sue parole parevano aver quietato il guerriero ruathen.
Il suo corpo... no, il suo corpo anche in quel frangente aveva la capacità di destare selvaggi istinti.

Sorprendentemente anche Renfri la Volpe parve capire la situazione di Sturm e della sua complicata storia, ponendosi quasi a difesa del massiccio ruathen. O almeno le sue parole avevano fatto trasparire una sorta di comprensione e propensione al lavoro di gruppo. E alla vendetta.

Aslaug riuscì a far rimanere Fjolnir.
Sturm non seppe cosa disse la Baciata dal Fuoco al suo protettore  Orso Biondo, ma sicuramente fu qualcosa che riuscì a far desistere Fjolnir dal piantarli lì.
Il biondone rimase e acconsentì ad ascoltare la storia  di Sturm malcelando un'espressione dura, di diffidenza, ostile. E omicida. Non senza mettere in chiaro sinistre e mortali conseguenze che si sarebbero verificate se solo Sturm non fosse stato all'altezza delle aspettative del ruathen.

Niente a cui Sturm non fosse già abituato.
Ma era necessario rivelasse la verità a Fjolnir.
Oltre che per il rispetto che Sturm nutriva per il formidabile combattente c'era di mezzo la riuscita della propria vendetta.

Se non avesse detto niente a Fjolnir e insieme, facendo gruppo, avessero trovato i cinque balordi?
Se Rasten o qualcuno degli altri lo avesse riconosciuto?
Sturm era sicuro che quei cinque avrebbero fatto leva su di tutto. Tra le varie ipotesi spiccava la possibilità che fossero loro a rivelare l'autentica natura di Sturm, comportando così un cambio di fronte considerevole: Fjolnir lo avrebbe ucciso sul posto senza pensarci due volte.

Affrontare l'ostacolo rappresentato dalla mentalità di Fjolnir si era rivelata una mossa azzeccata. Per di più suggerita e sollecitata dalla stessa Aslaug.
Sturm stava maturando una sempre maggiore consapevolezza di rispetto nei confronti della rossa cacciatrice. Ma anche di debito.
In qualche modo doveva rifarsi.

Sturm alla fine si concesse un paio di bicchierini ricolmi di aspro rhum.
Il fuoco che gli esplose in petto fin sopra il capo gli ricordò di essere ancora vivo e che anche quella insidia era stata superata. Almeno momentaneamente.

Ora veniva il tempo di controllare come Fjolnir avrebbe assorbito l'intera situazione.
Collaborare con un raugh ruathen.
Realizzare che la ragazza a cui era indissolubilmente legato patteggiava per quello stesso raugh ruathen.

Si preannunciava una convivenza ostica e pericolosa.
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#13
Chissà perchè il nome di Nelyssa gli evocasse una slanciata e prestante donna dai capelli rossi.
Sturm era stato ricevuto dal Comandante Shendean dopo il calare del sole.

Davanti a lui una donna, vigorosa e prestante, ma dalla chiara e luminosa chioma, tendente al bianco. Una donna matura e già bella fatta, nella sua tenuta in armatura completa. Aveva dinanzi il Comandante dei Cavalieri di Mistledale.
La mancanza di rosso nei capelli stonò con l'immagine che si era fatto Sturm il quale non si trattenne neanche un pò dall'esporre il proprio disappunto.
L'occhiata che gli lanciò la donna non fu ostile ma ben sì perplessa.

Cominciava bene.

Il ragazzone ruathen  non nutriva chissà quante speranze per quell'incontro: sapeva che Nelyssa era una campionessa di Chauntea, per di più a capo di folto manipolo di Cavalieri e miliziani. Conclamato baluardo della legge e difensore dei deboli. Sturm si aspettava le stesse domande e la stessa ramanzina che tempo prima gli avevano dispensato Areskahan Figlio di Drago e Nityalar Occhi d'Ametista.
E invece Nelyssa ascoltò, mostrandosi dubbiosa e perplessa circa l'unica testimonianza che aveva in possesso, ossia quella di Sturm.

«Qual'è la condanna per un omicidio qui nelle Valli?»
L'esordio fu diretto e conciso.

Il ruathen le aveva esposto la faccenda a grandi linee, senza entrare troppo nei particolari, sia perchè ogni volta era supplizio decidere da che parte cominciare la storia, sia perchè sorprendentemente Nelyssa non aveva voluto indagare più a fondo.
Forse che Sturm stesse imparando a parlare per bene? Aveva reso bene l'idea del suo caso complicato senza usare troppi giri di parole?
L'unica domanda che lei pose fu quella che inevitabilmente andava sempre a ripetersi: chi erano?

La gente voleva assicurarsi, sempre, di non voler andare contro degli innocenti immacolati vestiti di bianco. Tutti avevano paura di macchiarsi le mani di qualche orrendo misfatto. A Sturm non importava, se doveva uccidere o distruggere lo faceva, senza troppi ripensamenti.
Ma Sturm comunque descrisse chi cercava: chi erano e cosa avevano fatto per meritarsi la sua vendetta. Diede alla donna una copia dei ritratti disegnati da Ronda.

Nelyssa parve comprendere. Alla fine, pensò Sturm, anche lei poteva immaginare lo stato d'animo di chi era riuscito a sopravvivere a degli aguzzini di cui poi aveva insperatamente ritrovato le tracce. L'animo umano era per certi versi ripetitivo.
Lei voleva chiamarla giustizia. Sturm la considerava semplice e naturale vendetta.
Si accorse della smorfia di disapprovazione trapelata dal volto della donna. Rimaneva comunque una paladina di Chauntea. Sotto sotto simile ad una ffolk, ma dall'animo più deciso e risoluto di quanto si aspettasse Sturm.

Nelyssa spiegò lui come funzionasse il sistema di legislatura, che non aveva potere per emanare condanne a fronte di crimini così efferati, ma che c'era bisogno che l'Alto Consiglio si riunisse e decidesse dando l'ultima parola all'Alto Consigliere di cui ovviamente Sturm non conosceva il nome. O forse sì, ma non lo ricordava neanche un pò.
Un sistema troppo macchinoso perchè si potesse somministrare la giustizia personale che andava cercando Sturm.
Il Comandante Shendean tuttavia gli venne incontro, avrebbe fatto il possibile per rintracciare quei cinque. Avrebbe chiesto ai suoi sottoposti e fatto sottoporre i ritratti ad altri suoi conoscenti e fidati colleghi.

«Ovviamente non vi chiedo di rimanere con le mani in mano. Non posso impedirvi di cercarli. Anzi, dovete trovarli»
«Certo che lo farò, devo»
«Solo che, una volta che li avrete trovati, vi chiedo di placare la vostra sete di... » lo guardò intensamente «... giustizia e di avvisarmi»
«Anche se si dovessero trovare in un'altra valle? L'ultima volta uno di loro è stato visto a Essembra, a Battledale»
«In quel caso non potrò esservi d'aiuto, piuttosto siate cauto lì le leggi sono piuttosto rigide ed intolleranti»
A Sturm riecheggiava l'eco delle parole del ligio Aldric.
«Ma spero che quei balordi abbiano ciò che si meritano» fu l'ultimo commento di Nelyssa.
A Sturm piacque.
Magari potevano svilupparsi ulteriori margini di manovra qual'ora li avesse trovati a Mistledale.
Fjolnir figlio di Bjorful aveva ragione, c'aveva visto lungo nel descriverla come una donna determinata ed assennata.

Prima di farsi ricevere da Nelyssa, Sturm era in compagnia di Majuk e di Dyane, una mezzelfa conosciuta da poco che gli ricordava la spigliata Morganelle, o Capitano Morgan.
Quando Sturm aveva detto loro che stava per andare in caserma le due avevano commentato dicendogli che probabilmente sarebbe finito dentro una cella.
Ne era convinto anche Sturm mentre s'avvicinava alla caserma: trovare e uccidere cinque uomini. Si era immaginato una reazione scandalizzata e infervorata della Comandante che lo avrebbe poi fatto arrestare per evitare che un potenziale assassino potesse girare libero per Mistledale, intaccando le leggi della valle.
Ovviamente non era andata così ma a Sturm sembrò di sfiorare quell'esito.

Prima di andarsene dalla stanza di Nelyssa si era fermato ad osservarla.
Era davvero una bella donna. Prestante. Matura.
Sturm azzardò.
«Avete un compagno?»
La reazione scandalizzata ed indignata del Comandante Shendean lo convinsero a non spingersi oltre.

Ma in futuro, chissà.

Ora finalmente poteva volgere la sua attenzione ad Hap.
E ad un altro comandante.
Il Comandante Sturnn.
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#14
Nel mentre che si preparava per tornare a Battledale con l'ausilio del destabilizzante ma rapido Albero delle Vie, Sturm si ritrovò a riflettere su qualcosa che gli era affiorato in mente solo a mente lucida e rilassata.
In realtà ad illuminargli la mente fu la bottiglia di whyskye lasciata sul letto. Quell'alcolico era davvero forte, capace di stordire un nano se si beveva un'intera bottiglia.

I ricordi recenti si susseguirono come un fiume in piena: vino. Droga. Droga. E ancora droga. Una miscela incredibile in grado di uccidere qualsiasi creatura avesse bevuto quel liquido così invitante.

Nella mente del ragazzone ruathen prese forma un piano. 
Già che c'era poteva tentare di rintracciare Majuk e chiederle un consulto. Senza contare che comunque doveva vedersi con lei per limare e chiarire per bene alcuni accordi presi tempo prima.
Migliorare la propria resistenza richiedeva tanto sacrificio, soprattutto se si trattava di svilupparla nei confronti della magia.

Borbottò qualcosa a denti stretti, agitato solo al pensiero di dover rivedere la tiefling. Sentimenti contrastanti gli sconquassavano l'animo: da una parte non voleva altro che darle una lezione degna di nota. Dall'altra non voleva altro che darle una vorace, intensa ed estenuante ripassata.

«Dannazione, tsè!»
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#15
Sturm si ritrovò a riflettere: qual'era il momento in cui era iniziato il tutto? Quale era stata la miccia che aveva scatenato quel susseguirsi di eventi?

Pensò.

Doveva avere tredici o quattordici inverni.
Era primavera.
In quei giorni si era accostato alla famiglia di Ronfalr il Guaritore, così chiamato per le sue spiccate doti erboristiche e curatrici. Non che gli altri del villaggio non fossero capaci a medicarsi ma se volevano rassicurazioni ed una medicazione efficiente Ronfalr era l'uomo giusto per quell'esigenza.
Sturm divideva il soggiorno con il Guaritore ed il resto della sua famiglia: la moglie, una cacciatrice, e i loro due figli, Danson e Herbroth, più grandi di Sturm.
Veniva affidato a loro ogni qualvolta Berrion e Jaeth si aggregavano ad una grande razzia. Non partecipavano a tutte ma solo a quelle che potevano garantirgli un margine maggiore di bottino da riportare a casa.

Mesi prima il grande Berrion, affiancato dalla slanciata Jaeth, e seguito dal suo manipolo di razziatori di vecchia data, era partito per la volta della città di Ruathym per imbarcarsi e puntare alle coste dell'estremo sud, nel Calimshan. Un viaggio lungo che avrebbe richiesto moltissimo tempo.
Sturm era abituato alla lontananza dai suoi genitori, il timoroso pensiero che non potessero tornare a casa non lo aveva sfiorato neanche una volta, si trattava sempre di Berrion Greif e di sua moglie Jaeth Fischio di Sangue: poteva un uomo capace come suo padre, che aveva ucciso da solo un grifone - e alcuni dicevano addirittura a mani nude -, perire per mano di un altro uomo? Impossibile.
Poteva sua madre, arciera formidabile e cacciatrice indiscussa, farsi cogliere impreparata? Impossibile.

Nello sperduto e anonimo villaggio di montagna i genitori di Sturm erano ben considerati e stimati ma non per questo mancava il disprezzo. Vecchie crepe avevano tenute accese le braci bollenti di chi provava risentimenti nei loro confronti. Soprattutto tra quelli che in passato erano stati i contendenti di Jaeth e che erano stati messi da parte per quell'omaccione che era Berrion, tornato nel villaggio dopo un'ordalia personale - o almeno così dicevano i racconti - trascinandosi dietro il cadavere del grifone che gli avrebbe poi garantito l'epiteto di Greif, il Grifone.
Un dente marcio mai curato quello. I dissapori erano ancora forti e molti, più di una volta, avevano tentato di abbattere con il sotterfugio l'indomito Berrion. Le sfide aperte erano state tutte un fallimento, Greif, ne era sempre uscito vincitore senza mai prorompere in esultanze fuori luogo. Per lui, quegli scontri non erano altro che inutili scaramucce a cui era costretto partecipare. Sorbiva tutto con una tacita determinazione, concentrato sul momento.
In fin dei conti Berrion era prima di tutto un taglialegna: schivo e burbero, taciturno, forte e deciso. In Jaeth aveva trovato l'esatto opposto che sembrava completarlo. In realtà si completavano entrambi a vicenda.

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Tra tutti i rivali del villaggio spiccava Rhokka, il violento fabbro del posto.
Anche lui vantava una miriade di importanti trascorsi, tra tutte le sue storie veniva spesso a ripetersi quella nel quale era riuscito a massacrare un gruppo di dieci uomini senza riportare un graffio.
Rhokka era stato sconfitto da Berrion, ben due volte, ma aveva una cocciutaggine pericolosa che lo aveva portato a non demordere nei suoi intenti. Era in vantaggio tra tutti i contendenti di Jaeth, e desiderava quest'ultima con smania febbrile. Nonostante potesse vantare una vasta schiera di donne schiave, bottini di passate razzie, Rhokka era fissato con la bionda Jaeth. Ed era disposto a tutto pur di vendicarsi degli affronti subiti dal Greif e di accaparrarsi finalmente la sua preda prediletta.

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Quella situazione aveva portato Sturm nelle mire di Rhokka: molte volte con la scusa delle risse o dell'addestramento al combattimento tra la neve lo aveva percosso selvaggiamente.
Ne era scaturita poi tutta una piccola guerra tra fazioni, con i sostenitori di Rhokka da una parte e i sostenitori di Berrion dall'altra. Di nuovo Rhokka dovette fare i conti con un'altra lunga serie di sconfitte che tuttavia non gli fecero perdere seguito. L'essere famoso per un ruathen è un'arma a doppio taglio.
Se da una parte la fama ti precedeva, osannando gloriose azioni di guerra e garantendo un rispetto incondizionato, dall'altra alimentava comunque un senso di rivalsa negli altri ruathen più ambiziosi, che ricercavano una gloria più oscura e fratricida: quanta gloria potevano ottenere sconfiggendo un grande eroe? Decisamente molta.
E Rhokka puntava proprio a quello. E al totale sterminio della discendenza del Greif.

Quel giorno Sturm insieme ai due figli del Guaritore aveva appena terminato di sistemare le ultime sacche di fagioli. Ne avevano ammassato una vera montagna che gli avevano portato via l'intera mattinata. Aveva la schiena a pezzi.
Mentre i tre si rifocillavano, parlando del più e del meno, lanciandosi battute sconce e descrivendo le esperienze con le ragazze del villaggio sopraggiunse un uomo in tenuta d'arme.
Era ricoperto di molti strati di pelliccia, teneva la testa china. In una mano tratteneva un'ascia dal filo intaccato, nell'altra l'elmo tribale tipico del loro villaggio.
I lunghi capelli e la folta barba rossi lo caratterizzavano molto e Sturm non fece fatica a riconoscerlo: era Rost Chioma Cremisi, stretto amico e compagno d'arme di Berrion, nonchè padre della ragazza con cui Sturm ultimamente aveva gettato le basi per una duratura e passionale relazione.

«Lasciateci soli» esordì, verso Danson e Herbroth. I due eseguirono senza esitare, non era saggio contraddire il volere di un rispettabile razziatore.
Sturm intese ed ingoiò cercando di ostacolare la formazione di un groppo fastidioso alla gola.
In men che non si dica l'allegra e spensierata atmosfera di lavoro era mutata in una gelida ed amara attesa.
Rost gli si inginocchio davanti, scrutandolo con i suoi intensi e scuri occhi verdi.
«Tuo padre e tua madre, Sturm» Sturm poteva notare la grande incredulità negli occhi di Rost, l'amarezza e il dolore di una grande perdita represso a fatica. «Berrion e Jaeth» Non riusciva a dire altro, non trovava le parole. Nel vedere il volto di Sturm rivedeva entrambi.
«Durante il ritorno, ci ha colti una tempesta. La loro drakkar era tra quelle mancanti, quando siamo riusciti a ricongiungersi».
Poteva un essere vivente uccidere i suoi genitori? No, certo che no, impossibile.
Ci aveva pensato la natura. Gli Æsir avevano riscosso un ricco dazio.

In quello stesso istante, quando Sturm riuscì ad assorbire ogni singolo suono di quella frase. Quando il cuore si contrasse in una morsa dolorosa. Come fosse già tutto preparato come in una recita teatrale, apparve la grossa figura barbuta di Rhokka che passava di lì, ad assestare l'ultimo colpo di grazia morale. 
Lo sguardo acceso e trionfante. Una luce omicida negli occhi.
E Sturm comprese.

Comprese che era solo. E che gli erano stati dati gli strumenti per forgiare il suo destino.
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#16
«Così hai terrore dell'acqua eh?»
La tiefling, per una rara - e Sturm sperava fosse solo l'ultima e l'unica - volta, svettava sul grosso ruathen accasciato a terra, sconfitto.
Sturm era piegato su entrambe le ginocchia, il capo ciondolante in avanti, coperto dall'elmo dalla celata abbassata. Sul braccione sinistro teneva imbracciato lo scudo tondo di chiara fattura ruathen.
Le ampie spalle protette dagli spallacci s'abbassavano e s'alzavano lentamente, a lasciar presagire che traesse profondi e lenti respiri, a fatica, raschiando ad ogni boccata d'aria.

Fu quasi con delicatezza che Majuk parandoglisi davanti gli tirò indietro il capo posandogli la mano sotto il mento protetto, alzandogli successivamente la celata cigolante.
La tiefling voleva rimirare l'effetto dei raggi magici che avevano devastato il grosso ruathen, nel corpo e nella mente. Con il nero Khair a tenerle lontano Sturm, che aveva tentato una carica pesante con tanto di scudo, lei si era ritrovata libera di far fluire l'empia magia dalle sue mani, e scagliarla contro il grosso ragazzone.
Il cipiglio che mostrò notando il volto di Sturm però fece intendere che non aveva trovato ciò che lei si spettava di vedere.
Il viso umido di sudore  di Sturm era contratto in un'unica smorfia di dolore, il tremore che gli aveva scosso tutto il corpo a causa dei raggi della tiefling andava via via svanendo. Aveva dovuto ricorrere a tutta la propria possanza per non cadere svenuto faccia a terra, lasciato alla mercè di frenetiche convulsioni.

La tiefling fece per andarsene ma poi notò qualcosa che la fece ritornare sui suoi passi, davanti a Sturm.
Una guancia del ragazzo era rigata, e non di sudore.
«Ha lacrimato».
L'indice della figura cornuta quindi si posò sul volto del grosso guerriero percorrendo dal basso verso l'alto tutta la scia lasciata da quell'unica lacrima che era riuscita ad uscire e liberarsi.
Quel tocco, così sconosciuto, sembrava pregno di una carica reverenziale.
«Il nettare degli dei» con raggelante tono estasiato la tiefling si era rivolta al suo indice dal polpastrello bagnato. Fissò il dito per qualche istante prima di gustarne l'aspro e salato gusto.

Lasciò un atterrito e sofferente Sturm lì, nel bel mezzo del sentiero, con ai piedi un fazzoletto completamente lindo «Per asciugar le lacrime» aveva detto lei con tono beffardo ed altezzoso.

Sturm a fatica aveva preso quel fazzoletto stringendolo nella grossa manona guantata e corazzata, ancora lercia di sangue e terriccio.
Glielo avrebbe reso.
Una scusa in più per tornare da lei e chiarire in che modo portare avanti quel deviato e struggente addestramento che Sturm s'era impuntato di intraprendere.

La notte fu agitata.

Sognò la superficie marina. Il torbido banco d'acqua che lo circondava. L'intero mondo che aveva preso a svolgersi a rallentatore. Bollicine ovunque.
Freddo ed oscurità.
I suoni erano lontani, ovattati come se provenissero da una dimensione che andava man mano dimenticando. 
Vide sagome scure dimenarsi lente nel freddo abbraccio del mare. Ne vide altre completamente immobili, trascinate a fondo dal peso dell'armatura.
Vide uomini e oggetti irrompere nell'abisso marino come cormorani gettatisi in picchiata per agguantare la preda direttamente sott'acqua.
Vide flebili luci e tenue fiamme in quel che era diventato l'ondeggiante piano superiore costellato di lunghi corpi legnosi, alcuni interi altri completamente martoriati.
Sentì il bruciore al petto e il terrore della morte nelle viscere mentre si rese conto di star andando sempre più in basso, trascinato dall'inesorabile mano della Regina dei Mari.
Il cordame intorno al collo e alle braccia limitava i movimenti, e l'armatura di scaglie e pelle lo stava affossando sempre di più.
Il fiato si esauriva, il panico aumentava.
La vista s'annebbiava pulsando freneticamente.
Mugolii soffocati andavano ripetendosi sempre di più.
Il fuoco divampò in tutto il corpo.
Hel era venuta ad abbracciarlo, di nuovo. Come tante altre notti.
 
Stretto alla bionda figura che gli dava la schiena Sturm si ridestò, scosso da un forte tremore.
Ansimava, ed il torace scoperto, scolpito era madido di sudore.
«Dannazione» sibilò a denti stretti.

Doveva far qualcosa.
Il sonno gli aveva portato suggerimento e una specifica immagine della festa della tiefling gli era rivenuta in mente, insistente.
Un trafficare tra complici.

Si sistemò meglio dietro la bionda donna che fortunatamente anche dormiva. Strinse l'abbraccio in una posa più confortevole e protettiva, poi lentamente il sonno tornò.
Privo di alcun sogno.
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#17
Con le grosse spalle curve in avanti e il corpo ancora fradicio Sturm attese che venisse sollevato.
Aveva le labbra screpolate, un occhio nero bello gonfio, ed ematomi che gli costellavano il volto squadrato, barbuto.
Era riuscito a sopravvivere solo per finire ripescato mezzo moribondo, essere imprigionato e percosso brutalmente da quelli che dovevano essere suoi fratelli ruathen.
Erano trascorsi almeno cinque giorni da quando era successo e a breve la drakkar avrebbe attraccato di nuovo ai moli della città di Ruathym.

La stanchezza, i morsi della fame e del gelo, le membra rigide per il dolore, avevano reso Sturm un ammasso ambulante di carne che camminava, estraniandolo da tutto ciò che lo circondava. Con lui c'erano anche altri cinque ruathen a cui era toccata la sua medesima sorte: ripescati in mare e puniti brutalmente per un crimine di cui ancora dovevano capacitarsi.

Sotto gli sguardi increduli e sprezzanti dei suoi simili, sotto il fiero e duro cipiglio della terra chiamata casa, Sturm fu condotto attraverso la città in uno spiazzo dove fu raggruppato insieme ad altri prigionieri. Ad ogni passo sentiva le orecchie pulsare di rabbia in risposta ai sussurri accusatori e sbigottiti che sciamavano intorno alla pietosa trafila: « raugh... raugh... raugh... raugh».
Sturm non ne aveva mai visto uno di raugh ruathen, le uniche fonti consistevano nelle storie raccontate dalla vecchia Storla, in cui grandi condottieri e conquistatori ruathen perdevano il loro sommo status, precipitando nel baratro del disonore come raugh ruathen, divenendo odiati nemici cui la morte abbracciava al termine di gloriose battaglie.
Ed ora, martoriato, con le budella contorte dalla paura e dalla rabbia, stava per divenire uno di loro.

Nel gruppo riconobbe qualche viso tra coloro che erano riusciti a sopravvivere a quel disastro nei pressi delle Moonshae.
Il colosso Gjorgul, il Ffolk.
Il silente e spettrale Erlend, lo Scaltro.
Il fremente Kurt, il Rabbioso.
L'emaciato e pacato Dargouwf, Occhio d'Aquila.
Erano all'incirca una trentina. Pochi considerando in quanti erano partiti: almeno trecento tra uomini, donne, ragazzi e ragazze. Tutti morti e massacrati in una battaglia che non doveva esserci, in una battaglia che si sarebbe dovuta combattere sulla terraferma e non tra le onde del mare e la fittissima nebbia.

Il folto gruppo di prigionieri fu condotto poi fuori dalle mura cittadine. Era scortato, per modo di dire, da una ventina di guerrieri pesantemente armati che riportavano sugli scudi l'emblema tribale del clan di Jarl Froston, un iceberg azzurro stilizzato che spuntava da una base ondulata blu.
Dal seguito che si era aggregato al gruppo Sturm intuì cosa stava per accadere. Una condanna. Ma per quale assurdo motivo?
Non riuscì a protestare. Chi aveva tentato di farlo era stato gettato a terra e malmenato brutalmente, zittendo così chiunque altro avesse avuto l'ardire di dir qualcosa.

Camminarono per un pò fino a raggiungere la sommità di una collina su cui svettava un alto tumolo di pietre, a forma piramidale. Si diceva che là vi dimorasse il corpo esanime di un antico sciamano a cui non era stato riservato il rito funebre comune. Le carni intatte che altrimenti sarebbero dovute essere ceneri intrappolavano lì il suo spirito, utile per catalizzare e potenziare nefasti riti maledetti.
Su di esso erano stati innalzati tre lunghi pali, posti per obliquo, così da potersi incrociare. Alcuni uomini stavano finendo di legare le tre estremità incrociate. Un altro paio di uomini attendevano più in basso, trattenendo tra le mani un teschio di cavallo e una lunga e folta pelliccia d'orso bruno.
Nel frattempo tutti i prigionieri furono messi in ginocchio. Non si risparmiarono colpi decisi alle gambe, al costato o dietro il capo. Tra il vociare del popolo che osservava da una distanza di sicurezza si poteva udire sempre più distintamente la più odiata parola di un ruathen: Raugh. Raugh. Raugh.

Tutti sapevano cosa stava per accadere. La Prima Ascia di Ruathym aveva deciso di non partecipare.
Quando anche il teschio di cavallo fu incastrato sull'estremità legnose dei pali, il manto peloso appoggiato dappresso come un mantello, e profonde rune incise sul legno, l'ovvietà fu presto resa nota.
Era stato officiato il Niostang, la più alta e concreta forma di maledizione a cui un ruathen poteva affidarsi per colpire l'odiato nemico.

Darbth, il più vicino e prossimo rivale di Jarl Froston, pareva aver preso le redini del clan dell'ormai scomparso e defunto Jarl. Si era accostato al Niostang ordinando con ferma autorità che a tutti venne tagliata la barba. Un miserabile non meritava di portarla.
Fu con un certo divertito imbarazzo che quella situazione, così colma di tetra reverenza, fu spezzata, quando gli addetti alla rasatura delle barbe si rifiutarono di tagliarla al grosso Gjorgul.
Nessuno osò farlo e Darbth alla fine dovette rassegnarsi. Anche lui aveva paura del Ffolk.

«... e così, di fronte all'uomo e agli Æsir, vi condanno! Non ci sarà morte onorevole per voi, poichè non risiede onore in vermi miserabili quali siete. A voi aspetta una non vita di stenti, dolori e sofferenze senza fine! Ogni legame verrà reciso: gli avi scateneranno la loro rabbia su di voi, le vostre discendenze saranno maledette per le generazioni a venire! Quella che chiamavate casa diverrà la bocca famelica irta di fauci che vi inghiottirà, cancellando ogni ricordo della vostra misera e dannata esistenza!
Qui! Davanti all'uomo e agli Æsir io vi condanno!
RAUGH RUATHEN!»

Un lampo si accese nel cielo che si era fatto buio con l'addensarsi delle nuvole. Un tuono schioccò come una frusta, riecheggiando per tutta la piana, rendendo ancor più sinistro quel passato e maledetto evento.

Il sonno agitato della donna parve trasmettersi per osmosi anche sul grosso ruathen che le dormiva di fianco, circondandola con le grosse braccione.
La lucidità tornò presto.
Quella davanti a cui era sto messo era una situazione contorta, pericolosa ed allettante alla stessa maniera.
Sitkah, con cui era constatato condividesse sentimenti simili per dei trascorsi difficili, aveva parlato di nuovo inizio. Sturm s'era ritrovato a concordare e, allo stesso tempo a riflettere.
Era stato avvisato da Aslaug che lo aveva introdotto in quel discorso così inaspettato: un nuovo clan.
Solo in un secondo momento anche gli altri lo avevano messo al corrente delle loro intenzioni.

Sturm non s'era più posto il problema da molto tempo. Aveva accettato la sua condizione da raugh ruathen, adattandosi alla sua nuova realtà nelle migliori delle sue possibilità, imponendosi a volte con ostinata insistenza e fastidiosa invadenza.
Seppur per certi versi, ricordava e si basava su vecchi insegnamenti appresi a Ruathym, Sturm sapeva che la corruzione non era sconosciuta tra i ruathen rivelando alcuni di loro come mostri ancor più bestiali di altre creature.
Le tradizioni lo avevano ingiustamente punito.
Le tradizioni lo avevano ingiustamente condannato.
Le tradizioni lo avevano completamente annullato.

Quello che lo aveva lasciato più spaesato però era stata la ferma convinzione di Fjolnir nel portare avanti quel progetto così ambizioso e allo stesso tempo contraddittorio.
Contraddittorio perchè sollecitato proprio da lui, che faceva delle tradizioni il suo pilastro portante in quelle terre straniere che ogni giorno lo insidiavano sempre di più, sviandolo dal suo animo perfettamente ruathen.
Sturm aveva fatto notare che qualora si fosse sparsa la voce Ruathym non avrebbe perso tempo a reagire. Ma gli altri gli avevano fatto altrettanto notare che erano anche distanti migliaia di kilometri dalla costa e che le voci, pur veloci che fossero, ci avrebbero messo tanto tempo per arrivare fin là.
Aveva però volutamente omesso la parte in cui, così facendo, Fjolnir si sarebbe reso automaticamente un raugh ruathen. Per quanto le sue azioni fossero mosse da un senso di legame per l'amor di casa e patria, andavano contro determinate e rigide leggi regolamentate da altrettante secolari tradizioni.
Ma questo, Sturm si avvide bene dal dirlo. Non sapeva come avrebbe potuto reagire Fjolnir figlio di Bjorful, l'Orso Biondo di Ruathym, scudo giurato di Aslaug figlia di Ulric, la Baciata dal Fuoco. Poteva mica instillargli l'onta di dover far fronte a quella disonorevole e miserabile eventualità ponendolo al suo stesso livello?

Sturm doveva riflettere.
Sicuramente una parte di lui agognava ancora la vecchia vita, non era un segreto, lo aveva ammesso a se stesso già tempo prima. Una parte di lui si era adattata bene a quella che riteneva essere una riscossa faticosa e gloriosa. Un'altra parte ancora serbava invece per la vecchia esistenza una rabbia senza fine, una rabbia contro tutto ciò che gli aveva reso l'esistenza impossibile, dove un altro essere umano sarebbe sicuramente perito di stenti.
Non sapeva se tornare a vivere secondo uno stile di vita che poteva ricordargli quello vissuto a Ruathym. Forse per ripicca nei confronti di quelle tradizioni che i ruathen decantavano come incorruttibili ma che all'evenienza potevano essere tranquillamente sfruttate dai corrotti, o forse per semplice e pura paura, di potersi illudere di ritrovare qualcosa strappatagli ingiustamente.

Troppo su cui arrovellare la mente. Sturm aveva testa solo per affari e non per grovigli morali e teologici.
Quel pensiero però lo aveva innervosito. Complici anche molto probabilmente le sedute perverse a cui aveva deciso di sottoporsi.

Rimase vicino alla bionda incappucciata, stringendola tra le braccione, senza più traccia di sonno, il volto corrucciato e distorto in una smorfia di fastidiosa insofferenza.
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#18
Accattivarsi i servizi di uno skald era nell'interesse di ogni ruathen che ambisse a conquistare gloria e potere.
Lo skald consacrava la sua vita alle tradizioni, tramandandole di uomo in uomo, oralmente, affidandosi a racconti di gesta compiute da quegli uomini o quelle donne cui riteneva fossero adatti ad essere decantati. Ciò insigniva lo skald di un potere smisurato, capace di plasmare letteralmente il futuro di un ruathen, sia nel bene che nel male.
Era indispensabile che un ruathen che volesse puntare ad un successo maggiore omaggiasse lo skald con doni ed attenzioni in quanto quest'ultimo sarebbe stato sicuramente conteso da molti altri uomini o donne ambiziosi.
Si trattava di una sorta di investimento personale: riuscire a catturare l'attenzione di uno skald veniva considerato un segno benevolo ma non per questo necessariamente proficuo. Il tutto era lasciato poi ai fatti; dovevano svolgersi eventi degni di nota, eventi a cui lo skald doveva partecipare, attivamente o meno, così poi da poter testimoniare le conseguenze delle azioni compiute. Elevarne la gloria o sancirne l'infamia.
Non era un segreto che uno skald si sporcasse le mani pur di accompagnare il protagonista dei suoi futuri racconti.

Cosa che Sturm non poteva dire lo stesso dei bardi e cantastorie del continente.
Ne aveva conosciuti alcuni e questi gli avevano dato modo di sviluppare un'idea generale su di loro, non per forza corretta: una parte, di cui molti ne facevano parte, ambiva esclusivamente a conquistare un ruolo nelle lussuregianti corti, tra uomini e donne di sangue blu, crogiolandosi sin da subito in agi e frivolezze; un'altra comprendeva tutti coloro che invece avevano avuto l'ardire di gettarsi nell'ignoto della vita di ventura, accogliendo pericoli e rischi, accompagnandosi a personalità di vario genere ed estrazione sociale che non sempre rispettavano le aspettative mondane dell'avventuriero medio.

Qui entrava in scena Dyane.
Secondo Sturm apparteneva ad entrambi i sottogruppi con cui aveva suddiviso l'intera categoria dei cantastorie continentali. Conosceva parte della storia della mezzelfa rivelandone il passato oppresso vissuto in una gabbia dorata ove lussuria, piacere, agi ed attenzioni varie facevano da padroni indiscussi. Già dall'aspetto che aveva, da come lei si presentava, si poteva intuire quanto forte fosse il bisogno di avere un corpo estremamente curato. Ed i risultati erano ben evidenti.
Tuttavia in qualche modo era riuscita a districarsi da quell'esistenza servile così accomodante e aveva trovato il coraggio di rimettersi in discussione: lo testimoniavano il suo sguardo, da cui traspariva spesso una genuina e a volte ponderata curiosità, ed il suo comportamento così apparentemente conforme ad ogni situazione e ad ogni soggetto.
Sturm non aveva mai nascosto l'interesse nei suoi confronti sin dal primo giorno che l'aveva conosciuta, dopo un attento ed accurato esame visivo.

Proprio con Dyane si era ritrovato coinvolto in un gioco proposto proprio da lei. Un intrattenimento semplice quanto profondo, dal retrogusto pericoloso e sensuale: raccontare se stessi tramite alcune storie. Sturm ne aveva da vendere a bizzeffe. Ogni ruathen poteva vantare un bagaglio culturale invidiabile, conseguenza di una spietata realtà che lo portava a crescere precocemente.
A turno si doveva scegliere il tema su cui gravitare le storie e Sturm aveva già ben chiaro il proprio argomento. Non qualcosa di semplice come ci si sarebbe aspettati da un ragazzone semplice e spontaneo come lui, abituato a riflettere poco e ad abbandonarsi agli istinti. La sua mente aveva il brutto vizio di iniziare a galoppare quando si trovava dinanzi a situazioni che velavano sfide sublimi; un senso di rivalsa scattava inevitabilmente ricercando il modo di impressionare il più piacevolmente possibile lo sfidante, in questo caso lei, la sua interlocutrice, la conturbante esotica mezzelfa.

«Cosa ci fa sentire più vivi in questa misera esistenza?»
Iniziava lui.
Diede suoni e  parole ai segni che portava incisi su tutto il corpo, sia recenti che passati.
«Il dolore».
Dall'incuriosito sguardo felino di Dyane Sturm capì di aver colto nel segno.

Già, il dolore.
Molti non capivano perchè si ostinasse continuamente ad esporsi inutilmente per collezionare solo dolore e brucianti sconfitte. Qualcuno era arrivato a definirlo scherzosamente un masochista. Che ci fosse un fondo di verità?
Altri lo consideravano semplicemente pazzo.
Altri ancora un beota dalla testa bacata, incrinatasi per i troppi colpi subiti.
In realtà non lo sapeva bene neanche Sturm: il dolore era legato alla sua vita in una serrata spirale. Lo accendeva, di rabbia e piacere.

Da più giovane non ricordava di aver mai provato sensazioni simili. Dolore era solo dolore. Sofferenza. L'unica cosa che si destava era la rabbia turbolenta che lo portava sul sentiero della ribalta.
Il cambiamento doveva essere avvenuto durante quella che chiamava la sua seconda nascita, dopo essere stato ripescato in mare quasi esanime.
Ciò che lo svegliò non fu l'aria che tornò a riempirgli i polmoni, o il cielo grigiastro che si stanziava sopra di lui, o la superficie legnosa della drakkar. A riportarlo alla vita fu il dolore delle percosse subite da coloro che lo avevano ripescato. Il dolore delle ingiurie. Il dolore scaturito da quella sensazione di cane spaurito che non riesce a capire perchè il proprio padrone lo malmeni. Il dolore dei polmoni in fiamme, della gola riarsa e dello stomaco nauseato.
Il dolore gli aveva dato una semplice e chiara risposta: era ancora vivo.
Dopodichè non sapeva spiegarsi come il corpo e la mente avevano reagito, ma dovevano averlo fatto in maniera inusuale, che lo avevano lasciato perplesso e spaesato. Infine aveva smesso di dare importanza a quella nuova manifestazione di dolore, e quella che all'inizio gli era sembrata una sbagliata perversione diventò ben presto normalità ed inconscia ricerca.
Doveva esserci un motivo del perchè rispondesse così ad ogni fonte di dolore: oltre che alle vecchie reazioni era sopraggiunto prepotentemente il piacere, reazione ben più difficile da gestire in casi estremi.

Non aveva necessità di provarlo tuttavia sembrava che ogni cosa che gli servisse per migliorare se stesso dovesse passare per forza per il dominio del dolore. Come l'intenzione di sviluppare una maggiore consapevolezza fisica da imporre contro quegli incantesimi che spesso gli intaccavano una forza di volontà piuttosto vacua.
Tale percorso lo aveva condotto tra le distorte attenzioni di Majuk e quelle più ardenti, letteralmente, di Darsa.

Di quest'ultima ricordava ancora fin troppo bene il tocco della sua mano sulla pelle, la superficie che andava diventando via via sempre più calda fino a divenire bollente. L'odore della pelle bruciata che gli aveva invaso le narici, il dolore provocato dalle carni lacerate che gli aveva pervaso le membra facendo fremere tutto il corpo massiccio.
Sturm resistette a quel lento supplizio, a quella risposta dedicata. Ma non era che all'inizio di quella irta e faticosa salita che si era imposto di scalare. La sofferenza si fece intollerabile. Il corpo, così come la mente, cedette e dalle labbra proruppero gemiti tormentati e disperati. La confusione faceva irruzione nella sua testa spedendolo in uno oblio in cui tutto rallentava e si mischiava.
Dolore e piacere.
Piacere e dolore.
Il dito affusolato, ardente, proseguiva nel suo percorso tracciando sofferenti parole in un idioma esotico a lui sconosciuto. Voleva con tutto se stesso sottrarsi a quella tortura auto imposta, ma allo stesso tempo voleva con altrettanta tenacia continuare, ancora e ancora e ancora.

Il messaggio era stato vergato sul corpo con malvagio ed oscuro divertimento «... e questo non è altro che una piccola parte del mio potere».
Il messaggio era stato corretto con una profonda incisione, tra nudità ed un'atmosfera carica di desiderio destinato però rabbiosamente a non essere consumato.
Il messaggio andava recapitato al destinatario che avrebbe sicuramente risposto con oscura e invasata violenza.

Il gioco era lungi dall'essere concluso.
Così come l'addestramento.
E il dolore che era in serbo per lui.
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#19
... I ricordi dell'Anauroch svanirono sabbiosi come lo era il suo paesaggio.
Con profondi respiri Sturm riprese a badare alla propria attrezzatura, tra un'abbondante sorsata di birra di Glen e ampie portate di carne di cinghiale che si era procacciato e che aveva cotto su delle pietre bollenti.
In quel momento era occupato a lustrare con decisione il proprio spadone, a limarne il filo della lama, a cospargere di grasso sia la guardia che l'impugnatura.

Sedeva su di un ceppo su cui aveva lasciato piantata la sua ascia da boscaiolo. Quell'oggetto gli ricordava costantemente le sue origini, ciò da cui aveva iniziato.
Indossava la sua solita blusa di cotone chiaro, priva di maniche. Sulla schiena un'ampia macchia di sudore che disegnava un ovale completamente zuppo.
Teneva la testa china. Lo sguardo gelido, concentrato, seguiva il movimento della manona che tratteneva la cote, facendola scorrere sulla superficie magica e metallica della lama della sua grossa arma.

Lo spadone era poggiato per orizzontale sulle grosse gambe, l'altra manona, con decisione, teneva ferma per la guardia l'arma su una delle cosce.
Sturm limava il piatto della lama con la cote ed alternava gli stessi movimenti con un panno zuppo di grasso per lucidare al meglio lo spadone.
L'ultimo movimento rivelò qualcosa che la lama riflesse e che incuriosì il giovane grosso ruathen.
Con la fronte aggrottata in un cipiglio di pura perplessità il giovane afferrò lo spadone per l'impugnatura e lo sollevo dinanzi il proprio volto, la lama rivolta verso l'alto.

La lama rispecchiò le fattezze di quel viso così precocemente maturato, dai tratti duri e squadrati. La pelle divenuta paurosamente più scura. Gli occhi rimanevano vivi ed accesi, azzurro ghiaccio.
I capelli invece, sempre corti, avevano perso la loro uniformità corvina.
Un piccolo ciuffo brizzolato era apparso all'altezza della tempia sinistra.
Espirò sonoramente.
"Sto invecchiando prima del previsto. Com'è possibile? Non me ne sono mai accorto"

Serrò la mascella quando comprese. Soprattutto quando ricordò.
Si chiese se valeva davvero la pena mettersi in gioco così, per un addestramento talmente arduo da risultare quasi suicida e masochista.
Ma cosa poteva fare per rivaleggiare da sè con efficacia contro quella magia che gli intaccava continuamente la mente? Agognava il controllo totale del proprio corpo e detestava che forze esterne potessero manipolarlo in maniera tanto subdola.
Così come il corpo poteva abituarsi al dolore e alla fatica, ampliandosi e irrobustendosi, non poteva anche la mente funzionare alla stessa maniera?

Portò una manona a toccare il proprio torace. Sin da sopra la blusa poteva percepire le cicatrici in rilievo che il dito di Darsa gli aveva tracciato sulla pelle.
Ricordava ancora fin troppo vivamente le lancinanti scariche che Majuk gli aveva scagliato addosso, facendolo lacrimare come un bamboccio di pochi inverni, rinvenendo abissali paure che erano esplose in un turbine di puro terrore.
Il tocco della tiefling però era mutato.

Lei lo aveva toccato con delicatezza, con l'indice pregno di oscurità, laddove ore spuntava il ciuffetto ingrigito.
Il suo potere era aumentato. Cambiato. Sicuramente potenziato.
Un tocco così leggero aveva rilasciato una potenza così grande da irradiarsi in tutto il corpo, esplodere ed implodere. Sturm potè avvertire di nuovo quella sensazione di assorbimento ineluttabile ed inarrestabile, impossibile da fronteggiare. Sentì di nuovo le membra doloranti,  ma anche talmente provate da sembrare appartenute ad un anziano che aveva visto più di ottanta inverni.
Si era sentito stanco e dannatamente invecchiato.

Inspirò di nuovo, profondamente, osservando intensamente la metà del proprio riflesso specchiato dalla larga lama.
La situazione lo spaventava, ma non per i pericoli o i dolori a cui andava incontro, no. Ma per la facilità con cui poteva tirarsi indietro.
Qualcuno gli aveva detto che poteva trovare sostegno in alcuni oggetti magici, ma in assenza di quelli come poteva risolvere il suo problema? Non vedeva altra soluzione che continuare a sottoporre il suo corpo e la sua mente ad un instancabile supplizio magico così da potersi adattare e, un giorno, sviluppare una propria resistenza naturale, così come si faceva con le assunzioni di piccolissime dosi di veleno.

Inspirò profondamente gonfiando l'ampio petto. La tentazione di rasarsi anche il lato del capo gli balenò per la testa, ma ci ripensò.
Riprese invece a lucidare e limare la lama dello spadone.
Nuovamente convinto delle proprie scelte e della direzione che aveva deciso di percorrere.
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